Ue, Usa ed Ucraina: il re è nudo

Marco Consolo*

Il quadro della politica internazionale corre a velocità inaudite, e su una china decisamente pericolosa. Difficile fare previsioni per un lungo orizzonte temporale. In questa vertiginosa transizione, al comando dell’impero statunitense in decadenza vi sono poteri forti ed oligarchie tecnocratiche (in particolare del settore delle comunicazioni) con un progetto autoritario di vere e proprie “democrature”, anche grazie all’uso sempre più massiccio dell’Intelligenza Artificiale (IA).

Di certo, di fronte ai colloqui diretti tra Putin e Trump e l’iniziativa “di pace” di quest’ultimo sulla guerra in Ucraina, nei giorni successivi l’Unione Europea è rimasta spiazzata, divisa al suo interno, incapace di elaborare una propria politica estera, autonoma dalle scelte della NATO a trazione Usa. 

Pochi giorni dopo, lo scontro in diretta televisiva mondiale tra Trump e Zelensky ha chiarito gli schieramenti e, soprattutto, i rapporti di forza, spazzando via di colpo e violentemente la politica del “soft-power made in Usa”.  

Si squarcia così la carta stagnola che la abbelliva, grazie ai pennivendoli ed ai giullari dell’Infotainment, che per decenni hanno coperto la destabilizzazione ed il saccheggio di interi Paesi. Persino diversi giornalisti della ingessata BBC erano nel libro paga dell’Usaid (a quando la lista di quelli italiani?). Come pugili suonati, i mercenari dell’informazione main-stream balbettano la loro narrazione (oggi non più egemonica) sui motivi della guerra in Ucraina. Una montagna di falsità, con cui hanno ingannato milioni di cittadini europei, mentre gli Stati Uniti cospiravano per rovesciare l’ex Presidente Viktor Yanukovich, eletto nel 2010 con una proposta di neutralità.

Per chi ha la memoria corta, è bene ricordare la famosa telefonata intercettata tra l’ambasciatore statunitense in Ucraina, Geoffrey Pyatt e Victoria Nuland, neo ambasciatrice di Washington all’Ue, con la sua famosa frase “Che si fotta la UE !” . 

Nella falsa narrazione della ipno-crazia mainstream, scompare anche la decisione di espandere la NATO fino all’Ucraina presa nel 1994, quando il presidente Clinton ha firmato l’allargamento della NATO a est, come politica di Stato, indipendentemente dal governo di turno. 

Scompare, altresì, il tradimento occidentale degli accordi di Minsk e si aggira nuovamente lo spettro dei cavalli cosacchi abbeverandosi a San Pietro. Più di recente, scompare la volontà di frantumare la Federazione russa dichiarata apertamente da Kaja Kallas, la nuova ir-Responsabile esteri e della “sicurezza” (?) della “maggioranza Ursula”. Un regime-change in salsa di Bruxelles.

Mario Draghi, degno rappresentante della Trilateral Commission e dei poteri forti, ha proposto da tempo un programma turbo-liberista di “austerità” lacrime e sangue (whatever it takes…), insieme ad investimenti nel complesso militare-industriale europeo. Attraverso le sue parole chiare, la razza-padrona sferza i governi europei, colpevoli di poca capacità operativa non più tollerabile da lorsignori.  

Macro-leon (al secolo il Presidente francese) rispolvera quel che rimane della grandeur di Parigi, ammaccata dall’espulsione delle truppe (e non solo) da qualche sua colonia africana. Si erge a difensore dei valori occidentali: “la Russia è diventata una minaccia per la Francia e per l’Europa. Chi può credere che si fermerà in Ucraina”? Propaganda infantile su Putin che vuole ricostruire l’impero russo, con cui l’unica potenza nucleare europea (neo-alleata di Londra) minaccia l’invio di truppe per fermare i missili cosacchi che si apprestano a distruggere la Torre Eiffel.

Sullo sfondo, in cerca di uno sbiadito protagonismo, gli apprendisti stregoni dei NO-PAX indossano l’elmetto e gettano la maschera ipocrita della “democrazia”, della “libertà”, della “difesa dei diritti umani” e, sulla pelle del popolo ucraino e di quello russo, blaterano di “pace giusta” da conquistare con la guerra. In prima fila, ci sono la burocrazia e la tecnocrazia europea (Frau Von der Bomben in testa) ed in Italia, il centro-sinistra e settori del centro-destra, “intellettuali” di infima categoria, “esperti” e commentatori televisivi di quarta scelta.

Ma il Re è nudo: la rozza violenza verbale del presidente statunitense ha spiazzato i suoi vassalli europei che, inebetiti dalla cruda verità della sconfitta ucraina, spiattellata in mondo-visione dal mercante Trump in cerca di terre, alimentano il delirio bellicista e la continuazione della guerra fino all’ultimo ucraino. Oltre a sostenere Kiev, le élite europee continuano a voler colpire la Russia e a darsi la zappa sui piedi. I ministri degli esteri della decrepita UE hanno annunciato il sedicesimo pacchetto di nuove “sanzioni” (più correttamente misure coercitive unilaterali) contro le petroliere usate da Mosca per aggirare le restrizioni imposte sulle esportazioni di petrolio russo, e vietando l’importazione di alluminio nell’UE .

Finché c’è guerra c’è speranza per le élite europee e gli spacciatori degli strumenti di morte, per il momento “made in Usa” e, già da ora e prossimamente, sugli schermi del “Made in UE”. L’Unione Europea cerca di esorcizzare la sua disgregazione con una politica sempre più guerrafondaia, dando una mano al complesso militare-industriale statunitense e cercando di rafforzare il proprio al di fuori dei vincoli di bilancio . 

Ri-armiamoci e partite. L’ultimo atto è la decisione di utilizzare la mostruosa cifra di 800 miliardi di euro con il programma Re-Arm, infischiandone delle sue stesse regole sui vincoli di spesa e impedendo al Parlamento europeo di discuterne. Le regole dell’austerità valgono per le spese sociali, ma non per l’armamentario bellicista, neo-volano dello “sviluppo autocentrato”. Nel frattempo, le spese militari globali hanno raggiunto la folle cifra di 2.300 miliardi di dollari l’anno. La tendenza alla guerra per far fronte alla crisi del capitalismo è squadernata davanti ai nostri occhi.

Assassini e mostri 

L’assassino dell’Europa non è il maggiordomo, ma le classi dirigenti che l’hanno governata e spinta al suicidio. Va in pezzi quel che rimane del sogno europeo di pace che aveva fatto capolino dopo la caduta del muro di Berlino, e ai popoli europei viene presentato il conto da pagare per le spese militari. In tutti i Paesi, chi più chi meno, le società sono private delle loro conquiste sociali ottenute grazie alle lotte di massa del dopoguerra. Il welfare è un ricordo del passato, la povertà è in drammatica crescita, sanità e istruzione pubblica sono al lumicino e, nella disperazione della solitudine, in gran parte dell’Unione Europea cresce il fascismo.  L’ennesima conferma è il risultato delle recenti elezioni tedesche, con la forte avanzata dell’estrema destra. Un risultato che ci ricorda che, nel chiaroscuro della transizione, i mostri di cui parlava Gramsci si preparano a governare Paesi chiave, come già avviene in Italia. C’è poco da invocare il fronte antifascista da parte del centro-sinistra (la ex-socialdemocrazia), visto che le politiche neoliberiste, belliciste e securitarie, da loro condotte da troppi anni, non solo non chiudono la strada al fascismo, ma al contrario lo favoriscono. E come sempre, tra originale e fotocopia, il cittadino-elettore preferisce l’originale.

Permeata da un delirio di onnipotenza totalmente fuori tempo massimo, l’Europa stende un velo di silenzio sull’infamia del colonialismo in Africa, America Latina e Asia che ne ha garantito il benessere sulla pelle degli altri. Vuol far dimenticare di essere stata la tragica protagonista del fascismo e del nazismo, nonché di due guerre mondiali, l’ultima con circa 60 milioni di morti ed interi Paesi ridotti in rovina.  Ed oggi, è complice attiva nell’appoggio allo Stato terrorista di Israele nel genocidio del popolo palestinese.

Ma non basta. Alla guida dell’Europa-Titanic, le classi dirigenti europee si aggrappano all’illusione di contare ancora qualcosa nell’esclusivo club dei ricchi, nei Centri del capitalismo mondiale. In quell’Occidente collettivo che fino a ieri ha fatto e disfatto nella politica e nell’economia internazionale, grazie alla supremazia militare ed al saccheggio delle immense risorse delle Periferie del pianeta. Quelle stesse periferie che oggi si ribellano contro lo strapotere di una “civiltà” che le ha impoverite e portate allo stremo.

A questo proposito, si approfondisce la battaglia dei BRICS+ per affermare un mondo multipolare. Un fatto positivo, che apre una possibilità di azione politica per tutti i movimenti anticapitalisti. Non si tratta certo del socialismo, ma di un cambio tettonico negli equilibri di potere mondiali che riguarda il 30% della superficie terrestre ed il 45% della popolazione mondiale. In sintonia con questo movimento, certo eterogeneo e contraddittorio, occorre costruire ponti tra la situazione italiana e quella mondiale, saldando la lotta per la pace alla lotta per un mondo multipolare cooperativo. 

La politica estera di Washington 

Dall’implosione dell’Unione Sovietica nel 1991 con lo scioglimento del Patto di Varsavia, gli Stati Uniti hanno voluto gestire il mondo in maniera uni-laterale, infischiandosene delle altrui opinioni, delle “linee rosse”, del quadro normativo delle Nazioni Unite. Hanno sabotato scientemente i timidi tentativi di una politica di sicurezza comune europea, che avrebbe dovuto includere la Russia. Washington ha riesumato la vecchia teoria del “destino manifesto”, ovvero il convincimento che gli Stati Uniti siano destinati dalla divina provvidenza a guidare il mondo. O meglio, che il mondo fosse degli Stati Uniti e che si trattava di frantumare e mettere in ginocchio l’ex Unione Sovietica ed eliminare i suoi alleati più prossimi, come Iraq e Siria.

Per Washington, l’unipolarità implicava l’ingrandimento della NATO, passo dopo passo e il concetto di “neutralità” è diventata sinonimo di finzione, di bluff malintenzionato. Nella sostanza, qualsiasi Paese che non accetta una sua base militare si trasforma automaticamente in un nemico. “O con noi, o contro di noi”, come ebbe a dire George Bush Junior, all’indomani dell’11 settembre 2001.

È sempre bene ricordare che, nel febbraio 1991, il Segretario di Stato James Baker e il ministro degli esteri tedesco, Hans-Dietrich Genscher, avevano promesso a Mikhail Gorbachev che la NATO non sarebbe avanzata “neanche di un centimetro” verso est, approfittando dello scioglimento del Patto di Varsavia . Sappiamo come è andata a finire, con la completa violazione dell’ordine mondiale concordato con la riunificazione tedesca. A nulla sono valse le proteste inascoltate di Mosca. Come ricordava il Che,  “dell’imperialismo non ci si può fidare neanche un po’”, men che meno con i suoi sistemi missilistici a pochi minuti di volo da Mosca..

Già nel 1997, Zbigniew Brzezinski nel suo libro “La Grande scacchiera” spiegava al mondo la strategia di Washington, ovvero allargare simultaneamente sia l’Unione Europea, che la NATO verso est. Secondo Brzezinski, la Russia non poteva che aderire a questa doppia espansione parallela, vista la sua “vocazione europea” e non si sarebbe mai alleata né con l’Iran, né tantomeno con la Cina. Una previsione totalmente sbagliata, di cui i popoli europei stanno ancora oggi pagando le drammatiche conseguenze. 

Oggi, sulla vicenda ucraina, la Cina di Xi Jinping, che ha rafforzato i legami con la Russia di Putin e che, un anno dopo lo scoppio della guerra, ha elaborato una proposta di soluzione politica del conflitto, rivendica di non essere lasciata ai margini di eventuali trattative.

Da parte sua, da almeno 30 anni, l’Europa ha subito i diktat statunitensi, pagando a caro prezzo la mancanza di una propria politica estera, indipendente ed autonoma. Lungi dal difendere i propri interessi, alla UE è rimasta solo la lealtà supina alla potenza statunitense ed alle politiche della NATO. Ne è un esempio lampante l’Italia, in un crescendo di servitù e spese militari, per poter partecipare alla spartizione del bottino. “Patriottismo” e “sovranismo” d’accatto sono solo slogan degli spin-doctors de noantri.

Negli ultimi decenni, l’Europa è stata teatro di guerre causate, volute e foraggiate dagli Stati Uniti, a partire dalla guerra nella ex-Jugoslavia nel 1999, per finire con la crisi ucraina. La decisione di smembrare la ex-Jugoslavia faceva parte di questo progetto, condiviso dal governo D’Alema. La vicenda del Kosovo insegna che i confini sono sacrosanti, tranne quando gli Stati Uniti li cambiano. Ma lo stesso vale per le guerre in Medio Oriente (Iraq e Siria), o quelle in Africa (Somalia, Sudan, Libia) con conseguenze dirette e indirette per il nostro continente.

L’ultima volta in cui sono emersi disaccordi, ed il tentativo di una politica autonoma, è stato nel 2003 per la guerra in Iraq, con l’opposizione di Francia e Germania alla volontà bellica della Casabianca e alla sfacciata manipolazione del Consiglio di Sicurezza ONU con lo show di Colin Powell.Di recente, gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo sul clima di Parigi, dall’OMS, hanno tagliato i fondi per la cooperazione internazionale a molte agenzie dell’ONU e minacciano di uscirne. Da parte sua, se l’Unione Europea continua ad essere guerrafondaia, si continuerà a scavarsi la fossa da sola, come sta avvenendo sotto i nostri occhi. L’Unione Europea ha senso solo se si costruisce come soggetto di pace. L’Italia deve dire basta alle “sanzioni”, uscire dalla NATO, tagliare drasticamente le spese militari, riconvertire le fabbriche d’armi e rafforzare le spese sociali. Oggi, più che mai, è attuale il monito del compianto Sandro Pertini: “Svuotare gli arsenali, riempire i granai”.


*Analista internazionale, Area Esteri e Pace del Prc-Se

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