Rilanciare Rifondazione Comunista: per un’alternativa radicale al bipolarismo
Chiara Marzocchi*
Il documento 2 nasce dalla necessità di restituire al Partito della Rifondazione Comunista una linea politica conseguente alla sua ragione fondativa, che nasce all’interno della lotta tra le classi per come concretamente si sviluppa nel 2024, nel pieno di una seconda rivoluzione digitale che sta rimodellando in profondità il senso comune e le forme concrete del modo di produzione capitalistico..
Lo scopo primario di un partito comunista non può limitarsi all’ elettoralismo sterile e spesso opportunistico o alla gestione dell’esistente, ma deve darsi una prospettiva di lungo periodo in cui creare le condizioni per la rottura del dominio del capitale e del patriarcato.
Questo è a maggior ragione vero oggi, in cui tale oppressione si produce insidiosamente sul piano dell’egemonia culturale e della definizione delle categorie stesse di lettura della realtà, e in cui i processi di concentrazione del capitale producono sfruttamento nelle sue forme più violente.
Riteniamo per questo che sia necessario rafforzare e rilanciare il PRC e costruire la sua funzionale presenza nel sindacato e nei conflitti, nei movimenti per il diritto all’abitare, alla scuola ed alla sanità pubblica, al salario e al reddito, contro le politiche predatorie che vede unificati csx e cdx nel partito unico degli affari.
Riteniamo quindi necessario, quale atto preliminare, che il PRC operi un salto di qualità nella linea, corretta, dell’alternativa di sistema, collocandosi strategicamente a livello centrale quanto a livello territoriale, in uno spazio politico antiliberista e di alternativa al centro-sinistra.
In particolare riteniamo che il blocco di potere che oggi ha la propria espressione politica nel centrosinistra liberale, rappresenti direttamente il vertice di comando finanziario che fa da collante economico all’asse euro-atlantico.
No alla NATO e alle politiche di guerra
Una delle proposte più radicali avanzate dal documento 2 è il rifiuto netto delle politiche a guida NATO. Denunciamo la subordinazione dell’Europa agli interessi statunitensi, un assetto che viene ritenuto responsabile della partecipazione dell’Italia a conflitti militari e della rinuncia a una politica estera autonoma, e proponiamo l’adesione dell’Italia ai BRICS, considerati una forza emergente verso la costruzione di un ordine mondiale multipolare, fuori dalla tirannia del dollaro.
L’adesione ai BRICS rappresenterebbe un passo verso la sovranità europea e l’allontanamento dall’influenza atlantista, favorendo una politica internazionale basata sulla cooperazione e il rispetto della sovranità dei popoli. La promozione di una politica estera indipendente diventa quindi uno strumento per fermare le guerre in corso e impedire future escalation militari, contribuendo a un quadro geopolitico che non risponda unicamente agli interessi economici e strategici degli Stati Uniti. In questo contesto, l’opposizione alla NATO, alle politiche di guerra, alla governance che sta dentro questo paradigma, diventa un punto fondamentale
Un fronte antiliberista, un partito radicato nel sociale
A partire da tale considerazione di fondo, riteniamo complementari tra di loro la necessità di costruire un ampio fronte antiliberista a partire da un partito solido e immerso nel conflitto di classe.
Occorre rendere il partito avanguardia e motore dell’aggregazione delle forze politiche presenti nel campo anticapitalista e antiliberista, in netta opposizione al centro sinistra.
Riteniamo che alcune prassi deleterie che hanno caratterizzato la gestione del nostro partito finora, che lo hanno indebolito e portato sull’orlo di introiettare lo schema anticomunista da “sinistra elettoralista”, che se non fermate in tempo porteranno inevitabilmente nel giro di pochi anni al riemergere di tesi liquidazioniste, delle categorie politiche marxiste prima e della simbologia comunista in seguito, come già avvenuto almeno due volte nel nostro paese, prima con la Bolognina e la nascita del PDS nel 1991, poi con il vendolismo collegato al disastro dell’Arcobaleno nel 2008.
Occorre regolare la gestione democratica, collettiva e dal basso nel partito. Le decisioni unilaterali, calate dall’alto, non dovranno determinare il nostro percorso politico, a maggior ragione se, come avvenuto in questi anni, tale torsione verticistica è servita a deragliare forzosamente il partito sul piano dell’opportunismo elettoralistico.
Un congresso tradito
In questi anni in sostanza non è stato perseguito l’obiettivo fondamentale definito nello scorso congresso, relativo alla riaggregazione politica e sociale della sinistra di classe, ne si è investito in termini di radicamento sociale, di conflitto, di presenza organizzata del partito nel sindacato e nei movimenti, perseguendo al contrario obiettivi di breve termine in funzione dei risultati elettorali, comunque insignificanti.
In particolare il segretario uscente e il gruppo a lui più vicino hanno cercato di spostare con continuità l’asse del partito verso destra, cercando alleanze nell’ambito del centro sinistra, boicottando di fatto il percorso di Unione Popolare, che per le sue caratteristiche ancorava il PRC in uno spazio alternativo alla sinistra moderata a guida PD.
Non siamo soddisfatti di un partito sempre piu’ povero di militanti, anagraficamente vecchio e poco appetibile per le giovani generazioni, con organismi sovradimensionati, poco radicato nella classe che dovremmo rappresentare, a volte incoerente su aspetti decisivi della linea politica. Siamo molto critici verso il mancato rinnovamento (anche generazionale) del gruppo dirigente, deciso e concordato al termine dello scorso congresso, un rinnovamento ostacolato e continuamente rinviato dai settori più moderati del partito, che lo hanno presentato strumentalmente come un “regolamento di conti”, come “una guerra per bande”, mentre in realtà trattasi di uno scontro sulla linea politica, sulla sua concreta applicazione e sulle prospettive del partito.
La stessa impegnativa scelta di fondo della alternatività ai poli politici esistenti è stata più volte contraddetta da decisioni locali non coerenti, nelle quali riemerge una forte ambiguità nei rapporti col centrosinistra. Un atteggiamento ambiguo ancor più evidente dopo la fine del “governo di unità nazionale” di Draghi, la vittoria delle destre nel settembre 2022 e l’elezione di Elly Schlein a segretaria del PD. Non e’ un caso se il progetto di riaggregazione popolare rappresentato da UP, presentato come strategico alla soglia delle elezioni politiche del 22, sia stato derubricato in favore della lista cosiddetta di scopo a guida Santoro, che al di la’ del insuccesso elettorale, ha disorientato il corpo del partito e ci ha messi nell’isolamento, non essendo piu’ identificati come interlocutori affidabili dai soggetti alla nostra sinistra, mentre le energie profuse nella lista PTD non ci hanno restituito nulla in termini di riconoscimento politico.
Costruire l’alternativa al bipolarismo
La collocazione strategica alternativa ai poli politici esistenti (destre e PD-centrosinistra, che – pur diversi tra loro – sono comunque interni alle logiche del capitalismo e dell’atlantismo) rappresenta una condizione essenziale per dare credibilità al nostro progetto politico insieme alla centralità del radicamento sociale. A questo devono essere finalizzate tutte le nostre energie e proposte: Il programma, l’inchiesta, la comunicazione, la formazione, l’autofinanziamento, la verifica degli strumenti organizzativi. L’aumento del consenso elettorale alle destre (oggi protagoniste di un inasprimento securitario, di misure contro l’immigrazione, di negazionismo neofascista, ma soprattutto di politiche ultraliberiste in assoluta continuità con quelle del centrosinistra e del governo Draghi) e soprattutto il forte aumento dell’astensionismo che riflette sfiducia ed un preoccupante arretramento dei livelli di coscienza, non sono fatti casuali, ma frutto delle politiche liberiste portate avanti dal centrosinistra da oltre 30 anni attraverso molteplici attacchi ai diritti e agli elementi di coesione sociale, precarietà, frammentazione, privatizzazioni, taglio della spesa sociale, grandi opere e sfruttamento del territorio, atlantismo e politiche di guerra.
Da qui la nostra assoluta indisponibilità a costruire generici quanto inefficaci “fronti antifascisti”: la necessità di costruire senza ambiguità una alternativa sociale e politica, tanto a livello centrale quanto nei territori, deriva proprio dalla consapevolezza che il PD-centrosinistra è parte del problema e non della soluzione. La segreteria Schlein non cambia la sostanza di questa collocazione, ma risponde piuttosto ad una esigenza di marketing, dopo gli insuccessi degli ultimi anni conseguenti a politiche antipopolari.
Il punto fondamentale è e rimane il nodo delle politiche di guerra, sia relativamente all’invio delle armi che per quanto riguarda le spese militari. A questo riguardo il PD della Schlein non solo non ha fatto alcun passo in avanti ma ha sposato integralmente la linea oltranzista della NATO e di Draghi.
In conclusione
Per costruire un’ampia coalizione popolare serve un PRC disponibile al confronto con le altre forze, ma anche robusto, autonomo e ben organizzato, in grado di promuovere ed essere riferimento nelle lotte. Un PRC che funzioni per temi e radicamento nei territori, presente in forma organizzata nel sindacato, nei luoghi di lavoro, nelle organizzazioni di massa, nei movimenti, sulla base di precisi orientamenti.
*Femminista ambientalista, della Direzione Nazionale e segretaria del Circolo PRC del quartiere Barriera di Milano a Torino.