Come combattere il risorgente fascismo
Paolo Ferrero
La crescita della destra radicale, razzista e fascista è tornato ad essere, in larga parte del globo, un fenomeno con cui ci dobbiamo misurare quotidianamente.
In Italia, di fronte a questa ondata nera, a sinistra scatta un riflesso condizionato: il frontismo inteso come la necessità di fare un fronte comune elettorale tra tutte le forze politiche non fasciste al fine di sconfiggere il fascismo nelle urne. Qui di seguito proverò a ragionare attorno al nodo del frontismo declinato come alleanza elettorale: perché è così “naturalmente” ritenuto valido, perché al contrario non è oggi efficace ed infine alcune idee su cosa si può fare al fine di costruire una proposta politica finalizzata alla sconfitta delle destre fascistoidi.
Quando il frontismo ha vinto.
Il frontismo ha un grande appeal per una ragione validissima: nella sua versione più ampia è stato il fronte comune di tutte le forze antifasciste – sia a livello nazionale che mondiale – che ha permesso la sconfitta militare e politica del nazifascismo. Inoltre, con la stagione dei fronti popolari negli anni Trenta e la gloriosa esperienza della repubblica spagnola, l’idea stessa di fronte popolare ha assunto una grande forza evocativa con l’unità di tutto il popolo contro la disumanità dei regimi fascisti e nazisti. Il frontismo ha cioè assunto le caratteristiche di un’idea limite: quella dell’umanità che agisce in quanto tale contro chi l’umanità nega in radice. Il Fronte antifascista, oltre ad essere stato efficace nello sconfiggere i regimi nazifascisti, ha quindi anche alluso ad un nuovo umanesimo per nulla disprezzabile. L’alleanza antifascista non è stata però un fenomeno di lunga durata: non ha sopravanzato di molto la fine della guerra.
Il 5 marzo 1946, col discorso di Fulton (USA) in cui Churchill coniò l’espressione “cortina di ferro”, a tutti gli effetti dette inizio alla guerra fredda e alla nuova fase anticomunista. Il frontismo internazionale durò quindi pochi anni, quelli del conflitto, e lasciò il posto alla guerra fredda e al Maccartismo, alla caccia alle streghe. Il frontismo a livello nazionale, pur con notevoli varianti, non ebbe un esito molto dissimile. Nel maggio 1947 finisce il Terzo governo De Gasperi, e con esso l’unità nazionale espressione del fronte antifascista. La stessa unità della sinistra non durò molto tempo.
Il frontismo “largo”, quello che ha sconfitto il nazifascismo, è stato un fenomeno di breve durata, legato al carattere eccezionale di una guerra che non lasciava scampo a nessuno, da cui era impossibile sottrarsi. Il CLN, il fronte popolare antifascista, non rappresentano quindi una normalità della vita politica ma piuttosto una eccezionalità legata alla guerra contro l’umanità posta in essere dai nazisti. Per essere più precisi, penso che il frontismo sia stato un fenomeno politico – militare, e non solo politico: ha permesso di sconfiggere il regime nazifascista nella sua essenza di forza bruta, laddove non esisteva alcuna dialettica politica ma solo la possibilità di prevalere o di soccombere. In queste condizioni limite, il frontismo ha positivamente incarnato la via più efficace per sconfiggere la barbarie. Il frontismo è quindi a tutti gli effetti un mito fondatore della nostra civiltà del secondo dopoguerra: nato nella mortale lotta contro il nazifascismo ha incarnato la possibilità di un nuovo umanesimo. Una possibilità presto interrotta perché le forze espressione del capitalismo reale, dopo la parentesi della guerra, hanno rimesso al centro la loro missione fondamentale: lo sfruttamento dell’umanità in un contesto formalmente democratico.
Da allora è cambiato l’essenziale.
Oggi in Europa non abbiamo regimi fascisti ma stati formalmente democratici in cui esistono partiti o tendenze fasciste, generalmente in crescita elettorale. In altri termini, la partita oggi non si gioca sul terreno dello scontro militare, ma su quello della conquista del consenso. Anche in Italia, dove abbiamo una presidente del consiglio espressione di un partito fascistoide, ci muoviamo all’interno di un quadro costituzionale che, nonostante i molti colpi subiti, ha mantenuto una solidità post resistenziale. Oggi quindi la lotta antifascista avviene in un contesto di azione politica rivolta alla conquista del consenso ed in un quadro costituzionale parlamentare. Una situazione assai diversa dal quadro istituzionale definito dalla monarchia e dallo statuto albertino, che non a caso non è stato abolito dal regime fascista.
Questa è una prima differenza di fondo: il frontismo è stato efficace per sconfiggere militarmente il regime fascista. Non è per nulla detto che lo sia per battere i fascisti sul terreno del consenso popolare.
Questo lo si evince facilmente da una seconda considerazione, relativa alla crescita del consenso fascista oggi. La mia opinione è che l’aumento del consenso ai fascisti – ed in generale alle destre estreme tradizionaliste e nazionaliste – è un frutto avvelenato degli effetti devastanti che le politiche neoliberiste hanno avuto sul tessuto sociale e sugli immaginari collettivi.
Il neoliberismo infatti, con la trasformazione della libertà dell’individuo sociale in un imperativo categorico assoluto e deresponsabilizzato dell’individuo autistico e narcisista, ha generalizzato insicurezza sociale ed esistenziale. Non si tratta solo del peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle classi subalterne ma della dilagante insicurezza che ha minato ogni aspetto della vita delle persone. Il liberismo ha postulato: non ci sono i soldi, non ce n’è per tutti, bisogna correre perché solo chi arriva primo si salverà. Su questa base hanno distrutto il welfare e spinto la concorrenza intercapitalistica a livelli parossistici, generando atomizzazione sociale, insicurezza, paura del futuro, senso di impotenza. Di fonte a questa vera e propria controrivoluzione, la sinistra ed in generale le forze sindacali hanno avuto – per ragioni che esulano dalla trattazione di questo articolo – un’azione poco efficace. Le destre fascistoidi, al contrario, sono state in grado di intercettare questo sentimento di insicurezza ed hanno apparentemente fornito una risposta su più piani.
La forza della destra nella reazione agli effetti del neoliberismo
La destra ha sviluppato una reazione complessiva agli effetti della globalizzazione neoliberista.
Sul piano economico, la destra di fronte al diktat “non ci sono i soldi” ha rivendicato “prima i nostri”. L’apparente realismo di questa risposta è stata devastante. Le destre non hanno contestato la scarsità – per questa via mettendosi in sintonia con il pensiero liberista egemone – ma ponendosi l’obiettivo di difendere i nostri e non tutti, hanno fatto credere che questo obiettivo fosse perseguibile. In una situazione di debolezza, l’idea di far parte di quelli “salvati” è stata accettata di buon grado da una parte significativa delle classi popolari. Su questa base è stata costruita la guerra tra i poveri, l’odio contro i migranti incolpati di essere i nostri affamatori.
Anche la concorrenza internazionale è stata facilmente piegata dalla destra alla più bieca retorica nazionalista: hanno affermato che la concorrenza è una cosa sana ma che occorre combattere la concorrenza sleale (che sarebbe quella extraeuropea). In questo modo sono stati proposti dazi e sanzioni non contro il libero mercato ma contro coloro che giocano “slealmente”: così i i cinesi sono diventati anche loro dei nemici.
A questi elementi ideologici che si fondano su un ragionamento apparentemente economico, le destre hanno aggiunto altri elementi di tipo maggiormente esistenziale: se il mondo è diventato insicuro, oltre a difendere i nostri dalla concorrenza internazionale e dei migranti, dobbiamo difendere costumi e stili di vita, prima che “l’Invasione” ci spazzi via. Su questa base l’islamofobia è stata sviluppata in contrapposizione alla “civiltà occidentale”, al cattolicesimo vissuto come fonte di identità (il rosario di Salvini). Parimenti i costumi sono da difendere anche dal relativismo etico portato dalla globalizzazione, con la sua messa in discussione della famiglia, dell’eterosessualità e così via.
Le destre ad ogni insicurezza hanno dato una spiegazione (falsa ma verosimile) e trovato un responsabile (dentro un processo di produzione infinita di capri espiatori). Le destre hanno dato luogo a vere e proprie costruzioni mitiche che vanno molto al di là del piano economico. Per la precisione hanno usato il mito come una macchina, un dispositivo finalizzato a produrre emozioni, sensazioni, convinzioni nelle persone che ascoltano le loro narrazioni. Come l’antisemitismo si è nutrito per secoli di falsità – dall’accusa degli omicidi rituali ai protocolli dei Savi di Sion – che però hanno mantenuto una loro forza di convincimento, così le destre hanno prodotto falsi nemici e illusorie vie di salvezza nello spaesamento prodotto dal neoliberismo. Le destre hanno prodotto macchine mitologiche, per dirla con Furio Jesi (1), che hanno spiegato il disagio e individuato la via per la salvezza in una costruzione falsa ma coinvolgente, identificante e soprattutto consolatoria.
Le destre si sono quindi presentate come i difensori del popolo del proprio paese (ognuno del suo) contro l’insicurezza economica ed esistenziale e su questo terreno hanno fondato la loro conquista di consenso. Il consenso alle formazioni fasciste che per lunghi anni era stato confinato ai nostalgici, non solo oggi è stato sdoganato (si può votare fascista senza vergognarsi) ma ha dato voce e rappresentanza a significative parti di società. Il voto alle destre fascistoidi non è più un voto principalmente nostalgico: è un voto finalizzato alla difesa dei propri interessi materiali immediati condito dall’individuazione dei capri espiatori e da valori tradizionali. Una destra che viene percepita come utile socialmente ed esistenzialmente da significati strati sociali.
Perché il frontismo non è efficace oggi
La scarsa efficacia del frontismo oggi deriva dai compagni di strada con cui dovremmo costruire il fronte e cioè le forze liberali e di centro sinistra, che in larghissima parte hanno impersonato il liberismo e la globalizzazione neoliberista. Mentre le destre reazionarie dall’opposizione si caratterizzavano per la critica ad una serie di effetti della globalizzazione neoliberista, il centro sinistra a livello mondiale si è presentato come il cantore delle virtù positive della globalizzazione vista come progresso tout court.
Il frontismo oggi non è efficace perché l’alleanza con il centro sinistra non è considerata da vasti strati popolari come una strada utile per difendere le proprie condizioni di vita.
Il frontismo che è stato efficacissimo sul piano militare per sconfiggere i regimi nazifascisti, non ha alcuna efficacia per sconfiggere i movimenti fascisti sul terreno del consenso nel momento in cui coloro con cui dovremmo costruire il fronte antifascista hanno perso credibilità agli occhi di vasti stati popolari.
Visto che il frontismo – cioè la messa sottotraccia delle differenze in nome di un bene comune superiore – si misura sulla base dell’efficacia, dobbiamo prendere atto che oggi il frontismo non funziona e addirittura rischia di lasciare campo libera al populismo reazionario delle destre in assenza della costruzione di una efficace sinistra antiliberista.
Sei proposte per contrastare le destre fascistoidi.
La sconfitta delle destre è un tema per noi fondamentale: sono la parte più reazionaria della classe capitalistica e i regimi nazifascisti hanno rappresentato una vera e propria minaccia per l’umanità in quanto tale. Provo a delineare sei terreni di iniziativa politica.
Il primo è la ricostruzione di una coscienza antifascista popolare fondata sulla riduzione di ogni movimento fascista sugli aspetti barbarici dei regimi nazifascisti. I regimi totalitari non sono stati un incidente di percorso ma la realizzazione degli “ideali” nazifascisti.
Lo sviluppo di una coscienza antifascista diffusa è fondamentale per la marginalizzazione dei movimenti fascisti: dobbiamo declinarla come una religione civile, un orientamento “pre-politico” che costruisca la cornice all’interno del quale si articolano le diverse proposte politiche. Trasformare il fascismo in un tabù è stato un grande successo della lotta partigiana: bisogna riprendere questa azione culturale finalizzata all’identità a partire dalle giovani generazioni.
Il secondo riguarda la costruzione di un movimento antifascista contro ogni azione violenta da parte dei fascisti. Nell’ambito della costruzione di un antifascismo diffuso occorre agire per determinare un fronte antifascista concreto che non lasci da solo chi viene fatto oggetto della violenza fascista. Ho motivato la non efficacia di un’alleanza elettorale con i liberisti per sconfiggere il populismo fascistoide ma questo non significa che non vada ricercata la più ampia convergenza contro la violenza fascista. Occorre sviluppare una alleanza antifascista finalizzata alla difesa rigorosa della dialettica democratica contro ogni tentativo di trasformare il conflitto politico in guerra civile. Se ci bruciano una sede dobbiamo costruire la condanna e la mobilitazione antifascista la più ampia possibile. In qualche modo si tratta di riprodurre il frontismo politico-militare sia pure in termini rovesciati: nella guerra era la lotta militare contro il regime fascista, qui è la difesa della dialettica repubblicana contro chi cerca di trascinarla sul terreno della guerra civile.
Un terzo livello riguarda il terreno istituzionale. In Italia e in Germania i fascisti e i nazisti non sono andati al potere perché hanno conquistato la maggioranza assoluta del consenso elettorale ma perché una parte delle forze borghesi le hanno appoggiate e, su questa base, hanno potuto costruire la dittatura. Vale per l’Italia dove il Re ha nominato Presidente del Consiglio Mussolini invece di farlo mettere in galera, e vale in Germania dove Hindemburg – eletto presidente della Repubblica in contrapposizione ad Hitler – ha poi nominato Hitler cancelliere e gli ha consegnato il potere statale. I fascismi sono andati al potere in virtù di una relazione decisiva con parti non direttamente fasciste delle classi dominanti. Per questo il sentimento antifascista deve essere fatto vivere sul terreno istituzionale in primo luogo puntando a far tornare la pregiudiziale antifascista una connotazione più ampia della nostra parte politica. A tal fine, occorre aver chiaro che la stessa legge elettorale è un terreno rilevante per favorire o meno un distinguo antifascista nelle classi dirigenti e nelle stesse destre moderate. Ad esempio, in un sistema proporzionale i voti fascisti sono normalmente superflui al fine di formare governi e maggioranze mentre nei sistemi maggioritari i voti dei fascisti possono diventare determinanti per far vincere lo schieramento delle destre. Il maggioritario è quindi uno strumento che spinge le destre ad abbandonare la pregiudiziale antifascista in nome dell’utilizzo dei voti fascisti per andare al governo. L’Italia è un caso da manuale visto che uno dei primi effetti della sciagurata legge sull’elezione diretta dei sindaci fu l’endorsement di Berlusconi a Fini come sindaco di Roma nel lontano 1993, sdoganamento che poi si è ripetuto a livello nazionale e che ci ha portato, passo passo, ad avere presidente del consiglio una deputata eletta nelle liste di un partito con la fiamma tricolore nel simbolo. La costruzione di una pregiudiziale antifascista a livello politico e la lotta per un sistema elettorale proporzionale sono quindi due terreni in cui si può operare per la marginalizzazione delle tesi fasciste.
Un quarto punto di iniziativa è il tema decisivo dell’unità di classe. Abbiamo visto che le divisioni interne al proletariato sono oggi il terreno principale di azione dei fascisti e dei razzisti nelle classi popolari. Italiani contro immigrati, occupati contro disoccupati, privati contro pubblici, autonomi contro dipendenti e così via. La frantumazione della classe costituisce il terreno di fondo con cui la destra estrema indirizza il malessere sociale nella guerra tra i poveri invece che nella lotta di classe. L’unità di classe – con la conseguente identificazione della classe nemica contro cui lottare – è un punto decisivo per marginalizzare oggi fascisti e razzisti.
Il quinto punto è l’unificazione della lotta per i diritti sociali e civili. La sinistra moderata ha in larga parte sostituito alla difesa degli interessi materiali delle classi subalterne, il tema della difesa dei diritti civili. Questa separazione tra diritti sociali e diritti civili ha aperto la strada ai fascisti per determinare una vera e propria regressione antropologica delle nostre società. Da un lato sostituendo il tema della nazione a quello della classe (prima i nostri). Dall’altro facendosi paladini di culture tradizionali e reazionarie – presentate come le vere culture popolari – contro l’evoluzione dei costumi presentati come una perversione voluta dai ceti privilegiati. Il conflitto di classe ha prodotto dialetticamente una innovazione sociale e culturale. Il conflitto agito su basi nazionaliste non può che nutrirsi e riprodurre il tradizionalismo più bieco.
La separazione tra diritti civili e diritti sociali ha aperto la strada ad una contrapposizione tra presunti interessi popolari e libertà dell’individuo. In pratica ha aperto la strada ad una divaricazione tra libertà ed eguaglianza, tra libertà e giustizia. Il tema è molto più articolato e complesso ma solo la strettissima connessione tra difesa intransigente degli interessi materiali delle classi subalterne e sviluppo dei diritti civili può determinare una condizione che riduca lo spazio alla destra fascistoide e razzista. Ogni rivendicazione di libertà che non si accompagni con la lotta per l’eguaglianza apre lo spazio ad una contrapposizione tra i due termini ed all’azione fascista.
Il sesto punto è la ricostruzione di un tessuto comunitario. L’atomizzazione sociale prodotta dal neoliberismo è stata vissuta come possibilità dalle classi dominanti – la libertà individuale deresponsabilizzata – e come disgrazia dalle classi subalterne: la solitudine e l’impotenza di fronte al bisogno. Non a caso vi è una fortissima domanda sociale di legami comunitari (le nuove religioni, le aggregazioni calcistiche, regionali, nazionali, le mode, eccetera). Mentre il centro sinistra è completamente disattento, la destra risponde a questa domanda di comunità in termini reazionari e demagogici, presentandosi come coloro che difendono la comunità nazionale dalle invasioni e dall0 stravolgimento dei costumi. E’ evidente la strumentalità della destra ma questa attenzione permette loro di interagire con una domanda sociale diffusa, rendendo paradossalmente più credibili le sue inconcludenti ricette economiche e sociali. Per sconfiggere i fascisti non basta quindi tutelare gli interessi materiali di classe ma occorre anche immaginare una comunità di liberi e di eguali in grado di crescere come soggetti proprio perché liberati dalla schiavitù dei bisogni elementari immediati. La storia del proletariato è storia di legami comunitari che confliggendo contro gli sfruttatori si evolvono allargando spazi di libertà. Nelle stesse lotte del ‘69 la lotta operaia era fondata sulla “squadra” operaia, conflittuale verso il padrone e solidale al suo interno. Oggi abbiamo alcune pratiche di lotte comunitarie (pensiamo alla Val Susa) ma non abbiamo una idea generale che ponga al centro la costruzione di comunità solidali e conflittuali. In questo deficit si infilano i fascisti colonizzando l’immaginario con le loro comunità organiche che danno false risposte ma costruiscono consenso.
La lotta contro il fascismo non si può risolvere con una formuletta fondata sulla sommatoria elettorale degli avversari. Ma non per questo è meno importante.