Cesare Bermani, Marcello Ingrao, L’alba intravista. Militanti politici del Biennio rosso tra Piemonte e Lombardia, supplemento a “Prospettiva Marxista”, n. 116, marzo 2024

Filippo Colombara

A quanti conoscono i lavori sul canto sociale italiano, è ben noto il contributo di Cesare Bermani in questa branca di studi. Studi che per Cesare iniziarono nella Bassa Novarese durante i primi anni Sessanta e che, in più occasioni, hanno dimostrato la ricchezza dei contributi forniti, nonché il concreto apporto al patrimonio nazionale della cultura popolare e proletaria.

Ripensando a quei tempi, peraltro, viene in mente la bella fotografia di Bermani ventisettenne, ritratto mentre registra i canti di Fenisia Baldini (una delle più belle voci popolari) e Giuseppina Stangalini pubblicata su “Vie Nuove” nel 1964. Foto (riprodotta nel nuovo libro) che ritrae in prima fila il grosso magnetofono in quegli anni usato per le ricerche sul campo. Un fidato compagno di lavoro – seguito dai più maneggevoli Uher – che il ricercatore novarese si trascinava in ogni luogo e in ogni situazione, fedele all’assioma: “Registra sempre, non mollare mai!”. Quindi, anche senza automobile (non ha mai posseduto la patente), il “testimone” lo andava a cercare dappertutto, anche in risaia. Lì, se necessario, piazzava il magnetofono e incideva quei canti, oggi tanto preziosi, in grado di ricollegarci a un passato che è parte del nostro sapere civile.

Quelle erano canzoni, ma nelle campagne, come nei circoli operai, il nastro magnetico raccoglieva altro. Ricorda Bermani: “Durante questi incontri, mi accorsi ben presto che questi militanti raccontavano volentieri la loro vita e che la storia del movimento operaio che emergeva dai loro racconti era qualcosa di diverso da quella appresa dai libri”.

Il nastro magnetico scorreva, non si fermava all’ultima strofa della canzone, continuava e incideva, appunto, i racconti di quelle vite proletarie, l’impegno politico, gli incredibili sacrifici in nome di un ideale che faceva intravedere l’alba di una nuova società.

Di questo si occupa il nuovo libro di Cesare Bermani, firmato con Marcello Ingrao: le memorie di oltre una trentina di militanti di base, in massima parte del Basso Novarese e Vercellese, raccolte nel corso di una decina d’anni, tra il 1963 e il 1973. Materiale, per lo più derivato da interviste, che ci conduce allo studio del passato – precisa Bermani – con l’impiego delle fonti orali in qualità di  “narrazioni orali per la storia”, espressione migliore di quella sovente usata, ma approssimativa, di “storia orale”.

I militanti intervistati, quasi tutti nati nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, appartengono a quella generazione “bolscevica”, che in gran parte prese parte al Biennio rosso (1919-1920) e spesso continuò la lotta fino alle sconfitta del fascismo. I racconti, di conseguenza, attraversano gli anni salienti delle lotte proletarie, quando erano in molti a considerare possibile “andare oltre” le rivendicazioni salariali e di organizzazione del lavoro nelle campagne – con lo sciopero dei 50 giorni del 1920 – e nelle fabbriche, occupate nel settembre di quell’anno. Insomma, uno dei periodi più ardimentosi del Novecento, dove lo scontro di comunisti, socialisti, anarchici e gente comune contro fascisti e guardie regie si espresse a tutto campo nelle città e nei borghi di provincia. Un periodo nel quale si sentiva cantare contro i notabili di paese: “E sü e sü e giü / tri liri e ’na scü / e sa vèn bas al sìndich / lu piuma pè ’ntal cü” (E su e su e giù, tre lire e uno scudo, e se scende il sindaco lo prendiamo a pedate nel culo). Un periodo per molti militanti pregno di idealità comuniste che, nell’arco di pochi anni, dovranno essere messe a confronto con la realtà staliniana e le purghe, di cui fu vittima ad esempio Giuseppe Rimola, detto Pinèla, una delle figure più importanti del Pcd’i novarese, vergognosamente accusato di spionaggio e fucilato in Russia nel 1938 (riabilitato nel 1956 al XX Congresso del Partito comunista dell’Unione sovietica). C’è anche lui in questo libro, così come è presente Carletto Leonardi, segretario della federazione comunista novarese nel 1921, personaggio sempre attivo politicamente, anche durante la Resistenza, fino alla cattura, alla deportazione e alla morte a Mauthausen nel gennaio 1945. Storie (per due terzi inedite), che lette oggi ci lasciano esterrefatti e delle quali è imperativo fare memoria, così come è necessario rammentare quegli anni che produssero tanta paura al potere. Scrive Marcello Ingrao nel saggio introduttivo: “Se l’alba di una società liberata dal dominio del capitale e dalla divisione di classe non sorse e forse non poteva sorgere in quella fase di lotta e tensioni sociali, non di meno quell’alba fu un concetto realmente operante nel confronto politico, un’aspirazione che mosse realmente masse proletarie ad esperimenti e formulazioni mai prima raggiunti, un punto focale di un percorso di formazione di un’identità politica collettiva”.


Filippo Colombara

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