Lasciare segni: la valutazione scolastica

Renata Puleo*

Si può non valutare?

In quanto esseri viventi, nell’arco del tempo di esistenza, nel corso dell’esperire, in situazioni ordinarie e straordinarie, assumiamo decisioni. Decidere, come suggerisce l’etimo, è operare un taglio, dirimere fra risposte giuste, sbagliate, fra scelte e dubbi costanti. Spesso, l’adeguatezza è legata a un giudizio intuitivo, inconsapevole, come lo sono molte abilità. Si giudica adeguato un comportamento, proprio o altrui, in base a valori culturali, morali, estetici: classi di know-how, di capacità di confronto immediato che ci fanno trovare la risposta appropriata, anche quando si rivelerà disfunzionale1 . In situazioni strutturate, come nei contesti di insegnamento e apprendimento, il parametro di adeguatezza è costituito da prestazioni attese, da obiettivi, nel costante lavorio degli attori, insegnanti, creature piccole, che giudicano anche su base intuitiva, emotiva, irrazionale. La valutazione, diffusa, locale, pregiudiziale, a equilibrio instabile, va a comporre quella istituzionale, sommativa, finale. E qui, entrano in gioco la misurazione delle prestazioni, i riferimenti a scale parametriche, secondo gradienti di adeguatezza del compito: voto numerico, giudizio discorsivo, scale miste. 

Si può non insegnare?

Proprio a partire dalla presunta necessità di immettere in una scala di prestazione i comportamenti degli alunni, ci si potrebbe chiedere se tale necessità è legittima. Le norme che reggono il sistema di istruzione come istituto giuridico la prescrivono fra i doveri dei docenti, in termini di restituzione, di trasparenza nei responsi ufficiali (accountability: render conto), come feedback per eventuali correzioni di percorso. L’ala più severa dei valutatori, i soggetti terzi, come l’INVALSI, la stessa accademia pedagogica e docimologica affermano che “gli insegnanti migliori, più efficaci sono quelli in grado di guidare il processo educativo verso una solida produzione di risultati di apprendimento, predefiniti e di un numero limitato di identità prestabilite […mediante] una industria globale della misurazione dell’istruzione” (G.Biesta, 2022 p 8). Una questione di controllo e di controllori, sui soggetti che apprendono e, di contro, sui loro insegnanti. Questa circolarità è viziosa, tralascia il fatto che “…l’autorità è fondamentalmente una questione relazionale e non qualcosa che una persona può semplicemente imporre su di un’altra” (G:Biesta, ibidem). Come suggerisce sempre Biesta, essere insegnanti responsabili vuol dire agire in processi di co-responsabilità, in una sorta di sospensione fra un insegnamento, una lezione, un discorso, e la valutazione del segno che esso lascia. Qualunque atto relazionale lascia un segno, in-segna, ma non tutto può esser oggetto di riscontro, tantomeno presuntamente oggettivo. Il dubbio, l’attesa, l’imprevisto, il non visto, ciò che al momento dato non sembra aver lasciato il segno, dovrebbe sospendere la protervia del valutatore.

Dov’è l’insegnante? 

Una serie di questioni si è aperta, in tutti i paesi dell’Europa Unita, sul quadro delle 8 competenze-chiave2. Gli aspetti più rilevanti, pur nell’incertezza terminologica ed epistemologica delle definizioni, sono di ordine pedagogico e didattico (gli strumenti dell’insegnare). Il complesso-competenze ha tolto rilievo alle discipline e ai loro statuti, ha messo al bando le modalità di insegnamento classiche (lezione frontale, studio individuale, manuali, interrogazioni), non adatte alla richiesta sociale di istruzione, di fatto formulata dal mercato del lavoro. L’importanza attribuita a un non ben chiaro fare, al compito di realtà, spesso slegato dalle ipotesi e dalle teorie tipiche dei diversi ambiti disciplinari, si alimenta con la retorica del sapere autogeneratosi nei gruppi dei discenti, ora, anche negli ambienti di apprendimento digitali. Ai docenti restano compiti di semplice animazione e assistentato, mentre la valutazione delle competenze viene effettuata dagli enti valutatori incaricati dai governi. 

Abolire la pedagogia?

In un affilato testo del 2017, tre filosofi spagnoli, hanno analizzato la devastazione neoliberista che ha investito i sistemi di istruzione europei, a partire dalle università, soprattutto, nei dipartimenti di filosofia e di pedagogia3. In una sorta di corto circuito – secondo gli autori del saggio – il fatto educativo è imploso, in un distopico Nuovo Ordine Educativo funzionale agli interessi spuri del mercato del capitale umano, nella pedagogia delle competenze a cura di presunti esperti. Esperti, secondo gli autori, in sofismi all’apparenza progressisti. Tale precettistica accademica provoca la ludificazione irresponsabile dell’insegnamento, l’infantilizzazione dello studente, l’antiintellettualismo distruttivo di secoli di ricerca disciplinare. Il risultato è la sostanziale condanna dei bambini, dei ragazzi al destino di servitù verso il lavoro flessibile (e precario). L’unica soluzione, nella colpevole indifferenza o complicità della sinistra (in cui includono i leader di Podemos), è l’abolizione della pedagogia accademica, da rimettere in pieno nel lavoro dei maestri e degli insegnanti. Pur condividendo l’analisi, mi domando se si può salvare la nobiltà di tanta pedagogia italiana, ancorandola alla saggezza del dettato costituzionale. Occorre restituire ai docenti la scelta di come, con che cosa, con quali strumenti, insegnare le discipline, restituire loro la valutazione, fattori in cui consiste la libertà di insegnamento e quella di ricerca (artt 33, 34 dalla nostra Carta).

“Mamma, chi è un bambino intermedio?”

Qualche riflessione sulla valutazione istituzionale nella scuola primaria. Lo stato di emergenza determinato dallo scoppio della sindemia mondiale da Covid 19 ha investito come un fiume in piena la scuola italiana di ogni ordine e grado. La Didattica a Distanza (DaD) sembrò l’unica risposta possibile per garantire, a edifici chiusi, il diritto all’educazione e all’istruzione. Travolte le forme tradizionali di insegnamento in presenza, anche i sistemi di valutazione sono stati oggetto di provvedimenti normativi, di Lettere di Raccomandazione firmate da Capi Dipartimento, di Note Ministeriali e dall’immediata occupazione di campo da parte dei gestori di piattaforme. Se l’esame di licenza a fine del primo ciclo e quello di secondo, la maturità, sono poi rientrati nei ranghi di una forma ordinaria e normata di valutazione finale, la Scuola Primaria dal dicembre 2020 ha visto drasticamente cambiare parametri e scala di verifica degli apprendimenti, quadrimestrale e finale4. Alla scala numerica decimale, ripristinata nel 2008 dalla Ministra Gelmini, dopo un periodo d’uso dei giudizi narrativi senza voti, si è sostituita la scala progressiva a 4 livelli: “in via di prima acquisizione; base; intermedio; avanzato”. Livelli corredati da alcune righe di descrittori dei comportamenti da valutare in situazioni note o no, con risorse proprie o fornite dal docente. Essa riproduce pari-pari i 4 gradi utilizzati a fine V nella Certificazione delle Competenze, rilasciata dal dirigente e controfirmata dall’INVALSI (sulla base dei risultati delle prove a test, per Italiano, Matematica, Lingua Inglese)5. Ed ecco piovere sui Maestri rubriche esplicative dei descrittori, tabelle di corrispondenze fra livelli e altre scale, corsi e corsetti a cura di esperti del momento, nel tentativo di sciogliere il significato, ad esempio, di situazione nota e di autonomia di risorse, vero inghippo educativo e didattico6

Abolire l’Invalsi?

Quel che nessuno, o pochi, contestano in questo delirio, è il ruolo dell’INVALSI. Ente autonomo di ricerca, in realtà perito unico del Ministero sul lavoro degli insegnanti, letto attraverso la valutazione degli apprendimenti, ha assunto un ruolo centrale nella formazione di docenti, nell’indirizzo della loro didattica, nella promozione della didattica per competenze, nell’insistenza del rapporto fra scuola e mondo del lavoro come esito dei percorsi di istruzione . Ente orientatore, certificatore dei curricula degli studenti, profilatore dei soggetti fragili destinatari di didattica compensativa, mentore nella contrattazione delle risorse economiche da destinare alle scuole . Una discussione seria sulla valutazione non può eludere la zeppa INVALSI. Non basta cambiare la platea degli studenti scegliendo di fare solo test a campione. Il sistema è bacato dall’ideologia che lo governa, in linea con la peggiore forma di neoliberismo più su denunciata.    

Conclusione

Le sedicenti sperimentazioni di valutazione educativa (C.Corsini, 2023; V.Grion, 2023) che eliminano il voto numerico anche alle superiori ma, incongruamente, lasciano in vigore il Registro Elettronico, la valutazione normata per legge e la somministrazione delle prove INVALSI, non risolvono il problema pedagogico, valoriale segnalato nei saggi che ho citato. Sembra invece interessante la proposta dei modelli narrativi, capaci di descrivere e valorizzare i processi, compartecipati con gli alunni (DI Pasquale,2022, p. 159 passim). Ma senza l’INVALSI, per favore!  


 1 F.J. Varela Un know-how per l’etica. Laterza Bari-Roma, 1992

2 Raccomandazioni Consiglio EU del 18/12/2006 e del 22/05/2017

3 C. Fernández Liría; O. García Fernández; E. Galindo Ferrández  Escuela o Barbarie. Entre el neoliberismo y el delirio de la izquierda akal ed. Madrid, 2017

4 L’Ordinanza 172, 14/12/2020 è stata emanata dopo un breve lavoro di commissione a cui è seguita, in Parlamento, la presentazione di un emendamento a cura della onorevole Loredana De Petris (SI, gruppo misto) che, estendendo i livelli anche alla valutazione finale, ne sottolineava la valenza formativa. Senza troppa attenzione a ciò che pensavano i docenti, cavalcando le posizioni molto emotive di alcune associazioni di insegnanti e genitori.

5 Dlgs 13/04/ 2017, n 62

6 D. Di Pasquale Livelli di scuola. La deriva neoliberista della nuova valutazione nella scuola primaria aracne ed. Roma, 2022


* Renata Puleo. Già Maestra, Direttrice Didattica, Dirigente Scolastica, si occupa di formazione dei docenti, nello specifico di valutazione. Fa parte del Collettivo NiNaNd@, delle Associazioni ALaS e Scuola per la Repubblica.

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