Europa: La tempesta perfetta

Francesco Garibaldo*

L’Europa sta entrando in una tempesta perfetta originata da shock esterni che si sommano a tendenze di lungo periodo.

Si tratta di una crisi che mette in gioco aspetti economici, sociali, politici ed istituzionali.

La dinamica di sviluppo della UE

Partiamo dalle tendenze di lungo periodo.

Già due anni fa ricordavamo, con Bellofiore che la Germania è“ divenuta esportatore netto della Cina e importatore netto della periferia orientale, mentre la Cina è esportatore netto verso la periferia orientale e importatore netto della Germania” il che rende evidente la debolezza del sistema rispetto ad ogni crisi geopolitica. La dinamica del sistema industriale tedesco si struttura “attorno ad una base primaria data da un settore avanzato che, sia tecnologicamente che organizzativamente, si posiziona al vertice della catena del valore (..) il che permette di conquistare i mercati mondiali secondo uno schema export-led (p.103). Per rafforzare il potenziale di esportazione, e quindi per sostenere il modello, le aziende al vertice delle singole catene hanno iniziato a espandere la loro capacità globale, soprattutto in Asia. Intorno a questo nucleo troviamo settori tradizionali(..). L’efficienza e la redditività del settore avanzato danno sostegno a una minore produttività e profittabilità del settore più concentrato sul mercato interno(..): In questo schema, il consumo interno deve essere sempre scollegato dalla crescita dell’efficienza e della produttività- nel senso di non variare in parallelo, ma in misura inferiore – al fin di alimentare il percorso di crescita. (ibidem)”.

Per altro, e questa è la faccia strategicamente più debole del sistema, come dicevamo allora “in un quadro di concorrenza ‘scatenata’, questa linea di sviluppo industriale ha portato a grandi sacche di capacità  produttiva inutilizzata” (p.105) che, se il meccanismo fosse entrato in crisi, sarebbero cresciute.

Il modello tedesco è quello seguito dall’Italia.

Export e occupazione

I due paesi con il livello più alto di esportazioni provenienti dalla UE sono Stati Uniti e Cina per un terzo del totale. L’export intra UE vale  circa il 15%. Le importazioni sono per circa il 28-29% da Stati Uniti e Cina e quello intra UE quasi il 14%. Il tutto porta a un saldo positivo commerciale per la UE che era pari a 192 miliardi nel 2019 e 217 nel 2020. Per capire l’importanza dello shock legato all’energia basta vedere che nel periodo di picco degli aumenti, nel 2022, il saldo commerciale della UE era in disavanzo di 432 miliardi, principalmente a causa del forte aumento dei prezzi dell’energia.

La Germania esporta il 59% nella UE e il 41% verso paesi terzi; L’Italia nelle sue esportazioni registra il 56,3% intra UE e il 43,7% extra UE; la Francia 59% intra Ue e 41% extra UE; la Spagna rispettivamente 66,2% e 33,8. Un qualsiasi rallentamento del commercio mondiale non può che colpire duramente i principali paesi europei.

Le conseguenze sociali sono molto rilevanti perché il numero di posti di lavoro legati al commercio con paesi terzi è pari a 6,8 milioni in Germania, 2,7 in Italia, 2,8 in Francia e 1,8 in Spagna e 3,750 milioni nel Regno Unito che è un caso a sé  con il 47,1% intra Ue e 52,9% extra UE, cioè il valore più alto extra UE con l’eccezione di Cipro.

Francia, Regno unito, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Spagna, Italia hanno 20,750 milioni di posti di lavoro che dipendono dal commercio extra UE; gli altri 21 membri della UE attorno ai 9 milioni.

Il triplice shock

L’Economist, nel suo numero del 30 marzo- 5 aprile, parla di un triplice shock:

la crisi energetica a seguito della guerra in Ucraina cui si aggiunge oggi quella in Medio Oriente con il rischio concreto di un allargamento incontrollato del conflitto,

la concorrenza cinese in alcuni settori industriali chiave, non necessariamente a bassa tecnologia,

la possibile vittoria di Trump con la sua promessa elettorale di una tariffa doganale del 10%.

Tutto ciò nel mentre l’Europa è impegnata in una difficile e costosa transizione “verde” ed una digitale. Si aggiunga la situazione nel canale di Suez che mette a rischio il commercio mondiale.

Questi shock esterni mettono in crisi il modello fondamentale di sviluppo scelto dall’Europa: un modello neomercantilista fondato su una crescita economica e industriale trainata dalle esportazioni a spese del mercato interno e su catene produttive transnazionali. L’Europa è l’area economica più aperta al commercio internazionale e risente quindi in modo massiccio dei mutamenti dello scenario globale nel quale la divisione internazionale del lavoro e la possibilità del commercio mondiale erano senza significative restrizioni.  La prima è a rischio per la rottura delle global value chain, caratteristiche della fase precedente, la seconda per i motivi geopolitici indicati.

Lo shock della concorrenza cinese colpisce alla radice questo meccanismo a partire dal settore industriale chiave europeo “l’automotive”. Si tratta di un settore che compresi i fornitori, impiega circa tre milioni di persone. La scommessa per il futuro dei produttori europei è l’auto elettrica, essa però – per come è stata concepita e per il suo prezzo – è inaccessibile al consumatore medio europeo ed è quindi progettata per i ricchi mercati internazionali come gli USA.

La Cina ha battuto Europa e USA diventando leader nella produzione delle batterie ed è ora  in grado di invadere il mercato europeo con auto elettriche a basso costo; alcune stime parlano del 9% del mercato europeo. Il meccanismo, in questo caso si rovescia; le aziende europee situate nella parte alta della tecnologia non reggono la concorrenza cinese anche per ragioni tecnologiche. Qualora gli USA implementassero la tassazione delle importazioni del 10%, uno dei mercati ricchi di esportazione dell’Europa si restringerebbe significativamente. Ciò metterebbe in moto processi di ristrutturazione molto significativi con conseguente esubero di forza lavoro.

Il quadro economico europeo è caratterizzato da una crescita lenta con alcuni episodi nazionali di recessione e un livello dei redditi, eroso dall’inflazione, che rende fragile il mercato interno.

Le sfide per l’Europa

Le sfide che derivano da questo sintetico quadro sono rese ancora più rilevanti dalla faticosa discussione sulla revisione dei meccanismi di stabilità e delle regole sul debito e dalla apertura dell’Unione Europea ai paesi dell’Est a partire dall’Ucraina. Si richiede un forte impegno finanziario e un complesso processo di ridefinizione istituzionale.

Dal punto di vista politico lo spostamento a destra dell’elettorato corre il rischio di portare al potere la Le Pen che non fa mistero di pensare a una uscita della Francia dall’Unione, il che ne decreterebbe la fine. Nel voto per il parlamento europeo si attende un forte condizionamento a destra grazie anche alla Germania.

Ciò avviene nel momento in cui è sempre più chiaro che se l’Unione Europea sopravviverà al ciclo elettorale dovrà dotarsi di una struttura di governance diversa con una autentica regia europea in temi chiave come l’energia, la politica industriale nei settori strategici. Personalmente sono sempre stato favorevole a una struttura federale, oggi politicamente irrealistica, ma bisognerà muoversi comunque verso una più forte integrazione. L’invasione dell’Ucraina da parte Russa e le minacce di Trump  hanno acceso un dibattito sul pericolo a Est in parte privo di fondamento. Non penso infatti che ci sia un rischio imminente per la Polonia o altri paesi europei , come sostiene l’Ucraina per rendere più convincente la sua richiesta di aiuto, ma nella logica di Putin i territori una volta russi, come Estonia, Lituania e Latvia corrono un rischio. Tutto ciò porta ad un ulteriore tema di integrazione, la difesa comune.


*Francesco Garibaldo ha svolto un attività come organizzatore sindacale della FIOM fino al 1992, poi direttore dell’IRES nazionale – centro studi della CGIL -, quindi direttore della Fondazione Istituto per il Lavoro (IPL) dal 1998 sino al 2008, oggi pensionato. Si occupa sin dagli anni ‘70 di ricerche di sociologia industriale.

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