L’Occidente è un accidente

Paolo Ferrero

Cosa sta succedendo? Questa domanda è sempre più diffusa perché l’insicurezza e il disorientamento hanno oramai raggiunto un livello impressionante: alla precarizzazione della vita che ci ha imposto per decenni il liberismo si è infatti aggiunta la possibilità concreta della guerra. L’insicurezza sociale, la precarietà, la distruzione del welfare, uniti alla vicenda della pandemia del Covid e oggi al clima di guerra determinano un vero e proprio spaesamento, uno diffuso stato di choc.
L’insicurezza si nutre anche di una forte di perdita di credibilità delle narrazioni pubbliche: com’è del tutto evidente buona parte della comunicazione non è finalizzata a informare i cittadini ma a manipolare l’opinione pubblica. Pensate solo a come viene rappresentato dai media il genocidio del popolo palestinese a Gaza. Nell’insicurezza matura la sfiducia ma anche la ricerca spasmodica di certezze a cui aggrapparsi come a un salvagente.
Nel difficile compito di evitare sia le bugie di regime che quelle complottiste, abbiamo realizzato questo numero di “Su la Testa”, cercando di capire cosa c’è dentro e dietro questa situazione nebulosa connotata dal clima di guerra. Lo facciamo puntando l’attenzione sull’Occidente. Non solo perché ci viviamo ma perché è l’Occidente che più di ogni altro aggregato mondiale sta puntando sulla guerra. Giova ricordare, per sottolineare un solo elemento, che l’Occidente ha l’unica alleanza militare a largo raggio oggi esistente al mondo – la NATO – e nel 2023 ha speso 1.341 miliardi di dollari, pari al 55% della spesa militare mondiale pur avendo meno del 23% della popolazione.
Attorno ai nodi della guerra e dell’Occidente ruota questo numero della rivista che confido vi aiuterà ad inquadrare il problema e spero venga letto e discusso collettivamente: perché la rifondazione del comunismo e il rilancio dell’alternativa si fondano necessariamente su una corretta analisi di fase.
Abbiamo intitolato questo numero “L’Occidente è un accidente”, riprendendo il titolo di un libro di Roger Garaudy, che nel 1977 pubblicò “Pour un dialogue des civilisations: l’Occident est un accident”, perché il tema della guerra non è un incidente o il puro esito di dinamiche economiche ma è profondamente intrecciato alla crisi dell’Occidente.

La fine di tre grandi cicli storici

Sappiamo che la tendenza alla guerra è un aspetto centrale nel funzionamento del modo di produzione capitalistico: sono due facce della stessa medaglia e la guerra non di rado è stata lo strumento per risolvere i problemi di accumulazione del capitale non risolvibili per via economica. Basti pensare al ruolo della spesa militare. Dentro questa tendenza generale, alcune variabili economiche, come la contraddizione tra debitori e creditori, determinano una grande spinta sistemica verso il dramma della guerra. L’enorme situazione debitoria degli USA lì a parlarci di questi squilibri devastanti.
Queste tendenze le vogliamo analizzare insieme alle dinamiche politiche, culturali, sociali, geopolitiche perché proprio quest’intreccio spiega come mai il tema della guerra si presenti oggi con questa forza. Solo la capacità di connettere le tendenze di fondo del modo di produzione capitalistico con il complesso dei rapporti sociali permette, a mio parere, di capire il capitalismo come una “totalità concreta” e di evitare di cadere nell’economicismo, errore fatale per chi, come noi, cerchi di analizzare la realtà in modo materialista ma non meccanicista.

L’intreccio tra la tendenza alla guerra e il declino dell’Occidente si evidenzia nella chiusura di tre cicli storici che avevano determinato il ruolo centrale dell’Occidente nel mondo. Si tratta di fasi temporali diverse per lunghezza e per importanza strutturale, ma la cui fine converge nel produrre la “tempesta perfetta” in cui viviamo.

1. La Geopolitica: è finito il ciclo cominciato con il crollo del muro di Berlino

Dopo il crollo del muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica è rimasta una unica superpotenza: gli Stati Uniti. E’ cominciata l’epoca del mondo unipolare in cui la volontà degli USA si è imposta come vero e proprio potere sovrano e costituente. La globalizzazione, pensata in questo contesto dagli USA ha però prodotto, contro le aspettative, la nascita di nuove superpotenze come la Cina e una condizione di maggior equilibrio economico a livello mondiale. Per questo nell’ultimo decennio gli USA hanno deciso di contrastare la globalizzazione a partire dall’attivazione di misure protezioniste.
La mia opinione è che la globalizzazione neo-liberista abbia eroso le basi su cui si reggeva questo dominio unipolare e che la guerra in Ucraina e le sanzioni economiche ad essa connessa, ne abbiano sancito la fine.
Come ci ha spiegato il Segretario Generale della NATO Stoltenberg, la guerra in Ucraina è il frutto di una strategia messa in atto dagli Stati Uniti e dalla UE nella fase del dominio unipolare del mondo. In primo luogo, a partire dal 2000 con l’allargamento della NATO a est. In secondo luogo nel 2014 con il golpe di Piazza Maidan in Ucraina e la scelta di non rispettare gli accordi di Minsk sulla tutela dei diritti della popolazione Russa residente in Ucraina. In terzo luogo usando questi anni per potenziare grandemente l’esercito Ucraino sotto l’egida della NATO e nel 2021/22 impedendo ogni accordo pacifico che evitasse la guerra.
L’obiettivo della NATO era quello di attirare la Russia in un conflitto di lunga durata, una sorta di Afganistan europeo che ne dissanguasse risorse finanziarie e umane fino ad arrivare all’implosione della Russia stessa puntando al suo smembramento in tante piccole nazioni.
Le cose sono andate in modo assai diverso.
Le sanzioni economiche non solo non hanno piegato la Russia, ma hanno avuto effetti opposti a quelli attesi in Occidente. In particolare, la Russia ha rapidamente realizzato con i BRICS canali commerciali alternativi per non parlare della forte spinta a rilanciare produzioni direttamente in Russia. Inoltre le sanzioni finanziarie, nella loro completa arbitrarietà ed illegalità dal punto di vista del diritto internazionale, hanno spaventato le classi dirigenti di tutto il mondo, allargando grandemente il numero di paesi interessati ad unirsi ai BRICS al fine di costruire scambi al di fuori del dominio del dollaro, mettendolo in discussione il suo potere.
Sul piano militare, la tanto sbandierata superiorità tecnologica occidentale si è rivelata un bluff. Nel settore missilistico, nella guerra elettronica e nella capacità di riorganizzare le forme del conflitto, la Russia non si è mostrata seconda a nessuno. Questo fatto è stato notato in tutto il mondo e ha cambiato completamente la percezione dei rapporti di forza globali. Lo si vede bene in Africa ma non solo.
In terzo luogo l’arrogante politica statunitense ha prodotto un avvicinamento tra Cina e Russia che non ha precedenti storici. Emblematico il manifesto del governo cinese affisso nelle vie di Pechino durante la visita di Putin nel maggio scorso che ritrae i due leader sorridenti mentre si stringono la mano e recita testualmente: “Due paesi, due leader, una strada”.
In altri termini, le sanzioni economiche e il conflitto militare, non solo non hanno piegato e disgregato la Russia ma hanno determinato una forte accelerazione nella costruzione di relazioni tra le nazioni del “Sud globale” a partire dallo sviluppo dei BRICS. Si tratta di un fatto enorme perché significa che il mondo oggi non è più unipolare ma multipolare.
Evitando ogni illusione che scambi quanto sta succedendo con una vittoria del socialismo, registriamo positivamente la secca sconfitta subita dalla volontà di potenza unipolare che l’imperialismo statunitense ha ricercato e praticato dopo il crollo dell’Unione Sovietica: bene!
Che questa nuova situazione venga accettata dall’Occidente e si dia così luogo ad un mondo multipolare cooperante e in pace, oppure che questa nuova situazione venga rifiutata dall’Occidente e questo scateni la terza guerra mondiale, è il bivio che abbiamo dinnanzi e su cui possiamo e dobbiamo incidere con la nostra azione politica.

2. La finanza. È finito il ciclo cominciato nel ‘44 con Bretton Woods.

Nel luglio 1944 si tenne a Bretton Woods una conferenza tra tutti gli alleati che stabilì il nuovo sistema monetario internazionale, basato sul ruolo centrale del dollaro di cui veniva sancita la convertibilità in oro: 35 dollari per un’oncia d’oro. Dalla conferenza uscì sconfitta la proposta avanzata da Keynes a nome della Gran Bretagna che proponeva al contrario di dar vita ad una stanza di compensazione del commercio mondiale prevedendo una compensazione tra debiti e crediti attraverso una moneta denominata Bancor. Keynes proponeva cioè un sistema rivoluzionario, indipendente dal dollaro e con meccanismi di autoregolazione tra debiti e crediti e quindi tra importazioni ed esportazioni: un sistema che superasse gli squilibri che erano alla base dello scoppio delle guerre.
Questo sistema finì nel 1971 quando il presidente Nixon sospese unilateralmente la convertibilità del dollaro in oro: al suo posto non ne venne però costruito un altro sullo schema proposto da Keynes ma, al contrario, il ruolo del dollaro come moneta di riferimento del sistema internazionale continuò senza che gli Stati Uniti ne garantissero più la convertibilità in oro. Dal ‘71 il dollaro è quindi diventato la moneta fiduciaria del mondo, senza più alcun onere per gli USA: un vero strumento di dominio, l’esatto opposto di cosa proponeva Keynes. Come ebbe a dire Nixon: “Il dollaro è la nostra valuta e il vostro problema”.
In ultima analisi – e passando attraverso l’operazione dei petrodollari – da quel momento tutti i paesi e gli operatori commerciali del mondo ebbero interesse a mantenere la stabilità del dollaro in modo da garantire un efficace sistema di scambi internazionali. Il governo statunitense cominciò così ad usare questo potere indebitandosi in modo abnorme con l’estero. In pratica gli USA in questi decenni hanno vissuto molto al di sopra delle loro possibilità, hanno consumato molto più di quanto hanno prodotto: per dirla volgarmente invece di pagare i propri debiti hanno stampato dollari il cui valore è stato sostenuto dal resto del mondo. L’imperialismo statunitense si è appropriato di una grandissima rendita economica e finanziaria.
Questa situazione sta finendo: sono cambiati i rapporti di forza
Il crescere di altri potenze economiche come la Cina, i comportamenti arbitrari degli Stati Uniti e la conseguente costruzione di canali alternativi al dollaro nel commercio internazionale posti in essere soprattutto dai BRICS, hanno minato pesantemente la condizione di fiducia: non è più vero che tutti nel resto del mondo sono interessati alla stabilità del dollaro.
Parallelamente si è ridotto pesantemente il ricorso al dollaro come valuta di riserva. È in corso un processo di sostituzione del dollaro con l’oro nelle riserve delle banche centrali di molti paesi a partire dalla Cina. Non a caso il prezzo dell’oro è andato alle stelle e questa tendenza alla sostituzione del dollaro sia nel commercio che come valuta di riserva porrà seri problemi agli USA nel rifinanziamento del proprio debito. In pratica gli USA dovranno cominciare a pagare i propri debiti.
La grande maggioranza degli economisti pensa che questo sarà un processo lento e quindi non molto rilevante perché è solo all’inizio e non esiste un’altra valuta che possa sostituire il dollaro. Io penso al contrario che essendo il valore del dollaro sostenuto da un elemento fiduciario, nella misura in cui questo non è più largamente condiviso, la perdita di ruolo del dollaro è destinata a procedere a salti e non con una lenta planata. In altri termini non è necessario avere una valuta che sostituisca compiutamente il dollaro affinché avvenga la crisi del dollaro stesso e gli USA ne paghino le conseguenze. Nel capitalismo esistono le crisi e questa si preannuncia rilevante.

La spinta alla guerra degli USA
Quanto sopra riportato ridurrà pesantemente la ricchezza del paese, il livello di vita della popolazione statunitense e aumenterà esponenzialmente le contraddizioni sociali. In un paese in cui vi sono 270 milioni di armi – 89 armi ogni 100 abitanti – e che ha rischiato la guerra civile per il contenzioso sulle elezioni presidenziali nel 2021, le contraddizioni possono diventare “esplosive”.
In altre parole la perdita di centralità del dollaro nel sistema mondiale è destinata a produrre un impatto pesante sul livello di vita e sulla crisi sociale negli USA: per questo le elites capitalistiche statunitensi cercano in tutti i modi di evitare questo esito. Lo stanno facendo con il protezionismo e ricattando e cercando di disciplinare il maggior numero di paesi mondiali, a partire dagli “alleati”, ma è del tutto evidente che si tratta di misure insufficienti per evitare la catastrofe.
La verità è che la guerra è la strada principale che le elites statunitensi hanno scelto per cercare di mantenere la propria posizione di assoluto privilegio nel campo mondiale. Sono divise sulla tattica ma unite sul problema di fondo: quello militare è l’unico terreno in cui gli USA conservano una posizione di superiorità rispetto alle altre potenze. Ho detto prima dell’enorme spesa militare ma questa si compendia con il numero di basi militari all’estero (oltre 900 a fronte della decina di basi militari russe e dell’unica base militare estera cinese). Mentre sul piano economico e tecnologico gli USA non sono più primi e rischiano di perdere la sovranità sul piano finanziario, quello militare è l’unico terreno su cui sono in vantaggio.
Così mentre la Cina, la Russia, l’India, il Brasile avrebbero tutto da guadagnare dal mantenimento della pace perché nella pace potrebbero crescere e migliorare la propria situazione sul piano mondiale, gli USA hanno tutta da perdere dalla prosecuzione della situazione attuale perché li porta al declino e al conflitto interno. Gli USA con la guerra cercano di portare fuori di sé contraddizioni che altrimenti gli esploderebbero in casa. Per questo stanno allargando la NATO anche ad oriente ed individuano nella Cina il nemico principale.

3. L’ Economia. È finito il ciclo iniziato con la nascita del capitalismo e del colonialismo

In un lungo arco di tempo tra l’età dei comuni in Italia e il 1700 in Inghilterra è nato il capitalismo. Nel 1492 Colombo scoprì l’America e a da quella conquista coloniale la storiografia situa la nascita dell’età moderna. Senza addentrarci sulle ragioni che hanno determinato il passaggio dal modo di produzione tributario al capitalismo proprio in Europa, è necessario sottolineare un elemento: nell’età moderna, il capitalismo si è affermato come modo di produzione dominante in un intreccio indissolubile con il colonialismo e questo ha determinato la supremazia dell’Europa sul resto del mondo. Dopo la seconda guerra mondiale il centro imperialista si è spostato da Londra a Washington ma non sono cambiate qualitativamente le cose: il vertice è rimasto in Occidente, lungo un asse atlantico, in mano ad uomini bianchi di tradizione giudaico cristiana.
Il dominio occidentale si è consolidato in centinaia di anni e anche quando il capitalismo si è sviluppato in altre parti del mondo le redini sono sempre state saldamente in mano al comando occidentale: pensiamo a come i piani di aggiustamento strutturale abbiano in Africa sostituito le vecchie forme del colonialismo o come le tigri asiatiche e il Giappone siano stati piegati alla fine del secolo scorso quando hanno espresso velleità oltre il consentito.
Anche questo ciclo economico e di potere è arrivato al termine. Il terremoto finanziario di cui ho parlato nel paragrafo precedente non è che la punta dell’iceberg di un rovesciamento di rapporti di forza tra nord e sud che è avvenuto sul piano economico, produttivo e tecnologico. La Cina sta diventando la principale potenza economica e per questo, non per altro, è considerata il nemico strategico da parte degli Stati Uniti.

Il baricentro del mondo si è spostato dall’Occidente al Sud del mondo.
Questo non significa che il “Sud globale” costituisca una soggettività compatta in grado di sostituire la leadership degli Stati Uniti. Significa che gli Stati Uniti non sono più in grado di esercitare la leadership: il centro del mondo non è più in Occidente e quest’ultimo non ha più abbastanza potere economico e finanziario per impedire questo passaggio.
Stiamo quindi vivendo un passaggio storico in cui l’Occidente, che per secoli ha dominato il mondo, è in declino, non più in grado di continuare a svolgere una funzione egemonica. Da qui deriva, come abbiamo visto, la tendenza ad usare la forza militare – campo in cui l’Occidente mantiene una relativa superiorità – per cercare di restaurare un’impossibile gerarchia che non ha più le basi materiali su cui poggiare. Questa strategia occidentale ha determinato una grande alleanza tra Russia e Cina che aggrava ulteriormente la crisi delle elites occidentali.

La guerra di civiltà

Per legittimare la guerra, per convincere le persone a sacrificare la propria vita, ad accettare la distruzione delle proprie case, le elites si sono inventate e ci stanno imponendo una ideologia incivile e regressiva. Per spazzare via i diritti sociali, il liberismo ha usato l’ideologia della fine delle ideologie ed il mercato come una mannaia. Adesso, che vogliono fare la guerra, accusano gli altri di concorrenza sleale ed al liberismo viene sommato tutto l’armamentario neocoloniale che affida all’Occidente una missione salvifica.
A questo serve la nozione di guerra di civiltà. Per giustificare la guerra occorre dipingere il resto del mondo come barbari che, se non combattuti preventivamente, ci rubano il lavoro e minaccerebbero il nostro stile di vita e le nostre famiglie. La narrazione che le destre razziste usano in politica interna per dipingere gli immigrati come capri espiatori, viene utilizzata da tutto l’universo liberale per dipingere il resto del mondo. La mostrificazione dell’avversario, definire Hitler qualunque governante si opponga ai voleri occidentali, è parte di questa coreografia organizzata dal centro destra come dal centro sinistra che costruisce artificialmente il regime in cui viviamo.
Vi è quindi una grande colonizzazione dei cervelli, operata quotidianamente a reti e poli politici unificati, che a partire dalla guerra di civiltà si articola in alcuni schemi narrativi ripetuti sempre uguali:

  • Innanzitutto noi siamo le vittime e gli altri gli aggressori. Che gli israeliani massacrino i palestinesi da decenni viene cancellato: tutto comincia il 7 ottobre con il barbaro attacco di Hamas. La potenza di fuoco dell’apparato mediatico nostrano è tale da bombardare le opinioni pubbliche con una semplice idea: i cattivi sono gli altri e ci stanno rubando il lavoro ed aggredendo. Un singolo episodio ritenuto utile alla narrazione viene completamente decontestualizzato e trasformato in esemplificazione della tesi generale dell’aggressione subita.
  • In secondo luogo noi siamo i portatori di una civiltà superiore fondata sulla democrazia e sui diritti. Che in Israele ci sia l’apartheid, che nei paesi occidentali si possa votare solo poli politici che sulle questioni centrali la pensano nello stesso modo, viene cancellato. Che il sistema informativo sia nelle mani di potentati economici e politici e che la censura la faccia da padrona anche nei social, con algoritmi programmati per impedire la circolazione di informazioni fuori dal coro, è considerato regolare. Che i diritti sociali in Occidente siano in via di distruzione, si fa finta di non saperlo. Per ragioni di spazio non vado avanti negli esempi e mi limito a richiamare il povero Assange che paga duramente l’aver reso note le bugie del regime.

L’uso politico della religione

Per sostenere in modo più forte questa vera e propria regressione alle pagine più buie dell’Occidente iniziano ad usare, soprattutto nel continente americano, dagli USA al Brasile, la religione. L’uso politico della religione per fondare una separazione tra noi e loro, non è più patrimonio solo delle destre alla Salvini o alla Le Pen. La stessa criminale politica israeliana viene difesa non solo perché gli USA hanno bisogno di una base logistico–militare in Medioriente o perché è difficile venire eletti presidenti degli USA contro il parere della ricca lobby filo israeliana di quel paese. Israele viene difesa qualunque cosa faccia perché nella narrazione della guerra di civiltà rappresenta un simbolo: la fondazione mitica della civiltà giudaico cristiana, la nostra culla e la nostra sentinella di fronte ai barbari, come al tempo delle crociate.

Un regime fondato sulle menzogne verosimili

Questa mistificazione della realtà che arriva fino alla palese strumentalizzazione del messaggio religioso è quindi una componente essenziale dell’attuale ideologia dominante. Non a caso la lotta alla fake news (che esistono) viene usata dall’informazione mainstream per imporre la censura e produrre una montagna di fake news di regime.
Voglio fare qui di seguito tre soli esempi di come ci venga propinata quotidianamente una narrazione complessivamente falsa e finalizzata unicamente a colonizzare i cervelli delle opinioni pubbliche occidentali.

1. L’Ucraina, la vittima sacrificale

La prima narrazione falsa riguarda l’Ucraina. Come abbiamo saputo recentemente dal segretario generale Stoltemberg, la NATO ha preparato la guerra fin dal 2014, ha rifiutato di trattare con la Russia nell’autunno del 2021 per evitare la guerra ed ha convinto Zelensky nel marzo 2022 a strappare il piano di pace che Ucraina e Russia avevano concordato e siglato in Turchia. La NATO ha fatto questo perché aveva la necessità di indebolire la Russia tenendola incastrata in una lunga guerra di logoramento come ha confessato Hillary Clinton.
La guerra, al contrario, è stata invece presentata dai media occidentali come il gesto sconsiderato del pazzoide russo, un fulmine a ciel sereno del novello Hitler che voleva invadere tutta l’Europa, fino al Portogallo. La Russia è stata dipinta nuovamente come “l’impero del male” (si noti il linguaggio religioso). Abbiamo cioè avuto una divaricazione profondissima, degna di una banda di giocatori d’azzardo, tra la narrazione e la realtà.
Nell’immediato la soluzione al problema venne data da Zelensky che, in cambio di soldi e supportato dalla parte più nazionalista e nazista del paese, ha deciso di portare l’Ucraina a fare una guerra per procura, come i mercenari.
Così, in nome della guerra vittoriosa contro la Russia, sono morti centinaia di migliaia di ucraini, senza contare tutti coloro che porteranno sul loro corpo i pesanti segni della guerra per tutto il resto della vita. Oggi, dopo due anni in questa situazione, più nessun ucraino è disponibile ad arruolarsi e così Zelensky, a metà maggio, ha deciso una mobilitazione forzata che trasforma qualunque maschio ucraino, qualunque sia la sua condizione fisica o psichica in una recluta da mandare al fronte e farsi ammazzare. Ovviamente gli ucraini stanno fuggendo in tutti i modi possibili da questa situazione, nascondendosi, non recandosi più al lavoro, non uscendo di casa, scappando all’estero come clandestini o cercando di non rientrare in patria anche se richiamati. I paesi europei stanno variamente collaborando con il governo ucraino nel rimandare indietro i cittadini ucraini oggi all’estero. Per arruolare chi ha la sfortuna di essere rimasto in ucraina, il Consiglio dei Ministri ha addirittura autorizzato i capi dei condomini a notificare mandati di comparizione ai residenti dei palazzi da loro gestiti. Ci pensano poi le squadre naziste a “reclutare“ i cittadini renitenti alla leva e a portarli al fronte mentre loro svolgono in tutta sicurezza queste funzioni di “reclutamento”. Tutto questo avviene perché la NATO non vuole arrivare ad una trattativa che metta fine alla guerra essendosi data come obiettivo di tenere la Russia incastrata nel tritacarne ucraino. Ovviamente di tutto questo i media occidentali non dicono nulla: un silenzio criminale e tombale.
Nei telegiornali dicono che bisogna dare armi all’Ucraina per permettergli di trattare da posizioni di forza ma sanno benissimo che è una menzogna: più armi diamo, più la guerra va avanti e più ucraini muoiono.
Così la guerra in Ucraina continua, sempre in bilico tra guerra perpetua e terza guerra mondiale e nel frattempo la NATO cerca di aprire altri fronti di guerra, dalla Moldavia alla Georgia per arrivare alle Filippine e a Taiwan contro la Cina.

2. Siamo tutti sulla stessa barca?

Tutta la propaganda veicola l’idea che i popoli occidentali abbiano gli stessi interessi delle classi dirigenti e che questi interessi sono contrapposti a quelli degli altri popoli del mondo.
Con il liberismo, hanno distrutto i diritti dei lavoratori occidentali; adesso le elites edificano una sorta di “neonazionalismo occidentale” per contrapporsi “agli altri” su tutti i piani : economico, finanziario, culturale, identitario. Non a caso negli USA le elites – che siano democratiche o repubblicane – propongono congiuntamente politiche fortemente protezioniste e militaristiche.
La comunanza di interessi tra i popoli e le elites occidentali è una menzogna colossale.
Le diseguaglianze sono drasticamente aumentate sia a livello mondiale che in ogni singolo paese. Mentre i salari tendono ad una maggiore uniformità, la grandi ricchezze sono aumentate ovunque. La contraddizione non è tra i lavoratori ma tra le classi sociali: la lotta per redistribuire drasticamente i redditi al di sopra del milione di dollari potrebbe essere una parola d’ordine che unifica il 90% della popolazione mondiale contro la ristretta fascia di milionari. Certo nei paesi più ricchi – che non sono solo occidentali – i milionari sono molti di più, ma la loro “tosatura” con la conseguente redistribuzione del reddito e l’utilizzo di queste risorse per investimenti pubblici che allarghino la sfera dei diritti sociali cambierebbe radicalmente la faccia del pianeta.
La stessa cosa vale nel rapporto tra le multinazionali e il tessuto economico e sociale dei diversi paesi. E’ del tutto evidente che la concorrenza e la guerra tra i poveri esiste solo in basso tra i lavoratori e tra le piccole e medie imprese: ai livelli alti non ci sono mai perdenti ma solo spartizioni del mercato o fusioni in cui tutti hanno la loro fetta di torta. In altri termini le multinazionali drenano risorse dai territori e agiscono come giganteschi organismi di disciplinamento del lavoro: la loro socializzazione nei paesi ricchi come in quelli poveri è la condizione per poter realizzare la giustizia sociale e per costruire un mondo di cooperazione. Oggi abbiamo una sorta di socialismo per soli ricchi e di inferno per la stragrande maggioranza del mondo del lavoro.
Alla presa in giro del nazionalismo identitario costruito attorno alla contrapposizione tra Occidente e resto del mondo dobbiamo contrapporre la chiara realtà dello sfruttamento di classe e la necessità della lotta del basso contro l’alto, in Occidente come nel resto del mondo.

3. Stati Uniti ed Europa hanno interessi comuni?

La terza narrazione falsa riguarda i presunti interessi comuni dell’Occidente. Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come proprio dalla perdita della posizione dominante delle elites occidentali nasca la spinta alla guerra. Ogni giorno i media ci parlano degli interessi comuni dell’Occidente: ma è proprio vero oppure anche questa è una gigantesca mistificazione? Userò anche in questo caso la guerra in Ucraina come elemento di verifica.
Sul piano militare e finanziario gli USA hanno voluto la guerra e poi, da qualche mese, stanno dicendo che l’Europa deve farsi carico del finanziamento della stessa. Questo in un contesto in cui un paio di anni fa, in ambito NATO, era stato deciso di aumentare il contributo di ogni paese europeo portandolo al 2% del PIL.
Sul piano economico le sanzioni che non hanno piegato la Russia hanno però piegato l’Europa: La Germania – che dell’Europa è la locomotiva e che dal rapporto privilegiato con la Russia traeva un indubbio vantaggio competitivo fondato sull’approvvigionamento di materie prime a basso costo – ha subito un colpo pesantissimo. I danni rischiano di raddoppiare nella misura in cui le politiche di decoupling, imposte dall’amministrazione statunitense, ridurranno i rapporti economici con la Cina, privando la Germania di un fondamentale sbocco di mercato e di un importante partner industriale.
Come se non bastasse gli USA ci vendono il gas triplicando il prezzo e questo genera un enorme vantaggio competitivo delle imprese di quel paese. A questo si aggiunge un grande programma di incentivi a favore delle imprese che aprono nuovi stabilimenti negli USA: questo sta spingendo non poche industrie tedesche a dirottare i propri investimenti verso il nuovo continente.
In altri termini la Germania è oggi a crescita zero e l’Italia, che dei tedeschi è un subfornitore, pagherà con qualche mese di ritardo il disastro che sta subendo l’industria tedesca.
Non è un caso se gli USA stanno crescendo ad un tasso doppio rispetto a quello Europeo.
Da questo quadro sommario emerge un dato molto chiaro: le misure assunte dall’Occidente nel contesto della guerra in Ucraina stanno danneggiando l’economia europea e la mettono in prima linea nella guerra. Rischiamo cioè che l’escalation determinato dalle forniture all’Ucraina di missili che possono colpire il territorio russo o da qualche altra alzata d’ingegno determini l’allargamento della guerra dall’Ucraina all’Europa.

Gli USA scaricano il proprio declino sui popoli europei

Qualcuno si illude che si tratti di un errore di calcolo, di un incidente di percorso. La realtà è che gli Stati Uniti, per frenare il proprio declino e non volendo rischiare di arrivare ad un conflitto nucleare dispiegato con Russia e Cina – che non avrebbe vincitori né vinti – sta prendendo tempo e allargando i propri spazi di manovra indebolendo pesantemente il proprio alleato europeo e scaricandogli il fardello dei costi e dei rischi della guerra prolungata contro la Russia. Il risultato è quello di avere un competitor in meno sul piano economico e di avere chi prende il posto dell’esausta Ucraina nella guerra perpetua contro la Russia.
Zelensky ha messo l’Ucraina a disposizione della guerra. Le classi dirigenti europee di centro destra e di centro sinistra stanno mettendo l’Europa a totale disposizione degli USA nel sostituire l’Ucraina nella guerra e nel suicidarsi economicamente.
La retorica dell’Occidente e la comunanza di interessi tra gli Stati Uniti e l’Europa costituisce quindi l’ennesima menzogna. La realtà ci dice che gli Stati Uniti, nel disperato tentativo di evitare il proprio declino e la propria crisi interna, stanno spargendo guerre in tutto il globo. Costruiscono la retorica dell’Occidente aggredito e usano l’Europa come utile idiota per trasformare il vecchio continente in un campo di battaglia che declini economicamente al posto degli Stati Uniti.
Difficile trovare i termini per descrivere la criminale politica delle elites europee che stanno sacrificando l’Europa alla volontà statunitense ed hanno tradito ogni fiducia dei popoli del vecchio continente.

In conclusione…

Come rovesciare questa drammatica situazione? Innanzitutto avanzando una proposta di alternativa nella consapevolezza che non vi è alcuna ragione oggettiva per cui oggi il mondo debba sottostare alla logica della guerra: vi sono tutte le condizioni per un mondo di pace e di giustizia. Non siamo più in un mondo caratterizzato dalla scarsità economica: l’enorme aumento della produttività del lavoro umano, lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e della tecnica ha posto le condizioni per un radicale miglioramento delle condizioni di vita dell’intera umanità da realizzarsi in pace attraverso la redistribuzione della ricchezza, del potere, del lavoro, la salvaguardia dell’ambiente naturale e la cooperazione tra i popoli. L’attuale spinta alla guerra deriva integralmente dalle contraddizioni del modo di produzione capitalistico fondato sul profitto e dalla volontà delle elites occidentali di mantenere la propria condizione di privilegio e dominio a livello mondiale.

Per questo:

  1. Rifiutiamo la logica della guerra e dell’arruolamento: non siamo in guerra e non siamo arruolabili nella guerra contro il resto del mondo. Consideriamo l’ideologia dello scontro di civiltà – punto di incontro tra ideologia liberale, colonialista e fascista – una regressione culturale e civile contro cui lottare con tutte le nostre forze. Siamo contro la guerra ed a favore della soluzione pacifica delle controversie internazionali, a favore della trattativa e del compromesso. Per ottenere questo risultato siamo contro la fornitura delle armi a Kiev e per il più forte isolamento e boicottaggio dello stato di Israele. La fine della guerra in Ucraina e la sua neutralità, la fine del genocidio del popolo palestinese e la sua autodeterminazione sono i nostri obiettivi immediati.
  2. Rifiutiamo la ghettizzazione che le elites occidentali vogliono imporci quando ci indicano come traditori. Nella logica maccartista che caratterizza le classi dominanti, chi non sta con l’occidente sta contro l’occidente, sta con i suoi nemici. Noi non siamo contro l’occidente ma contro le classi dominanti dell’occidente e la loro ideologia che postula la superiorità dell’occidente. Non siamo tifosi e contestiamo la logica e la necessità della guerra, non ci facciamo arruolare in nessun esercito e operiamo per la pace, per la tregua, per il compromesso e la cooperazione su scala internazionale. Serve lo sciopero generale contro la guerra!
  3. Non arruolati, non traditori, siamo disertori! Disertiamo la logica della guerra di civiltà a cui contrapponiamo un nuovo umanesimo egalitario che riguardi tutta l’umanità. Siamo portatori di un pensiero universalista che non costruisce gerarchie tra gli umani sulla base dell’appartenenza religiosa, nazionale o sul colore della pelle.
  4. L’occidente è sempre stato terreno di scontro tra le classi e tra idee radicalmente diverse. In occidente sono nati il colonialismo, il razzismo, il fascismo, il nazismo, ideologie che combattiamo e aborriamo. Noi siamo occidentali, eredi della rivoluzione francese, di quella Russa, della lotta partigiana, delle lotte del 68/69 e – da occidentali – lottiamo per un progetto di società radicalmente alternativo a quello dei ceti dominanti occidentali.
  5. Per costruire oggi un universalismo comunista, al fine di abolire lo sfruttamento sull’umanità e sulla natura, le nostre radici rivoluzionarie occidentali debbono incontrarsi con le elaborazioni e le pratiche dei popoli del sud del mondo. Un nuovo universalismo comunista, antimperialista, non può che essere costruito su scala mondiale a partire dai diversi punti di vista e interessi dei popoli del nord e del sud.
  6. Proprio per costruire e far avanzare questo punto di vista universalista ed alternativo a quello delle elites è necessario contrapporsi ad un sistema politico, mediatico e culturale che è organizzato in due poli che sostengono entrambi le idee e gli interessi delle classi dominanti occidentali. Noi siamo alternativi al sistema di dominio occidentale ed alla sua organizzazione bipolare.
  7. Non solo la pensiamo in modo radicalmente diverso dalle elites occidentali ma riteniamo che i loro interessi siano contrapposti a quelli dei popoli occidentali. Per questo è fondamentale che la lotta per la pace si intrecci con la lotta per la giustizia, per la difesa dell’ambiente, con la lotta di classe. I nemici di tutta l’umanità sono i vertici delle piramidi sociali mondiali e di ogni singolo paese.
  8. La guerra rappresenta la forma più brutale della lotta di classe perché arricchisce le elites e uccide i popoli. La lotta contro la guerra, il conflitto di classe contro le classi dominanti costituisce l’unico modo per difendere gli interessi delle classi popolari e quindi dell’umanità.
  9. Riteniamo che gli interessi dei popoli europei siano radicalmente divergenti da quelli delle classi dominanti degli Stati Uniti e supinamente accettati dalle elites dell’Unione Europea. Riteniamo quindi necessario lottare per la completa indipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti, per l’uscita dalla NATO e la chiusura delle basi militari statunitensi in Europa. Riteniamo necessario costruire l’Europa dei popoli al fine di dar vita ad un continente di pace, giustizia e cooperazione a livello mondiale
  10. Noi lottiamo per un mondo multipolare, fondato sulla cooperazione economica e non sul profitto, che possa vivere in pace e affrontare la grande sfida della riconversione ambientale dell’economia e degli stili di vita. Per questo siamo per lo scioglimento della NATO e per la costruzione di nuovi organismi internazionali di regolazione economica e finanziaria che favoriscano la cooperazione.
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