Tornare alle origini del PRC per andare avanti
Anna Camposampiero*
Come tutte e tutti ricordano, nel 2004 siamo stati uno tra i partiti promotori della Partito della Sinistra Europea – European Left. Direi il vero promotore. Un progetto ambizioso che ha incontrato difficoltà anche all’interno del nostro partito, sia in termini di consenso alla sua formazione all’inizio, che di reale partecipazione ai processi che lo hanno caratterizzato in questi venti anni di vita.
Mi sono sempre interrogata sull’evidenza della scelta di non investire in questo progetto per renderlo patrimonio di tutte e tutti i compagni. Un’occasione persa, che non ci ha permesso di capitalizzare quella che era stata una grande idea precorritrice dei tempi, di cui in Italia eravamo gli unici protagonisti.
Certo è che oggi la guerra in Ucraina e la situazione in Palestina, con i rischi di deflagrazione in una guerra mondiale non più a pezzi, e nucleare, generano tensioni, e torsioni, in tutte le sinistre in Europa. Una situazione che arriva dopo la crisi economica mai risolta dal 2008 ad oggi, l’emergenza Covid-19, e ora, appunto, la guerra e la corsa alla militarizzazione a cui aggiungere il ritorno dell’austerità. Quello a cui stiamo assistendo è un enorme caos che sta stravolgendo quanto da noi conosciuto, generando dubbi e minando certezze, ribaltando le posizioni storiche di alcune forze politiche, in alcuni casi mettendole in una situazione quasi a rischio di estinzione mentre ne emergono altre forse più capaci di cogliere il momento.
Le sinistre cosiddette populiste, i rosso-verdi e i partiti comunisti hanno approcci tattici diversi in questa nuova fase, anche in funzione di accordi di governo. Non c’è una “ricetta” univoca: approcci tattici diversificati verso il giudizio sull’invio di armi all’Ucraina; approcci tattici verso nuovi Fronti Popolari per fermare le destre; approcci tattici con venature “campiste” fuori tempo; approcci tattici anche al grande tema dell’immigrazione e sulle politiche di genere.
La tendenza alla guerra genera fratture, e non è una novità nella storia, tra le formazioni politiche progressiste e comuniste. Tutto è in movimento, con crisi, ripensamenti, atti distruttivi, ma anche potenzialmente fecondi in prospettiva.
Oggi, nel momento in cui ci sarebbe bisogno più che mai di una sinistra forte e coesa, il Partito della Sinistra Europea, European Left, vive una crisi profonda. A no e noi spetterebbe il compito di portare un contributo di rilievo se non fossimo dilaniati in una disputa fratricida e ingessati nella nostra stessa crisi.
La crisi della Sinistra Europea non è iniziata con la guerra in Ucraina: nel congresso di dicembre 2022, dieci mesi dopo l’invasione della Russia in Ucraina, si sono amplificate crepe già esistenti che hanno fatto esplodere nuove contraddizioni (del resto, anche la nostra crisi ha radici ben lontane nel tempo e ben chiare, a volerle vedere). La crisi si è concretizzata, due anni dopo, con l’abbandono della Sinistra Europea da parte di alcune forze politiche che hanno dato vita, insieme ad altre che non ne hanno mai fatto parte, a un nuovo partito europeo, European Left Alliance for the People and the Planet (ELA), nel 2024, proprio mentre si compivano i 20 anni della Sinistra Europea, che come primo impatto diretto ha visto la riduzione dei/delle parlamentari disposti a sostenere il partito mettendo a disposizione la loro firma per garantire il collegamento con il gruppo parlamentare “The Left” e i finanziamenti che ne conseguono.
Firmatarie della fondazione del nuovo partito ELA, tre donne: Malin Björk, della Sinistra Svedese (Vänsterpartiet), Catarina Martens del Bloque de Izquierda portghese (entrambi fuoriusciti dal Partito della Sinistra Europea) e Sophie Rauszer de La France Insoumise. Si sono uniti l’Alleanza Rosso Verde di Danimarca, la Sinistra Finlandese, il Partito Lewica Razem polacco (che non ha europarlamentari, ma parlamentari nazionali sì), e Podemos dalla Spagna. Anche da un punto di vista dell’immaginario (e dell’immagine) si vuole marcare la differenza.
In questa nuova fase storica, ci dovremmo interrogare sulle ragioni del nuovo protagonismo delle donne nello scenario politico, su tutti i fronti, anche a destra come ben sappiamo, che non sempre è portatore di posizioni avanzate.
Ho voluto elencare i partiti fondatori del nuovo soggetto per sottolineare due cose: la prima è l’assenza di comunisti, e la seconda le contraddizioni presenti, in particolare sul tema della guerra in Ucraina che non è dunque il solo elemento divergente.
In questo terremoto e stravolgimento continuo, l’unica forza comunista in Europa che appare immobile, quasi in catalessi e paralizzata da un dibattito di retroguardia è il nostro Partito. Dal 2008, anno in cui i comunisti escono dalla scena parlamentare italiana, la tattica per affrontare l’agone politico è rimasta invariata.
Eppure siamo stati drammaticamente protagonisti, in negativo, di tante vicende che ora travolgono l’Europa. Pensiamo alla nascita del populismo liberale di Berlusconi – ben prima di Trump o Orban- che ha governato a lungo il paese cambiando radicalmente il modo di fare “politica” e di percepirla. Abbiamo visto nascere e crescere una formazione xenofoba come La Lega, che fomentava l’astio verso il “potere” (ci ricordiamo lo slogan “Roma ladrona”, prodromo della loro battaglia per l’autonomia differenziata che oggi arriva a compimento?) e che intercettava il sentimento ed il voto contro l’immigrazione ben prima di altri in Europa, costruendo su di esso il proprio successo politico, certo con alti e bassi, ma che ha retto dal 1991 ad oggi. Pensiamo alla nascita del populismo “né di destra né di sinistra” del Movimento 5 Stelle, che ha governato sia con la destra e con il centro-sinistra, sfondando ideologicamente nell’elettorato che fu anche di Rifondazione Comunista, è stato l’altro elemento di novità nel panorama europeo.
A ben guardare sono questi i fenomeni che poi hanno messo radici anche in altri paesi europei. Ma siamo stati noi i primi ad avere un governo di estrema destra, che sta lavorando alacremente per attuare il progetto inaugurato da Berlusconi, ed ereditato da Meloni, determinata a fondare un neoliberismo autoritario, che ci porta direttamente in una fase di involuzione autocratica e autoritaria della democrazia, almeno per come l’abbiamo sino ad ora conosciuta: autonomia differenziata e premierato in primis; “Leggi sicurezza”, con la creazione di una legislazione penale da Stato di polizia; riforma della giustizia, che minando l’autonomia dei giudici tende a cancellare la divisione dei poteri, e via smantellando i caposaldi della Costituzione.
Sorge quindi spontanea una domanda: perché noi che fummo tra i fondatori del Partito della Sinistra Europea, invidiati ed imitati in tutta Europa, ci siamo consegnati ad un dibattito di retroguardia, che in Europa non interessa a nessuno? Perché ci siamo ridotti a confondere la missione storica e strategica del cambiamento della società propria di una formazione comunista con un recinto settario privo di respiro politico? Perché ci siamo ridotti a confondere strategia e tattica, avvitando il partito nella ricerca, dimostratasi velleitaria, di “poli dell’alternativa” che non avevano né basi sociali maggioritarie, né basi culturali e ideologiche per funzionare? A queste domande si dovrebbe contribuire con onestà a rispondere con il prossimo Congresso nazionale di Rifondazione Comunista.
Le mancate risposte sono l’origine della nostra crisi politica attuale, della nostra ininfluenza nel dibattito tra le forze progressiste, socialiste e comuniste in Europa.
Nella migliore delle ipotesi ci limitiamo ad assistere ai successi altrui, ripetendo il mantra: “facciamo come”… (mettete a scelta il nome del Paese che di volta in volta ha visto la forza di sinistra conseguire buoni risultati di consenso popolare e di voto), senza riguardo alla necessità di produrre un’analisi seria e convincente della conflittualità sociale, della specificità del nostro sistema elettorale, e così via. E’ parso spesso sufficiente declamare la nostra purezza identitaria ed esaltare il nostro splendido quanto inutile isolamento.
Dobbiamo, al contrario, liberarci dalla gabbia dei veti e far fluire nel Partito il dibattito con sperimentazioni politiche le più diversificate, lavorando ad accordi tattici tra soggetti politici diversi, quando questo rende possibile l’avanzamento salariale e sociale delle lavoratrici e dei lavoratori, quando favorisce il contrasto alla speculazione edilizia, quando si aprono le condizioni per una ripresa dell’edilizia popolare e per ridare dignità al diritto alla casa; in sostanza, quando si creano le condizioni obiettive per fare muovere le cose a beneficio degli strati sociali che vogliamo rappresentare. E’ necessario fare vivere le nostre posizioni e le nostre proposte in un dialogo di massa che dobbiamo saper praticare. Solo così riconquistiamo la capacità di “fare politica”, di riconnetterci, anche sentimentalmente, con il nostro popolo e di essere da esso riconosciuti, rovesciando la tendenza dei proletari di questo paese a distribuire il proprio consenso fra la destra e la cosiddetta sinistra moderata.
Tornare a “sporcarsi le mani” non vuol dire inquinarle, imbastardirle in giochi opportunistici, ma rendere percepibile e reale la nostra utilità, perché con l’estremismo parolaio, come ci hanno insegnato i nostri “classici”, non si porta a casa la cena. Insomma, dobbiamo ritornare a fare politica. In Europa i nostri fratelli comunisti e le nostre sorelle comuniste questo si aspettano dalla nostra storia e dal nostro impegno.
*Candidata nella lista PTD alle elezioni europee, Componente dell’Esecutivo della Sinistra europea e della segreteria nazionale del partito.