L’obiettivo irraggiungibile: risanare l’ambiente nell’economia di rapina
Paolo Berdini*
La conferenza sul clima che si è svolta di recente a Glasgow è stata per ammissione degli stessi paesi protagonisti, un grande fallimento. Affermare che l’emergenza climatica è un rischio gravissimo per la sopravvivenza stessa della vita sulla terra e in quella stessa sede non riuscire a prendere le decisioni adeguate ad avviare un nuovo modello di economia rispettosa dell’ambiente, è una contraddizione insanabile che potrà avere conseguenze devastanti sul futuro delle generazioni più giovani.
Questo fallimento rende evidente che gli attuali modi capitalistici di produzione non possono risolvere i problemi ecologici.
Solo con un salto dei paradigmi di crescita che comportano il saccheggio delle risorse naturali e l’aumento delle disuguaglianze sociali potrà esserci un intervento risolutivo per l’ambiente. Ciò è evidente su scala globale dove non si è addirittura riusciti –se non a parole- a bloccare la deforestazione dei polmoni del mondo o a limitare l’estrazionedelle materie prime presenti nei paesi poveri, indispensabili per continuare il nostro sistema dissipativo. Un segnale di speranza viene dai tanti movimenti, in prevalenza di giovani, che hanno rivendicato un altro modello di vita. Un movimento ancora limitato nella dimensione quantitativa, ma certo in grado già di orientare le coscienze dei giovani.
Dove forse dovremmo concentrare i nostri sforzi per inserire il tema nell’agenda politica, è la questione urbana nel nostro paese, dove ai problemi di inquinamento si sommano gli effetti della demolizione del welfare urbano, la più grande conquista sociale del Novecento.
Sostenibilità ambientale senza diritti sociali
Le città italiane sono caratterizzate, come noto, dalla prevalenza della mobilità individuale a scapito della mobilità su ferro pubblica. Presentano una quantità insufficienti di aree verdi e di polmoni ambientali che possono mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Per rendere l’aria migliore bisogna investire nella costruzione di tramvie e nella creazione di parchi urbani. C’è poi l’aspetto della sostenibilità sociale che, spesso, passa in secondo piano. A Roma sono in atto oltre novanta occupazioni abitative da parte di famiglie senza tetto. Una tragica peculiarità rispetto a tutte le capitali d’Europa: oltre 5.000 famiglie aspettano una casa degna di questo nome. Sostenibilità è anche il rispetto dei diritti inalienabili delle persone.
Ci sono dunque due profili di sostenibilità. Il primo è quello che attiene alla salubrità dell’ambiente, indispensabile per tutelare le categorie più vulnerabili come i bambini e gli anziani. Occorre fermare il dilagare del cemento che, grazie alla cancellazione delle regole urbanistiche, dilaga in ogni angolo del paese. Da quasi dieci anni la sinistra e le associazioni ambientaliste chiedono inutilmente l’approvazione di una legge che blocchi il consumo di suolo. Il Parlamento non riesce neppure a inserirla nell’ordine dei lavori. È una tematica che non interessa il mondo dei produttori di cemento, di asfalto e della grande proprietà terriera. Come si vede, anche un provvedimento di ragionevole governo delle trasformazioni non riesce a concretizzarsi perché è in contrasto con i dettami dell’economia vincente. Continueremo dunque ad assistere ad eventi atmosferici estremi, a distruzione di territori e perdita di vite umane. L’economia dominante non riesce a imboccare la strada della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente e della dignità delle persone.
Ma grazie alla pandemia del Covid 19, il pensiero neoliberista ha conseguito una vittoria. Durante i mesi del lockdown tutti auspicavano un rinnovato ruolo del pubblico. L’unico modo per uscire dalla crisi. Ma si è andati nella direzione opposta. È stato infatti creato un immenso debito pubblico per sostenere l’economia mentre i servizi pubblici sono stati ancor di più abbandonati. Lo stato delle nostre scuole, ad esempio, non permette di mitigare gli effetti del distanziamento sociale e una generazione di giovani è ancora condannata a non poter usufruire in pieno del diritto ad avere istruzione e socialità. Dall’altra parte, la regione Lombardia, passato il pericolo di essere messa sul banco degli accusati perché le politiche di privatizzazione della sanità avevano favorito la diffusione del virus, ha varato proprio in questi giorni una legge di ulteriore privatizzazione della sanità. L’economia dominante è impegnata soltanto nella ricerca dei finanziamenti del Recovery fund ma non sembra disposta a mutare di nulla il sistema che ha dimostrato di aver fallito.
Non sarà dunque l’economia dominante a salvare le città, così come è impossibile che possa contribuire alla difesa dell’ecosistema. Se si rimarrà all’interno dei paradigmi economici e culturali che sono alla base di quanto è avvenuto, la ricostruzione delle città e dell’ambiente dopo la pandemia potrebbe riservarci altre amare sorprese, come l’ulteriore riduzione dei servizi pubblici e l’aumento delle disuguaglianze e l’abbandono dei territori fragili delle colline e delle montagne.
Ricostruire le città dopo la pandemia del neoliberismo
È dunque nella ricerca del superamento dell’attuale modello economico e culturale che dobbiamo ripartire se vogliamo salvare l’ambiente e la vita nelle città. Si tratta di mutare i paradigmi che non si sono dimostrati in grado di garantire uno sviluppo equilibrato delle città e dei territori e di passare ad una nuova fase di interventi pubblici, i soli in grado di scongiurare un ulteriore aumento delle disuguaglianze sociali. Per uscire dalla crisi, le città vanno ripensate nella chiave dell’attuazione del concetto di ecologia integrale che riesce a coniugare la difesa ambientale con la tutela dei diritti dei cittadini. Essa si fonda infatti su tre pilastri. La terra, e cioè l’ambiente da ricostruire, il tessuto verde che dovrà permeare le città del futuro; l’abitare, concetto che supera l’esclusivo bisogno di casa e comprende proprio quel sistema dei servizi sociali indispensabili per la piena realizzazione dei diritti e falcidiati dall’economia neoliberista; il lavoro, infine, e cioè il perseguimento del modello della riconversione ecologica che fornisca a tutti la possibilità di sperimentare la proprie capacità di costruire occasioni di futuro. La crisi ambientale si supera se tutte le città inizieranno ad attrezzarsi per rispondere ai cambiamenti climatici. Le uniche possibilità di mitigazione stanno nella costruzione di cinture verdi intorno agli abitati, parchi urbani, viali alberati e percorsi protetti. L’unica possibilità per costruire il riscatto della città sta nella costruzione di un nuovo rapporto con l’ambiente circostante. Si tratta di disegnare un sistema di parchi urbani in grado di creare bellezza e mitigare gli effetti del cambiamento climatico in atto. La creazione di “sistemi verdi” urbani e territoriali è il primo passo della costruzione della città dell’ecologia integrale.
Anche il bisogno di case per le famiglie più povere si può superare solo con un rinnovato intervento pubblico. La cancellazione del governo pubblico delle città negli ultimi trenta anni ha provocato la più grave crisi abitativa dagli anni Ottanta, e cioè da quando si era vicini alla soluzione del problema. Da allora l’Italia – unico caso in Europa occidentale – ha cancellato la costruzione di alloggi pubblici. Non ce n’era più bisogno, affermava la cultura dominante, perché il mercato avrebbe risolto la questione. Nel 2009 la legislazione nazionale ha ratificato il capovolgimento culturale: nasce l’housing sociale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: mancano case popolari e in molte grandi città esistono occupazioni in edifici impropri, unico modo per non dormire per strada. Questo processo di creazione di alloggi pubblici non deve fermarsi alle periferie. La pandemia del COVID-19 ha mostrato centri storici vuoti di persone, perché tutto è stato piegato alla monocultura del turismo. Se vogliamo dare ancora un senso compiuto alla città, uno degli obiettivi più urgenti è quello di aumentare l’offerta abitativa pubblica nel centro storico. Una città deserta non serve a nessuno. Servono città abitate che devono tornare a riempirsi di famiglie e di bambini.
Ricostruire il welfare urbano
Ma, appunto, non basta la casa. Abitare significa anche poter disporre dei servizi indispensabili a costruire l’inclusione, ad affermare i diritti sociali. Ad iniziare dalla salute. Deve essere ricostruita la rete di protezione territoriale della salute pubblica che attraverso una rete efficiente di presidi territoriali possa permettere di comprendere senza ritardi l’insorgenza di nuove pandemie o di malattie. Ogni quartiere si deve ad esempio dotare di “case della salute” in grado di garantire il primo screening e la prima assistenza per tutti i cittadini.
Abitare significa anche garantire il diritto all’istruzione, da perseguire attraverso una nuova offerta scolastica. Al di là dell’emergenza dettata dalla pandemia, occorre ridisegnare gli spazi della didattica. Le scuole e gli spazi che le caratterizzano devono tornare ad essere centrali nel ripensamento di tanti tessuti periferici in cui esistono soltanto isolamento e bruttezza. È ora di sostituirli con un nuovo senso comunitario e con la bellezza dei luoghi.
Abitare significa avere il diritto alla mobilità. Siamo il paese che ha il record di veicoli a motore circolanti. Costruire moderni sistemi non inquinanti serve dunque a garantire il diritto delle periferie urbane e territoriali a spostarsi. Abitare significa infine avere diritto alla cultura. Le nostre città hanno sofferto per i continui tagli di risorse al settore, ma sono le periferie ad aver pagato un prezzo elevatissimo con le difficoltà di proseguire la loro attività dei pochi teatri esistenti. La cultura genera inclusione e senso di appartenenza e deve pertanto diventare occasione preziosa per costruire una città nuova.
La sfida vera, infine, si gioca nella riconversione modale del trasporto territoriale e urbano che è in grado di favorire la nascita di aziende di produzione, di ricerca, di innovazione, di sperimentazione di materiale rotabile e sistemi di sicurezza. Occasioni di prezioso lavoro qualificato per uscire dalla crisi economica incombente e per delineare un nuovo volto della città. Il trasporto su ferro è lo strumento per ridurre le emissioni e migliorare la qualità dell’aria. È soltanto il processo di riconversione ecologica urbana a poter garantire occasioni di lavoro stabili, qualificate e durature.
In questo senso, l’azione del “governo dei migliori” di Mario Draghi ci offre azioni politiche efficaci. Il ministro “per la transizione ecologica” propone il ritorno al nucleare: è evidente che per loro l’ecologia è pura applicazione di tutte le tecnologie legate a gruppi di potere e ad una vecchia concezione dell’economia. Ecco il campo di azione di una nuova sinistra in grado di orientare le coscienze dei giovani che lottano per evitare il disastro ambientale globale.
* Paolo Berdini, urbanista, ha pubblicato per le edizioni Donzelli: “La città in vendita” (2008); “Breve storia dell’abuso edilizio in Italia” (2010); “Le città fallite” (2014). Suoi saggi sono apparsi sulle riviste Gli Asini e Micromega. Nel 2021 ha pubblicato il libro collettaneo “Pubblico è meglio”, edito da Donzelli editore.
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