100 anni dalla Marcia e gli equivoci di oggi
Davide Vender
In Italia, dopo la fine del primo conflitto mondiale, si costituirono, con le occupazioni delle terre, all’incirca 500.000 nuove proprietà. Questo dato va analizzato in particolare evidenziando le qualità di questi nuovi possedimenti. Si tratta di piccolissime proprietà di pochi metri quadrati che andranno ad impattare su una struttura produttiva agricola già caratterizzata da frammentazione proprietaria e polverizzazione delle stesse (con quest’ultimo termine ci riferiamo a piccolissimi lotti di terra che non coincidevano con la proprietà di residenza delle famiglie coloniche). L’Italia era un Paese agricolo al 90% ed i protagonisti del fascismo iniziale sono proprio questi piccoli proprietari. Agguerriti piccoli proprietari che difesero “con una combattività ignota ai loro predecessori” le terre conquistate con le occupazioni.
Il movimento socialista non capì fino in fondo la partita che si stava giocando nelle campagne italiane. Già prima del conflitto mondiale e poi duranti gli eventi bellici, i socialisti furono portatori di istanze massimaliste che non andarono al di là della denuncia. Quando nell’agosto del 1917 a Torino scoppiò la rivolta per il pane i dirigenti socialisti, anche e soprattutto quelli massimalisti, rimasero sorpresi da una rivolta autonoma e spontanea che però era il prodotto di anni e anni di predicazioni rivoluzionarie e di un rigido massimalismo nella lettura della realtà italiana. La stessa cosa accadde con il ritorno dei soldati dal fronte. Masse affamate che volevano la terra per vivere e alle quali il massimalismo socialista proponeva una indistinta e impraticabile “socializzazione della terra”. Il clima di confusione e di rabbia sociale generato dal ritorno dei reduci (più di 2 milioni di soldati) caratterizzò la rivolta dell’11 giugno del 1919 a La Spezia. Qui migliaia di persone protestarono contro i commercianti assaltando negozi di generi alimentari, saccheggiando la città. Nelle campagne si sviluppò il movimento d’invasione delle terre e anche qui i socialisti coprirono sostanzialmente la loro azione pacificatrice dietro una cortina fumogena di fraseologia rivoluzionaria che negli anni venti dimostrò tutta l’inadeguatezza dei dirigenti socialisti nell’interpretare gli eventi. I soldati che andarono a combattere durante la Grande Guerra erano soprattutto contadini. Reduci animati da uno spirito vendicativo contro il governo e contro tutti quelli che al fronte non erano andati. Tra questi, paradossalmente, soprattutto il sindacato e il movimento operaio veniva percepito come un corpo sociale di raccomandati, di renitenti alla chiamata al fronte (in larga parte gli operai furono coscritti in fabbrica per la produzione di armamenti). Dopo la grande vittoria elettorale socialista del 16 novembre del 1919 sul quotidiano “Il Fascio” comparvero due articoli in cui si esplicitava la posizione politica del fascismo movimento: “la classe operaia non aveva alcun titolo di superiorità intellettuale” e quindi il movimento guidato da Benito Mussolini virò con decisione su un progetto politico che vedeva i ceti medi di città e la piccola borghesia contadina al centro della propria azione politica. Da questo momento ha inizio la marcia su Roma.
FASCISMO, MERCATO E PICCOLA BORGHESIA
Il fascismo espressione del grande capitale? No. In Italia, ma anche nel resto dell’Europa, i fascismi trovano consenso essenzialmente nella piccola borghesia agricola e non nella grande industria che peraltro nel nostro Paese era debole e per certi versi inesistente. Eppure negli anni venti si leggevano riflessioni sulla stampa in cui si individuava nei ceti medi tecnici, inseriti nel processo produttivo, e in quelli di formazione umanistica della burocrazia dello Stato, la vera base sociale del fascismo. Gli articoli dello storico Luigi Salvatorelli pubblicati sulla Stampa tra il 1921 e il 1925 sono chiaramente incentrati su questa lettura. Ma in La guerra e le classi rurali, uno dei più importanti interpreti del primo fascismo, nonché ideatore delle politiche di bonifica integrale, Arrigo Serpieri, ci ricorda che “l’Italia non era e non è una Nazione prevalentemente industriale”. Secondo Serpieri, che polemizzò con Salvatorelli, nelle campagne troviamo la vera base sociale del fascismo . Qui il capitalismo non domina e fa fatica a imporsi sulle vecchie strutture sociali. C’è un aspetto importante di questa storia sul quale vale la pena soffermarsi.
Dappertutto i fascismi si impongono su una struttura sociale in cui era dominante la piccola proprietà e il piccolo borghese contadino. Ma questo processo non è stato lineare e presenta evidenti contraddizioni. Anche in Germania il nazismo ha come base sociale la piccola proprietà contadina, ma con lo sviluppo dello Stato di tipo fordista e con l’accrescimento progressivo della scienza, l’applicazione tecnologica e lo sviluppo dei mercati, lo Stato blocca la domanda di terra ed ha viceversa incoraggiato l’offerta fissando un compenso fisso per unità di superficie o una pensione ai contadini che avessero voluto vendere il proprio appezzamento.
I mercati, in un processo apparentemente contraddittorio, tra la prima e la seconda Guerra mondiale, spingono per ricomporre la proprietà. Il motivo? Notevoli investimenti tecnologici nell’agricoltura meccanizzata necessitavano di grandi proprietà ricomposte. I mercati penetreranno il mondo agricolo scomponendolo, distruggendo la piccola proprietà contadina e la sua arcaicità che non rispondeva più agli interessi del capitale nel sempre più industrializzato mondo agricolo.
La ricomposizione della proprietà terriera ha avuto luogo in maniera notevole nell’Europa centrale e settentrionale mentre in quella meridionale, Italia, Grecia e Spagna, i tempi sono stati molto più lunghi. Quello che qui interessa sottolineare è il protagonismo dei mercati nelle vicende storiche: investimenti di capitali, sviluppo della scienza e applicazione tecnologica. Anche se in Germania, nazione industrializzata e potente, il grande capitale foraggerà l’ascesa del nazismo, nel resto dell’Europa i fascismi prospereranno su una struttura economica arcaica e sostanzialmente alla fine del suo ciclo.
I contadini, attraverso lo squadrismo, pensavano di mettersi in salvo dalla ristrutturazione e modernizzazione economica che, invece, nel tempo di 20 anni li ha distrutti facendoli scomparire dalla Storia. In modo similare anche il socialismo di Proudhon si era eretto a protettore del mondo artigiano proponendo che le merci venissero scambiate tutte allo stesso prezzo. Ma la nascita della manifattura determinava il prezzo delle merci con il tempo minimo richiesto nel produrle. Era chiaro che se un calzolaio produceva un paio di scarpe in 10 ore e la manifattura in due ore, il prezzo della merce sarebbe stato determinato dalla manifattura e quindi il calzolaio sarebbe stato spazzato via dalla concorrenza perché il suo prodotto risultava più caro e quindi non concorrenziale con quello prodotto dall’industria. Non a caso il fascismo nasce a Parigi nel Circle Proudhon nel 1911 (in questo articolo non c’è spazio per dare conto delle origini proudhoniane delle idee fasciste e quindi rimandiamo al libro: Piccola borghesia tra socialismo e fascismo, 2021, Odradek).
Quando i mercati porteranno a compimento la loro penetrazione nel mondo agricolo, sbarazzandosi di strutture sociali vecchie e di soggetti sociali non più funzionali alla riproduzione del nuovo sistema produttivo evoluto, il fascismo regime e le mentalità fasciste muoiono e scompaiono. Penso che la debolezza strutturale dell’Italia dei primi anni del novecento sia la causa principale delle origini del fascismo. Penso che la piccola proprietà contadina, come gli artigiani difesi antistoricamente dal socialismo di Proudhon nell’800, si sia identificata nel culto del littorio credendo che il regime l’avrebbe salvata dai processi di modernizzazione della società. Il fascismo si comportò in modo schizofrenico con la sua originaria base sociale piccolo proprietaria contadina. All’inizio il fascismo movimento si erse a paladino degli interessi materiali della piccola proprietà. La rappresentò in tutti campi della vita sociale e economica della vita nazionale. Ma poi cadde insieme ad essa quando era ormai chiaro che la modernizzazione del Paese richiedeva una svolta politica chiara e antifascista.
IL FASCISMO NON HA “SALVATO” LA PICCOLA PROPRIETA’ CONTADINA
Se il fascismo rappresentò e difese ideologicamente le istanze materiali della piccola borghesia contadina, si rivelo’ alla fine come l’omicida morale e materiale della piccola proprietà. Nulla poté il regime per salvarla. Arrigo Serpieri con le leggi sulla bonifica integrale e con la ricostituzione di altre piccole proprietà tentò invano di mettere in salvo la base sociale originaria del fascismo non tenendo conto della pluriattività della famiglia colonica. Perché il tempo storico materiale prodotto dalle innovazioni e dal progresso e accompagnato dai mercati, accelera i modi della trasformazione dei corpi sociali. I componenti della famiglia colonica, negli anni ’30, erano già impiegati nelle prime manifatture. La sera si lavorava nei piccoli appezzamenti agricoli e la mattina si andava in fabbrica. Qui il contadino impara nuove tecniche di lavoro e lentamente mutano le caratteristiche della propria attività. Dalla pura e semplice vita contadina si ritrova inserito in attività produttive prima a lui sconosciute. Si scompone, si frantuma questa figura sociale che era stata protagonista delle lotte nei primissimi anni Venti e con essa si sgretola pure il regime.
Cosa ci insegna questa storia? Per prima cosa ci dice che il fascismo è stato un fenomeno storico, fortemente legato alla storia del secolo breve. Altra cosa sono i fascisti e chi li ha usati in tristi episodi nella storia del novecento. Ma questo è un altro discorso. Il secondo aspetto sul quale occorre soffermarsi è il ruolo dei mercati, dello sviluppo della scienza e dell’applicazione tecnologica nelle vicende storiche. E’ chiaro che il fascismo in modo contraddittorio tentò di difendere una composizione sociale destinata all’oblio della Storia. Mi riferisco alla piccola proprietà contadina che tentò invano di difendersi dall’estinzione rifugiandosi senza risultati nel vicolo cieco del ventennio. Leggere gli eventi storici soffermandoci sui mercati, sul ruolo della scienza e dell’innovazione tecnologica ci permette di guardare e interpretare la realtà evitando derive ideologiche. Nel nostro mondo contemporaneo ci sono paesi che a causa dello sviluppo della globalizzazione non sono più quelli di 20 anni fa. Paesi che i mercati e le dure ristrutturazioni economiche ne hanno mutato addirittura il corso della loro storia. E ci sono altri Paesi che in nome di analisi ideologiche pensano di contrapporsi a questi processi con guerre di tipo simmetrico, dimenticando che tutti quelli che hanno provato a invertire il corso della globalizzazione in modo simmetrico sono incorsi nella disfatta e nell’autodistruzione. Forse è per questo che grandi paesi come la Cina al momento non sono protagoniste di guerre. Credo che dovremmo aggiornare il nostro modo di leggere la realtà e forse dovremmo tutti rileggere L’arte della guerra di Sun Tzu.