Verso un nuovo ordine mondiale. Occidente e Oriente

Vincenzo Comito*

La fine del vecchio ordine

L’organizzazione economica e politica del mondo come era uscita dalla seconda guerra mondiale sta progressivamente svanendo; ma non appare del tutto chiaro su come essa si stia veramente trasformando. Peraltro non manca chi cerca di frenare il movimento.

“L’Occidente non è più egemonico; esso deve ormai dividere ricchezza, potere militare, narrazione della Storia, capacità di dettare quella che deve essere la norma nei settori più diversi con molti altri attori” (Frachon, 2023).

I valori che le potenze occidentali continuano a considerare come universali non riescono più ad imporsi nè militarmente, né politicamente, né culturalmente (Billion, Ventura, 2023). Tali valori sono sempre più percepiti ormai come “dei codici dell’Occidente, fatti dall’Occidente, per l’Occidente” secondo la formula di un ricercatore, Bobo Lo.

Si trovano quasi tutti d’accordo sul fatto che la potenza economica, finanziaria, tecnologica, militare degli Stati Uniti, sino a ieri paese di gran lunga dominante, si sta progressivamente riducendo almeno in maniera relativa rispetto al resto del mondo, anche se il dibattito è aperto su quanto forte sia tale riduzione.

Per la verità le posizioni in merito dei vari esperti sono abbastanza divergenti: si va da un Emmanuel Todd, che nel suo volume più recente (Todd, 2024), intravede un declino inarrestabile e abbastanza rapido sino all’idea, peraltro abbastanza minoritaria, di Robert Kaplan (Kaplan, 2015), pensatore neo-conservatore, che nega il declino economico del suo paese.

Intanto, i paesi del Sud del mondo, anche se non costituiscono un complesso del tutto omogeneo, sono comunque ormai in grado di disporre dei mezzi commerciali, tecnologici, finanziari per opporsi alle decisioni unilaterali delle potenze occidentali (Ominami, 2024).

La sfida economica Cina-Stati Uniti

Secondo la Banca Mondiale, nel 2022 il pil cinese, calcolato almeno con il criterio della parità dei poteri di acquisto, risultava pari al 19% di quello mondiale e quello degli Stati Uniti “solo” intorno al 15%. E nel 2023 il paese asiatico dovrebbe avere guadagnato ancora qualcosa rispetto al suo rivale.

In campo tecnologico una ricerca australiana (Hurst, 2023), indica che su 44 settori tecnologici esaminati nello studio la Cina ha oggi il primato su tutti gli altri paesi, compresi gli Stati Uniti, in ben 37 di essi, mentre questi ultimi continuano a guidare il resto del mondo soltanto nelle restanti 7 tecnologie. Nessuno degli altri paesi, compresi quelli europei, ha quindi il primo posto in qualche settore.

Si può certo esprimere qualche dubbio sull’esattezza delle stime, forse volutamente esagerate, per ragioni di strategia politica, sulla forza della Cina (lo studio, essendo sponsorizzato dal Dipartimento della Difesa Usa potrebbe essere anche finalizzato ad ottenere più fondi dal Congresso sottolineando il “pericolo cinese”), ma non si può dubitare che comunque il paese asiatico stia facendo passi in avanti prodigiosi nel settore delle nuove tecnologie.

La Cina è anche diventato il più grande finanziatore dei paesi emergenti, superando le potenze occidentali che hanno dominato il settore per più di 50 anni.

I paesi emergenti e la Cina

Ricordiamo ancora, a livello più generale, che ormai i paesi del Sud del mondo controllano circa il 60% del pil mondiale e che si prevede che nel 2030 i due terzi delle classi medie saranno collocate in Asia.

Si può ancora sottolineare, su di un altro piano, come oggi la guerra in Ucraina e quella Israele-Hamas abbiano mostrato come si stia scavando una frattura politica profonda tra i paesi occidentali e quelli del Sud; si registra in particolare una perdita di autorità morale da parte degli Stati Uniti, perdita messa in evidenza anche clamorosamente nel caso della guerra di Israele.

Non va peraltro sottovalutata la forza ancora presente degli stessi Stati Uniti; ad esempio sul fronte finanziario, militare o del cosiddetto soft power il paese mantiene ancora una rilevante leadership a livello mondiale, anche se essa appare erosa progressivamente dalla Cina. Per altro verso, se consideriamo il campo occidentale in totale, comprendendovi i paesi dell’Unione Europea, il Giappone e qualche altro Stato alleato, esso mantiene un peso molto forte in diversi campi. Peraltro la scalata dei paesi nuovi non è certo terminata.

I problemi del mondo

Il contrasto Usa-Cina, alimentato quasi esclusivamente dai primi, si svolge sullo sfondo di gravi problemi per il mondo, da quelli ambientali, a quelli della povertà, delle diseguaglianze e dell’insicurezza sociale, alla crisi del debito, alla riduzione dei ritmi di crescita dell’economia mondiale, allo sviluppo di una tecnologia dirompente e fuori controllo, ai molti conflitti locali, alla crescita rilevante nel mondo delle forze nazionaliste e populiste, agli stessi rischi di guerra tra le grandi potenze.

L’egemonia di un profitto incontrollato, tra l’altro causa fondamentale della crisi ecologica, aumenta le diseguaglianze in ogni paese e su tutto il pianeta (Morin, 2024). In termini più generali si può ricordare come le Nazioni Unite qualche anno fa avevano fissato degli obiettivi in 17 punti di sviluppo sostenibile per l’umanità all’orizzonte 2030. Vi erano compresi tra l’altro i temi della povertà, della fame, della salute e del benessere, dell’educazione, dell’eguaglianza tra i sessi, dell’acqua pulita e dell’igiene, dell’energia pulita e a costi contenuti, di un lavoro decente e della crescita economica, della riduzione delle diseguaglianze, della lotta al cambiamento climatico. Ma nel 2023 la stesso segretario dell’Onu, Antonio Guterres, in una sua analisi amara, doveva constatare come complessivamente il progresso verso il raggiungimento degli stessi fosse gravemente insufficiente.

La demografia

I mutamenti in atto nel mondo derivano in maniera rilevante anche da un fattore che deve essere in genere considerato come fondamentale nell’evoluzione della Storia, ma spesso sottovalutato, quello demografico.

Oggi i paesi del Nord del mondo contengono al loro interno qualcosa di più di un miliardo di abitanti, mentre quelli del Sud circa sette miliardi. Nei prossimi decenni, poi, mentre la popolazione dei paesi ricchi tenderà a diminuire, in quelli del Sud essa continuerà a crescere, anche se i tassi di natalità appaiono in discesa rilevante in tutto il mondo.

Nei paesi del Sud cresce fortemente la speranza di vita alla nascita, mentre il tasso di mortalità infantile si riduce fortemente. Di più, il livello medio di istruzione di questo secondo gruppo di paesi non cessa di migliorare anche in maniera molto rilevante. Al contrario, in un paese come gli Stati Uniti stiamo assistendo ad un’inversione nella curva di mortalità, che è ripartita all’aumento in una parte consistente della popolazione, quella meno favorita, mentre aumenta anche il tasso di mortalità infantile.

Gli Stati Uniti cercano di resistere

Ma gli Stati Uniti non vogliono riconoscere le nuove realtà. Graham Allison, professore ad Harvard, riassume perfettamente la situazione: “Gli americani sono scioccati dall’idea che la Cina non resti al posto che gli era stato a suo tempo assegnato in un ordine internazionale diretto dagli Stati Uniti” (Bulard, 2023). Così, dopo le misure varate da Trump contro le merci asiatiche, con Biden si è sviluppata un’offensiva economica, tecnologica, finanziaria, militare, politica, tout azimut, rivolta contro tutte le iniziative e le mosse di Pechino, cercando di coinvolgere nella stessa quanto più paesi possibile in tutti i continenti e su tutte le questioni.

Va sottolineato come il “complesso militare-industriale” che domina la politica del paese ha interesse a soffiare sul fuoco il più possibile per assicurarsi risorse finanziarie sempre più elevate per il suo settore e comunque esso mira a frenare l’ascesa della Cina.

L’offensiva di Washington presumibilmente fallirà, almeno in gran parte, ma essa rischia di danneggiare intanto gravemente la relativa pace del mondo e lo sviluppo dei rapporti economici tra i vari paesi, mentre ostacolerà la soluzione dei grandi problemi cui si trova oggi esposta l’umanità.

Le dottrine cambiano secondo la convenienza

Nel dopoguerra le potenze occidentali hanno praticato con apparente convinzione e molto a lungo la dottrina del libero mercato, dell’apertura dei vari paesi al commercio internazionale e agli investimenti e ai capitali esteri, della non ingerenza dello Stato nell’economia, imponendo la loro ideologia sostanzialmente a tutti. Ma ora che i paesi in via di sviluppo hanno cominciato a copiare con successo il gioco della concorrenza, gli allievi avendo alla fine superato il maestro, la vecchie regole non valgono più. Stati Uniti ed Europa si chiudono progressivamente alle merci cinesi e degli altri paesi con i pretesti più vari, mentre l’intervento di sostegno dello Stato diventa fondamentale anche in Occidente.

Come ha scritto per altro verso un giornale sud-coreano (Hardwick, Tabarias, 2023) “…gli Stati Uniti si vanno trasformando da guardiani del libero commercio a distruttori dello stesso…nonostante essi siano i leader dell’ordine commerciale internazionale, sono perfettamente desiderosi di liberarsi di questi principi quando essi non sembrano più servire i loro interessi…”.

Verso un nuovo ordine multipolare?

Certamente Cina e Stati Uniti saranno i due massimi protagonisti della scena mondiale ancora almeno per un lungo periodo, con la stessa Cina che dovrebbe accrescere ancora il suo peso rispetto al rivale. Ma le relazioni tra i due paesi non sembrano poter esaurire il quadro del nuovo ordine (o disordine) internazionale in via di formazione. Può darsi che si stia configurando un secolo cinese, come pensano alcuni, mentre molti altri prevedono invece l’affermazione di un mondo pluralista, in cui si affermeranno anche una serie di potenze intermedie che, cercando di tenere buoni rapporti con i due, tenderanno comunque ad affermare la propria autonomia e a pesare in maniera consistente sui destini del mondo. E in effetti, accanto all’ ascesa della Cina, bisogna considerare anche la volontà di emancipazione delle potenze regionali, il secondo fatto che sta sovvertendo l’ordine geostrategico mondiale. Paesi come l’Arabia Saudita, l’Indonesia, l’India, il Brasile, il Sud-Africa, mirano a una crescita economica molto forte e scommettono molto, a tale fine, sulla globalizzazione. In sostanza, per altro verso, tutti tali paesi rifiutano la lettura delle crisi del mondo contemporaneo fatta dagli Stati Uniti e dall’Occidente in generale (Kauffmann, 2023). 

Bisogna considerare che gli stessi cinesi non sembrano mirare, come invece suggeriscono una miriade di testi occidentali che parlano di una Cina pronta a conquistare l’intero globo, all’egemonia mondiale, ma anche essi sembrano auspicare la costruzione di un mondo multipolare.

Qualcuno ha correttamente parlato, a proposito di questi nuovi sviluppi recenti, di “disoccidentalizzazione” del mondo, qualcun altro ha sottolineato come questo tenda ad essere il “secolo dell’Asia”, mentre infine qualcun altro ha invece messo l’accento sul fatto che quella che abbiamo davanti si configuri come l’“età delle potenze intermedie. Invece di un menu di alleanze a prezzo fisso, in cui bisognava scegliere uno dei due campi, si potrebbe affermare un mondo con scelte à la carte (Russell, 2023), in cui magari i vari paesi tendano anche a giocare le due grandi potenze una contro l’altra, per ottenere il massimo dei vantaggi possibili. C’è anche chi, ad esempio lo storico Franco Cardini (Cardini, 2023), vede peraltro delinearsi, correttamente secondo noi, un “multipolarismo imperfetto”, “confuso, slabbrato, pieno di labilità e di incognite”.

In ogni caso viviamo in questi anni un periodo di crisi e di difficoltà su molti fronti, una crisi che è anche di egemonia; si può a questo proposito fare un confronto con le vicende del 1929. Il crack è a suo tempo scoppiato per molti aspetti per la ragione che la Gran Bretagna non ce la faceva più a governare il mondo, si era ormai troppo indebolita, mentre gli Stati Uniti non avevano ancora la forza di prenderne il posto; il passaggio del testimone avverrà soltanto alla fine della seconda guerra mondiale. Tra l’altro nel 1945 la quota degli Stati Uniti sull’industria mondiale era pari al 45% (oggi è al massimo al 17%).

Bisogna comunque sottolineare che mentre i processi di disoccidentalizzazione in atto mostrano correttamente la ricomposizione in atto della gerarchia mondiale degli Stati e delle loro alleanze, tale concetto non ci dice invece molto né della natura dei progetti che i paesi nuovi portano avanti, né in quale misura essi tendono a rifiutare di aderire alla logica di accumulazione predatoria delle potenze occidentali (Billion, Ventura, 2023).

I rapporti Cina-Usa e la globalizzazione

-la lotta degli Stati Uniti contro la Cina

Da anni ormai, come abbiamo già accennato, gli Stati Uniti perseguono in ogni modo il tentativo di ridurre al massimo i rapporti economici, tecnologici, finanziari con la Cina e stanno cercando anche di spingere, oltre agli alleati asiatici, i fedeli e mediocri esecutori che guidano Bruxelles a fare altrettanto. L’obiettivo di fondo sembra essere quello della creazione di due blocchi contrapposti, quello degli amici e quello dei nemici. E certo qualche risultato è stato in questo senso raggiunto e qualcun altro potrebbe seguire. Le catene di approvvigionamento mondiali, ma soltanto di certi prodotti, si vanno in effetti riconfigurando secondo un doppio binario, la catena cinese e quella statunitense.

Ma bisogna d’altro canto considerare che sul piano economico tale politica di riconfigurazione delle catene di approvvigionamento è alla fine almeno in parte evitata dalla Cina attraverso una triangolazione di produzioni. Le imprese del paese asiatico, invece di esportare le loro merci direttamente in Usa, lo fanno indirizzandole attraverso paesi terzi; la dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina rimanendo così sostanzialmente intatta (The Economist, 2023). Mentre gli Stati Uniti non possono fare a meno di alcuni tipi di prodotti cinesi, ora la lotta al cambiamento climatico avrebbe comunque bisogno del sostegno delle tecnologie e delle produzioni del paese asiatico per essere portata avanti con maggiore rapidità e con costi più contenuti.

Appare comunque abbastanza chiaro che la stessa Cina, viste anche le difficoltà con l’Occidente, tende a rafforzare fortemente i suoi rapporti economici con i paesi del Sud del mondo. Così, ad esempio, il commercio estero del paese presenta una forte spinta in direzione in particolare dei paesi asiatici, come mostrano anche i primi dati del 2024. Intanto il Fondo Monetario Internazionale mette in guardia contro una frammentazione geo-economica, una nuova spinta protezionista che potrebbe frenare lo sviluppo dell’economia mondiale (Bezat, 2023).

-Non siamo alla fine della globalizzazione

Si parla da diversi anni ormai di fine della globalizzazione, di friendshoring, di nearshoring, di decoupling, di derisking e così via. Certamente peraltro i risultati ad oggi ottenuti non sono certo pari agli sforzi impiegati.

Comunque, come abbiamo già ricordato, alcuni, ma solo alcuni, la politica di Biden li ha ottenuti sul fronte della deglobalizzazione. Si pensi soltanto al settore dei chip, nel quale le esportazioni di prodotti e servizi avanzati da parte dei paesi occidentali verso la Cina stanno crollando. Ma tale blocco, al di là di alcune loro difficoltà temporanee, sta ottenendo il risultato di spingere i cinesi a moltiplicare gli sforzi per ridurre e poi annullare il loro ritardo tecnologico nel settore. E i risultati di tali sforzi cominciano ad emergere.

I legami economici e finanziari tra gli stessi paesi occidentali e la Cina sono ormai così forti e le catene del valore sono così interlacciate che una sostanziale caduta dei rapporti appare molto difficile. Il mondo degli affari occidentale è poi per la gran parte ostile ai tentativi di allentamento delle relazioni economiche. Si pensi ad esempio al caso della Germania, paese nel quale una parte del mondo politico cerca, obbedendo a Washington, di allentare i legami con il paese asiatico, mentre le grandi imprese tendono semmai a volerli approfondire. Un distacco rilevante sarebbe per il paese teutonico un vero suicidio.

Il punto è che quello cinese è ormai il mercato più importante del mondo per quanto riguarda la gran parte dei settori economici, mentre il rapporto prezzo prestazioni delle sue produzioni sembra quasi sempre imbattibile.

Una digressione storica

I processi di globalizzazione sono stati, tra l’altro, una trama connettiva fondamentale delle vicende umane nel corso dei millenni. E le economie e gli Stati contemporanei funzionano attraverso, nella sostanza, una inestricabile interdipendenza.

Ci possono essere dei momenti di maggior dinamica del fenomeno e dei momenti di stanca e di manifestazioni evidenti di troppo forti squilibri. Ma nel fondo, a parere di chi scrive, non ci si può sbagliare: le aperture più o meno spinte dei mercati e le cadute del peso dei confini tra i vari paesi, imperi, territori, ritornano sempre e i muri alla fine crollano (Comito, 2019).

Se guardiamo retrospettivamente, i momenti di forte chiusura su se stessi dei vari paesi e dei vari imperi sono, comunque, normalmente, tra i meno felici della Storia. Si pensi, a questo proposito, soltanto al periodo tra le due guerre mondiali. Esso, con il suo carico di nazionalismi, di conflitti tra le grandi potenze, di crisi economica, ha visto dei rilevanti tentativi di chiusura delle frontiere ai movimenti di merci, di persone, di capitali. Questo non significa ovviamente che i processi di mondializzazione non presentino anche degli aspetti negativi, in particolare sul fronte del lavoro anche se non solo, aspetti che andrebbero in ogni caso gestiti.

L’ultima ondata di globalizzazione ha avuto, tra l’altro, come risultato una riduzione importante della povertà nel mondo ed anche delle diseguaglianze tra le varie economie nazionali, al prezzo comunque dell’aumento invece delle diseguaglianze all’interno di molti paesi. Eravamo comunque in un gioco a somma, tutto sommato, positiva. Ma ora, come già suggerito, gli obiettivi non economici, la dimensione politica, la rivalità in materia di potere e di potenza tendono a giocare un ruolo dominante, a scapito del gioco dei mercati, anche se imperfetti e si tendono quindi a sacrificare l’efficienza economica, le economie di scala e di agglomerazione, la diffusione e lo scambio tecnologico, entrando quindi il mondo in un gioco a somma zero, in cui la potenza di un paese non può esercitarsi che a scapito di quella degli altri (Benhamou, Cartapanis, 2023).

I Brics

Quella dei Brics appare la principale alleanza in atto dei paesi emergenti, anche se da una parte si tratta di un’alleanza in gran parte informale, mentre dall’altra l’opinione sulle varie questioni non è sempre unanime tra tutti i paesi del raggruppamento; si pensi in particolare alle divergenze in atto tra la Cina e l’India.

Il pil dei cinque paesi fondatori, prima dell’adesione di nuovi membri alla fine del 2023, si collocava, in termini di parità dei poteri di acquisto, intorno ai 40.000 miliardi di dollari, contro i 30.000 dei paesi facenti parte del G-7. Tali cifre relative ai Brics sono destinate ora a crescere con l’arrivo di nuovi paesi, dall’Iran, all’Etiopia, all’Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti, all’Egitto. I Brics mirano apparentemente alla messa in opera di un nuovo ordine economico internazionale nel quale cambino le regole del gioco e il ruolo dei paesi emergenti diventi molto più importante, riducendo l’egemonismo di quelli occidentali, a partire dagli Stati Uniti. In ogni caso l’alleanza tende a rinforzarsi ancora; in effetti molti altri paesi, una quarantina, chiedono di entrare nel gruppo, mentre si estendono le sue attività in campo finanziario. Così, da una parte, si sta cercando di rinforzare la banca di sviluppo del gruppo creata nel 2014, dall’altra di mettere a punto dei meccanismi di sganciamento dall’utilizzo del dollaro nelle loro transazioni commerciali e finanziarie.

Ricordiamo l’esistenza anche di un altro raggruppamento a guida cinese e russa, la Sco, che comprende al suo interno alcuni dei paesi del Brics ma anche degli altri protagonisti. 

I raggruppamenti dei Brics e dello Sco potrebbero funzionare alla fine come i poli di aggregazione generali di un nuovo ordine internazionale alternativo a quello precedente e che i paesi occidentali cercano in qualche modo di puntellare. 

L’Unione Europea e gli Stati Uniti: la sudditanza politica della UE

Intanto bisogna ricordare come le due guerre mondiali abbiano posto fine alla centralità europea nell’ordine mondiale, centralità durata parecchi secoli.

Oggi l’Unione Europea appare niente altro che un’area soggetta alla volontà degli Stati Uniti e non in grado di esprimere alcuna volontà politica autonoma, come mostra, tra gli altri, un esauriente volumetto di Luca Caracciolo (Caracciolo, 2022). Le proiezioni che si fanno all’orizzonte 2050 mostrano che a tale data si registrerebbero solo tre grandi potenze economiche e politiche, la Cina, gli Stati Uniti e l’India. Una unificazione politica di gran parte dei paesi europei appare improbabile.

Nel 2008 le economie di Stati Uniti e Unione Europea erano grosso modo della stessa dimensione, anzi quella della Ue presentava un livello del pil un poco superiore. Ma dopo di allora l’andamento dei due blocchi è stato sempre più divergente. Oggi il pil statunitense è all’incirca più grande di un terzo rispetto a quello europeo e senza la Gran Bretagna di circa il 50%. E comunque l’Europa dipende dagli Stati Uniti per le tecnologie, l’energia, il capitale e la protezione militare (Rachman, 2023).

Per altro verso, mente registriamo un declino almeno relativo della potenza americana, assistiamo contemporaneamente alla sua forte e crescente presa sull’Europa.

Ma da cosa dipende tale egemonia recente degli Stati Uniti? Le ragioni sono molte, dal più forte stimolo pandemico, alle ripercussioni dell’invasione russa dell’Ucraina, al boom del settore tecnologico Usa, alla più larga disponibilità di capitali, mentre anche gli investimenti e la produttività crescono di più in Usa e mentre la nostra appare come una società che invecchia, tra l’altro non più in grado di esprimere una classe dirigente adeguata ed anzi registrando una spinta politica regressiva (Romei, Smith, 2023).

Un indicatore molto importante della crisi economica dell’UE è costituito dal caso della Germania. Il paese più importante dell’Unione è in preda ad una rilevante crisi politica e soprattutto economica; si tratta della carenza di prospettive strategiche, con alcuni dei pilastri del paese, l’auto da una parte, la chimica dall’altra, che non trovano più nel nostro continente delle possibilità di espansione rilevante e devono ricorrere, per andare avanti, agli investimenti in Cina e negli Stati Uniti, mentre le loro tecnologie in questi come in altri settori rischiano di essere messe in serie difficoltà. Intanto, comunque, a livello politico l’attuale dirigenza del paese appare molto debole e divisa al suo interno.

Il caso degli enti internazionali

Dopo la fine della seconda guerra mondiale fu creata una serie di istituzioni che avrebbero dovuto contribuire a stabilizzare il nuovo ordine mondiale uscito dalla fine della guerra. Furono così varati il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione per il Commercio Mondiale. Tali organismi risultarono presto essere governati in via quasi esclusiva dagli Stati Uniti, anche se l’Europa avrebbe avuto diritto, per graziosa concessione Usa, alla direzione del Fondo.

L’IMF, la WB, il WTO (le sigle con cui tali enti sono conosciuti nel mondo), si trovano oggi in grande difficoltà, non riuscendo più ad adempiere pienamente e per diverse ragioni alla loro funzione, anzi, come sostiene Martin Guzman, già ministro delle finanze argentino, il sistema corrente contribuisce ad avere come risultato una economia globale instabile e ingiusta, o, come dice Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, l’architettura finanziaria globale di oggi è troppo vecchia, disfunzionale ed ingiusta (Cohen, 2023); il sistema, più in generale, concepito circa ottanta anni fa, non appare in ogni caso adeguato alla situazione che esiste oggi, periodo in cui nuovi conflitti geopolitici sono in contrasto rilevante con le relazioni economiche stabilite a suo tempo e con le minacce imminenti del cambiamento climatico (Cohen 2023).

Con il blocco almeno relativo delle loro attività, i tre organismi stanno sempre più perdendo di rilevanza, mentre la Cina, in parte con altri paesi, sta potenziando dei meccanismi alternativi, che tendono a diventare più importanti di quelli citati. Ricordiamo che sono in piedi orami da dieci anni i meccanismi della Belt and Road Initiative, che in tale periodo ha messo in opera investimenti per mille miliardi di dollari rivolti a 150 paesi. Ci sono poi gli organismi di finanziamento del commercio estero del paese asiatico, mentre ormai funziona quasi a pieno regime l’AIIB, rivolta all’Asia e si stanno potenziando le istituzioni bancarie dei Brics e dello Sco.

Qualche attenzione deve essere infine data alla situazione dell’Onu. Anche tale istituzione fu creata alla fine della seconda guerra mondiale sotto la spinta degli Stati Uniti e faceva parte del progetto complessivo di governo del mondo sotto la loro egemonia. Anche in questo caso il contesto appare ormai largamente mutato e l’ente, mentre ha perso molta della sua rilevanza, anche se svolge ancora un’azione meritoria con le sue varie agenzie specializzate, si trova sotto la pressione di chi vuole cambiare lo stato delle cose. Intanto il numero dei paesi aderenti all’organizzazione è fortemente mutato nel tempo e il numero dei paesi emergenti è enormemente lievitato, mentre nel Consiglio di Sicurezza sono presenti paesi come la Francia e la Gran Bretagna, ormai potenze minori, mentre non sono rappresentati Brasile, India, l’intera Africa, l’Arabia Saudita.

La dedollarizzazione

L’egemonia degli Stati Uniti sul resto del mondo riposa per una parte molto consistente sul controllo dell’unica moneta internazionale di fatto, il dollaro. La valuta Usa è di gran lunga la più usata per gli scambi commerciali, per le operazioni finanziarie sui mercati, come anche infine come moneta di riserva delle banche centrali, portando come conseguenza ad un “esorbitante privilegio” per il paese, come ha detto a suo tempo Giscard D’Estaing, già presidente della repubblica francese. In tale situazione, da una parte il paese si può permettere una politica di bilancio molto libera, dall’altra può condizionare e ricattare in molti modi gli altri paesi del mondo (“la nostra moneta, il vostro problema”, come ha dichiarato molti anni fa un ministro del governo Usa).

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina gli Stati Uniti hanno reagito tra l’altro con il sequestro delle riserve in dollari della Russia; ma è anche noto che tale misura ha scosso in profondità i governi della gran parte dei paesi del Sud, che hanno cominciato a pensare che la stessa cosa avrebbe potuto succedere anche a loro in futuro per qualsiasi pretesto che gli Usa avrebbero potuto avanzare nei loro confronti.

Così negli scorsi mesi abbiamo assistito ad una serie di iniziative anche disordinate volte a ridurre il peso del dollaro nel regolamento delle transazioni commerciali tra i vari paesi; tali iniziative continuano ad andare avanti. C’è da dire che, in generale, le ipotesi della sostituzione piena del dollaro con lo yuan non sembra completamente fattibile, visti l’ostilità da parte di alcuni paesi e diversi problemi tecnici, tra i quali ovviamente la non completa convertibilità della moneta cinese, ma comunque il suo ruolo dovrebbe aumentare fortemente nei prossimi anni. Intanto va avanti il progetto dello yuan elettronico. I Brics, come abbiamo già accennato, stanno ora discutendo su quale meccanismo valutario utilizzare per ancorarvi i loro scambi.

Comunque l’abbandono almeno parziale del dollaro da parte dei paesi del Sud si potrà svolgere apparentemente solo lentamente e con fatica, visto il radicamento profondo dell’attuale sistema e la resistenza occidentale a ogni cambiamento. Il dollaro conserverà peraltro ancora a lungo un ruolo importante. Intanto appare ormai evidente la precarietà della situazione dell’euro, la prima valuta ad essere presumibilmente sacrificata.

Certo la soluzione migliore al problema sarebbe, come emerge ogni tanto, quella di riformare il sistema monetario sulla base del meccanismo dei diritti speciali di prelievo, soluzione anch’essa et pour cause osteggiata dagli Stati Uniti e favorita invece dalla Cina. Tale soluzione sarebbe plausibilmente la più equa possibile e non favorirebbe in particolare nessun paese.

Conclusioni

Nel testo abbiamo cercato di cogliere alcuni dei movimenti essenziali delle trasformazioni in atto nell’assetto dell’ordine mondiale.

Ci troviamo oggi comunque in una situazione nella quale, per riprendere un’idea di Gramsci, il vecchio ordine non ce la fa più mentre il nuovo stenta ancora ad emergere vittorioso. Abbiamo già ricordato come oggi viviamo degli anni di rilevanti disordini che potrebbero essere proprio originati dalla mancanza di un nuovo e chiaro ordine delle cose (Leonhardt, 2023).

In ogni caso, se andiamo verso un mondo pluralista, come sembra di poter intravedere, bisogna cercare di creare al più presto delle istituzioni adeguate per il suo governo. La maggiore difficoltà alla costruzione di tale nuovo sistema rimane l’opposizione degli Stati Uniti, sostenuti come al solito dai vassalli europei.

Per altro verso, in ogni caso una concertazione stretta tra Stati Uniti e Cina apparirebbe essenziale per far fronte alla grandi minacce cui si trova di fronte l’umanità. Una volta per la possibile distruzione dell’umanità si temeva soltanto la minaccia nucleare, ma ora sono venute anche avanti quella climatica e, da ultimo, quella relativa all’Intelligenza Artificiale; tra le cose da fare con il concerto delle grandi potenze non bisognerebbe poi dimenticare, sul piano sociale, la necessità della lotta alle crescenti diseguaglianze all’interno dei vari paesi e tra di essi.

Con Didier Billion e Christophe Ventura (Billion, Ventura, 2023) ci dobbiamo comunque chiedere, alla fine, come definire i contorni di un multilateralismo innovativo, capace di opporre alle logiche caotiche e bellicose attuali delle situazioni invece promotrici di solidarietà e di giustizia, nel quadro di quali alleanze e su quali basi politiche ed economiche.

L’attuale situazione di crisi presente su vari piani a livello globale potrebbe portare ad una crisi finale del capitalismo, come sembrano intravedere alcuni (Couppey-Soubeyran, 2024)? Ricordiamo a questo proposito che, almeno sino ad oggi, il sistema attuale è riuscito a superare nel tempo diverse situazioni di difficoltà di questo tipo; forse, quindi, la nuova fase del sistema sarà quella di una sorta di “capitalismo verde”, fase in cui il capitale, con l’appoggio dello Stato e e attraverso il potere della moneta, potrebbe tentare di estendersi al controllo pieno della natura; le soluzioni di mercato al problema della crisi ambientale tendono ad essere in effetti quelle preferite dai decisori pubblici e privati. Ma l’idea di un’accumulazione illimitata, il cui perseguimento caratterizza tra l’altro da sempre il capitalismo, è ancora possibile?

Parallelamente a questo punto, ci si può chiedere se quello che si va costruendo in Cina è una sorta di nuovo capitalismo di Stato, come si tende a pensare rincorrendo vecchi schemi, o invece, sia pure tra diverse contraddizioni, si tratta di una lenta e complessa marcia verso un sistema alternativo, socialista?


Testi citati nell’articolo

-Benhamou F., Cartapanis A., Un monde de rivalités économiques, Le Monde, 24-26 dicembre 2023

-Bezat J-M., Chine-Etats-Unis, l’impossible divorce, Le Monde, 29 agosto 2023

-Billion D., Ventura C., Désoccidentalisation, repenser l’ordre du monde, Agone, Marsiglia, 2023

-Bulard M., Quand le Sud s’affirme, Le Monde diplomatique, ottobre 2023

-Caracciolo L., La pace è finita, Feltrinelli, Milano, 2022

-Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza, Bari-Roma, 2023

-Cohen P., The debt problem is enormous and the system for fixing it is broken, www.nytimes.com, 16 dicembre 2023

-Comito V., La globalizzazione degli antichi e quella dei moderni, Il Manifesto libri, Roma, 2019

-Couppey-Soubeyran J., Etat, monnaie et capitalisme: un ménage à trois inconstant, Le Monde, 7-8 gennaio 2024

-Frachon A., Le monde post-1945 s’efface, Le Monde, 6 ottobre 2023

-Hardwick S., Tabarias J., US Chips Act is hurting its Asian partners, www.asiatimes.com, 12 dicembre 2023

-Hurst D., China leading US in technology race in all but a few fields, thinktank finds, www.theguardian.com, 2 marzo 2023

-Kaplan R., The jungle grows back. America and our imperiled world, Knopf, New York, 2018

-Kauffmann S., 2023, l’année du Sud global, Le Monde, 21 dicembre 2023

-Leonhardt D., The global context of Hamas-Israel war, www.nytimes.com, 9 ottobre 2023

-Morin E., Face à la polycrise que traverse l’humanité la première résistance est celle de l’esprit, Le Monde, 23 gnnaio 2023

-Ominami C., Le Sud global peut agir comme constructeur s’un oedre international plus équilibré, Le Monde, 24 gennaio 2024

-Rachman G., Europe is falling behind America and the gap is growing, www.ft.com, 19 giugno 2023

-Romei V., Smith C., How is the Us economy managing to power ahead of Europe?, www.ft.com, 19 ottobre 2023

-Russell A., The à la carte world : our new geopolitical order, www.ft.com, 21 agosto 2023

The Economist, Costly and dangerous, 12 agosto 2023

-Todd E., La défaite de l’Occident, Gallimard, Parigi, 2024


*Vincenzo Comito è economista. Ha lavorato a lungo nell’industria, nel gruppo Iri, alla Olivetti, nel Movimento Cooperativo. Ha poi esercitato attività di consulente ed ha insegnato finanza aziendale prima alla Luiss di Roma, poi all’Università di Urbino. Autore di molti volumi. Collabora a “Il Manifesto” e a www.sbilanciamoci.info

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