Fermiamo l’autonomia differenziata
Michele Conia*
La mia formazione e la mia professione di avvocato mi ricordano che nel diritto la premeditazione è considerata un’aggravante. E sono convinto che la premeditazione nella legge Calderoli sulla Autonomia differenziata, sia ben camuffata ma evidente, un disegno che viene da lontano e che colpisce e snatura la Costituzione. Un imbroglio premeditato che non stabilisce prima, e alla luce del sole, le regole, le condizioni, i limiti, le garanzie.
Da Sindaco della mia comunità, insieme ai componenti dell’Amministrazione e ai miei collaboratori, già nel 2018 ho reagito a quanto stava accadendo con le storture del federalismo fiscale e, dopo aver aperto un confronto e una riflessione con diversi Sindaci di altri Comuni, con decisione unanime dell’Amministrazione abbiamo deciso, da soli e primi in Italia, di deliberare contro l’attuazione di questo meccanismo perverso, avviando un ricorso contro il sistema di perequazione del fondo di solidarietà comunale. Un sistema iniquo e offensivo della dignità e dei diritti dei cittadini. I fondi perequativi infatti, garantiti a tutti in maniera uguale per Costituzione, nella loro applicazione distorta, considerano invece la spesa storica e la quantità di servizi esistenti in un territorio, dividendo in parti uguali fra diseguali, e rendendo impossibile l’erogazione di pari servizi in territori con possibilità economiche e di spesa storicamente molto diverse.
Il ricorso è stato parzialmente accolto, e tanti Comuni si sono uniti in questa battaglia di civiltà in difesa della Costituzione.
Quello che succede già con il federalismo fiscale, troverà il naturale compimento nella Legge Calderoli, già approvata dal Consiglio dei Ministri, appoggiandosi alla modifica dell’articolo 117 della Costituzione, decisa trasversalmente da tutte le forze politiche.
Con tale profonda riforma della costituzione del 1948 nascono i Lep, Livelli essenziali nelle prestazioni, che per circa vent’anni restano nell’ombra, o quasi, fino alla legge di bilancio del 2023 con cui il Parlamento, con una norma sicuramente anticostituzionale, si spoglia dei suoi poteri in materia e affida a una cabina di regia il compito di definirli, lasciando al Presidente del Consiglio dei Ministri l’atto, squisitamente amministrativo, di approvarli.
La logica dei Lep è chiara: lo Stato cede gran parte dei suoi poteri alle Regioni, aprendo la strada ad un inevitabile spezzatino di servizi. Servizi peraltro non definiti, che non tengono conto delle situazioni più complesse, Lep quantificati senza tenere conto dei parametri che misurano le reali differenze della qualità dei servizi e che appaiono come un elenco di prestazioni assicurative, spalancando così la strada alle lobby private, che si stanno già assicurando pezzi di servizi importanti, primo fra tutti la sanità.
La nostra Regione, per esempio, senza un filo di vergogna, pochi mesi fa ha ridisegnato la mappa dell’intervento sanitario privato, eufemisticamente chiamato “accreditato”. Il Presidente, dotato di poteri inimmaginabili, anche in virtù di quella scellerata riforma costituzionale, consegna ai privati circa 180 milioni di bilancio per servizi sanitari. In una Regione in cui la spesa per la migrazione sanitaria sfiora la cifra di 350 milioni l’anno, con una popolazione residente che non sfora mai il milione e 700.000 abitanti.
Lo stesso PNRR, improntato sulla riforma della giustizia e della pubblica amministrazione, resta in assoluta invarianza rispetto alla sanità ed ai servizi sociali.
Per mettere un freno alla privatizzazione, per rispondere alle criticità del sistema pubblico, quindi per togliere di mezzo i problemi più vistosi – dalle liste di attesa alla medicina generale, alla carenza di ospedali e di presidi di pronto soccorso alla carenza di personale, alla mancanza di prevenzione primaria – oggi ci vogliono altre cose. Un nuovo PNRR, un progetto di sanità pubblica e risorse per finanziarlo, e insieme una grande capacità politica. Condizioni che non mi pare allo stato esistano e tanto meno esisteranno con la riforma Calderoli.
Già ora con grandi difficoltà lavoriamo per migliorare le nostre scuole, renderle più accoglienti, per garantire i servizi mensa essenziali per attivare il tempo pieno, difficoltà che saranno ancora maggiori con l’Autonomia differenziata.
Ma penso anche alle carenze infrastrutturali, alle differenze di offerta culturale che già soffrono territori come il nostro e che si amplieranno ancora di più, penso alla mancanza di trasporti adeguati, alla tutela dell’ambiente, alla connessione internet di qualità che renderebbe più competitive molte realtà produttive, alla sicurezza sul lavoro, all’accesso alle informazioni pubbliche su cui con questa riforma difficilmente riusciremo ad intervenire.
Definire i Lep, inoltre, non equivale a garantirli, come è accaduto con i Lea, livelli essenziali di assistenza, già concettualmente migliori e già attivati, ma non uniformemente garantiti in tutte le Regioni, anzi, in molte come la Calabria, rimasti al di sotto delle prestazioni minime da garantire nell’assistenza sanitaria.
Faccio un piccolo esempio: la battaglia che stiamo conducendo in questi mesi, per la presenza costante di un assistente sociale. Un livello essenziale di prestazione introdotto nel 2021 che in concreto aiuta con premi chi è vicino alla soglia (uno su 6500), oppure l’ha raggiunta o superata, mentre lascia indietro chi ha più bisogno.
Ecco… un Lep che allarga i divari.
Questa riforma non solo sconvolgerà gli elementi costitutivi del nostro paese, non solo disegnerà una mappa geografica diversa, essenzialmente divisa, ma soprattutto allargherà i divari tra chi è ricco e lo sarà ancora di più, con la complicità dello Stato, e chi è povero e lo sarà anche di più, con la responsabilità dello Stato.
Una battaglia politica necessaria
Il ruolo di Sindaco, sicuramente impegnato non solo nelle attività meramente amministrative ma nella comprensione di quanto sta succedendo, è sicuramente un ruolo privilegiato per capire i disagi, le necessità, i bisogni spesso richiesti con voce rassegnata, perché il Sindaco ha sempre rappresentato il vero front office, la risposta alle domande che lo Stato non dà. E la grave emergenza sanitaria che era ed è stata il COVID lo ha dimostrato in maniera inequivocabile.
Sopperiamo spesso alla mancanza di intervento dello Stato centrale con una attenzione importante verso il volontariato e spesso, con grande lavoro e fantasia, per distribuire servizi a chi servizi non ha, diritti a chi diritti non ha, dal trasporto dei disabili all’assistenza anche domiciliare per sopperire ai bisogni elementari.
Un lavoro che ogni giorno facciamo per il rispetto di un territorio che questa legge scellerata mortificherà ancora di più.
Penso che la battaglia che abbiamo già intrapreso molti anni fa, e che ora, per fortuna, ha la partecipazione di centinaia di Comuni, debba essere continuata con ogni mezzo possibile. C’è la strada dei referendum e c’è quella della contrattazione e del dialogo.
Penso però che nessuna riforma testuale della Costituzione potrà mai di per sé bloccare la grave deriva verso la frantumazione sostanziale del paese.
Penso che l’unità della Repubblica e l’eguaglianza dei diritti si difendano anzitutto con la battaglia politica, che non ci si possa mai fermare, che sia necessario essere in ogni luogo, in ogni momento in cui si manifesta sete di giustizia e necessità di riaffermare diritti negati.
Bisogna continuare a pretendere che le tutele pubbliche siano distribuite in maniera equa su tutto il territorio. Bisogna essere contro chi vuole riconoscere a chi è più ricco una speciale autonomia. Bisogna fare una battaglia per un sistema sanitario nazionale dove a nessuno, a nessuna Regione, deve essere riconosciuto il diritto alla secessione.
Non bisogna, come la Costituzione ci insegna e ci impone, passare dalla solidarietà alla carità.
Io come Sindaco ho già cominciato da tempo la mia battaglia che è diventata la battaglia di un’Amministrazione e poi di tante altre. Bisogna informare di più, fare sapere ai cittadini che quello che succederà non sarà per il bene di gran parte del territorio italiano, soprattutto nel nostro Sud. E bisognerà esserci in ogni modo perché le battaglie non si perdono mai, si vincono sempre.
* Michele Conia, 46 anni, è sindaco al secondo mandato del comune di Cinquefrondi (RC), espressione di un movimento popolare in opposizione a destra e centro sinistra. Fa parte del Coordinamento nazionale provvisorio di Unione Popolare ed è vicepresidente nazionale di De.Ma.