Sulla legge di iniziativa popolare AS 764
Sempre a proposito di Autonomia differenziata, pubblichiamo questo intervento di Franco Russo – che condividiamo – sulla legge di iniziativa popolare predisposta dal costituzionalista Massimo Villone.
Franco Russo*
Modifica dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, concernente il riconoscimento alle Regioni di forme e condizioni particolari di autonomia, e modifiche all’articolo 117, commi primo, secondo e terzo, della Costituzione, con l’introduzione di una clausola di supremazia della legge statale e lo spostamento di alcune materie di potestà legislativa concorrente alla potestà legislativa esclusiva dello Stato
Il disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare (LIP), promosso dal prof. Massimo Villone, impegnato negli ultimi anni a contrastare i progetti di autonomia differenziata (AD), mira a correggere le più vistose storture di quell’infelice riforma (G. M. Flick), ‘un monumento di insipienza giuridica’ come la definì G. Ferrara, portata a compimento dal governo Amato nel 2001, su pressione dei DS intenzionati a competere con la Lega sul terreno della ‘secessione del Nord’.
La LIP è stata opportunamente presentata al Senato, dato che il suo Regolamento all’art. 74 impone tempi certi per la sua calendarizzazione, evitando di farla finire su un binario morto (come è successo per altre LIP). Purtroppo è un’occasione persa perché, nell’intento di bloccare il progetto Calderoli (ddl AS 615), interviene solo sugli articoli 116 e 117 Cost., lasciando in piedi tutte le ‘storture’ della legge costituzionale 3/2001, che modificò l’intero Titolo V, introducendo, non solo la possibilità dell’AD (terzo comma articolo 116 Cost.), ma capovolse completamente la ripartizione delle competenze legislative attribuendo alle Regioni quella generale, ed elencando specificamente quelle concorrenti con lo Stato, e quelle esclusive dello Stato. Già questa scelta di inversione, tipica dei regimi federali, suona paradossale per un assetto istituzionale che, senza cambiare la forma di Stato, rimaneva con un impianto di regionalismo cooperativo (almeno secondo i dettami della Costituzione). Inoltre il legislatore della revisione del 2001, introducendo i vincoli derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’UE, costituzionalizzò il primato e l’effetto diretto della normativa UE fin ad allora sottoposta allo scrutinio della Corte costituzionale in virtù dei controlimiti (sia pure con alti e bassi). In questo modo si cancellò di fatto il ruolo della Corte italiana che, in sintonia con quella tedesca, operava il sindacato di costituzionalità delle norme UE a garanzia dei diritti fondamentali.
La controriforma del 2001 introdusse all’articolo 118, insieme alla sussidiarietà verticale (relativa alla divisione dei poteri tra livelli istituzionali), quella orizzontale dando ‘copertura costituzionale’ ai processi di privatizzazione dei servizi pubblici, di modo che enti privati si sono andati sostituendo alle istituzioni pubbliche nella loro erogazione. Ciò per altro ha dato il via al proliferare di cooperative, enti no profit, imprese sociali, fondazioni ecc. – il cosiddetto privato-sociale – non di servizio ai cittadini ma ai ‘politici’, che hanno costruito per questa via le loro reti elettorali clientelari.
La legge di revisione costituzionale del 2001 riformò la finanza degli enti territoriali, e poi con la legge costituzionale 1/2012 essa venne vincolata al rispetto dell’equilibrio di bilancio, così i tagli alla spesa pubblica (dalla sanità alla scuola al blocco delle assunzioni e alla precarizzazione nel pubblico impiego) hanno trovato un fondamento addirittura costituzionale. Da ultimo, non certo per ordine d’importanza, la revisione costituzionale del 2001 cancellò dall’articolo 119 la disposizione che imponeva allo Stato interventi straordinari per sanare la ‘questione meridionale’, per superare cioè i profondi e storici squilibri territoriali tra il Nord e il Sud.
Per questi motivi, la LIP promossa dal prof. Villone è una vera occasione mancata per cancellare le disposizioni del legislatore della revisione del 2001, che hanno dato una prima impronta liberista alla nostra Costituzione, su cui ne è stata impressa una seconda nel 2012 con l’introduzione in Costituzione del “pareggio di bilancio”.
Nel merito. La LIP ha riformulato la lettera m del secondo comma dell’articolo 117 sostituendo il termine ‘essenziale’ riferito ai livelli di prestazione con ‘uniforme’. Questo è l’unico elemento positivo perché si propone di evitare che i livelli di prestazione continuino a perpetuare le disuguaglianze nelle fruizione dei diritti sociali tra i cittadini residenti in diversi territori. Tuttavia si sarebbe potuto trovare una migliore formulazione. La proposta si rifà chiaramente a due fonti: alla legge 833/1978 (la riforma sanitaria), che all’articolo 4 parla appunto di livelli ‘uniformi’ delle prestazione sanitarie (termine talvolta richiamato in diverse sentenze della Corte costituzionale), e all’articolo 72 del Grundgesetz tedesco, che, pur sottoposto a revisione nel 2019, ha ribadito che lo Stato federale deve garantire die Herstellung gleichwertiger Lebensverhältnisse, che viene per solito reso con ‘la realizzazione di equivalenti condizioni di vita’, anche se il termine gleichwertig ha il significato letterale di ‘uguale valore’. Per questo sarebbe stato preferibile utilizzare questa locuzione o l’aggettivo ‘equivalenti’ perché più consoni al dettato dell’articolo 3, secondo comma, della nostra Costituzione, in quanto non si deve garantire a persone diseguali prestazioni uguali, ma prestazioni diseguali per tener conto appunto delle diversità individuali. L’importante è che le prestazioni abbiano ‘ugual valore’, non che siano identiche o uniformi.
Assolutamente incomprensibile è, poi, la proposta di doppio referendum popolare sulle leggi regolatrici delle eventuali Intese (art. 1 LIP). Si noti: sia pure rinforzate, le Intese tra Regioni e Stato per attuare l’autonomia differenziata sono leggi ordinarie, su cui però secondo la LIP si potrebbe attivare preventivamente all’entrata in vigore un referendum quale quello previsto dall’articolo 138 Cost., riservato alle leggi di rango costituzionale; successivamente all’entrata in vigore, se superato o evitato il primo ostacolo, scatta la possibilità di referendum abrogativo per le leggi ordinarie ex art. 75 Cost. Una prima volta l’Intesa viene equiparata a una legge costituzionale, successivamente torna a essere una legge ordinaria. Un vero fenomeno di transustanziazione, in realtà un pasticcio istituzionale motivato solo da ragioni politiche. Si può continuare a proporre modifiche della Costituzione mossi solo da esigenze politiche? La Carta non può essere à la carte: nel 2001 la si manomise nella speranza di attenuare al Nord l’attrazione elettorale della Lega, e nel 2023 per contrastare il disegno di autonomie differenziate si vorrebbe introdurre in Costituzione un doppio pasticciato meccanismo referendario.
Non sarebbe stato più semplice proporre l’abrogazione del terzo comma dell’articolo 116, tagliando alla radice la questione dell’AD?
Sempre in tema di ‘pasticcio’: l’introduzione in Costituzione di una clausola di supremazia, secondo cui la ‘legge dello Stato può disporre nelle materie non riservate alla legislazione esclusiva, comprese le materie disciplinate con legge regionale in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, quando lo richiede la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale. La legge regionale non può in alcun caso porsi in contrasto con l’interesse nazionale’ (art. 2 LIP).
Questa clausola è tipica degli ordinamenti federali, ma quello italiano non lo è. Dunque a che serve? Non basta il secondo comma dell’articolo 120, che prevede poteri sostitutivi del Governo anche nel caso di mancata garanzia dei LEP, oltre che in altri casi specificamente indicati? Bisogna anzi riconoscere che la formulazione del vigente secondo comma dell’ articolo 120 è tutto sommato migliore della clausola di supremazia avanzata dalla LIP, anche perché non ricorre a nozioni metafisiche quali “interesse nazionale”. Si noti: si parla di “interesse nazionale”, neppure di “interesse generale”, nozione altrettanto impregnata di astrattismo, ma che non evoca “sovranismi” e in tempi di governo Meloni meno si usa il termine “nazionale” meglio è.