Un ricordo non pacificabile

Nicoletta Dosio*

Quando, quel 21 luglio di vent’anni fa, varcammo l’uscita del casello Genova-Nervi, ci trovammo di fronte una città occupata militarmente. Le immagini proiettate dai telegiornali, le notizie delle “zone rosse” decretate a proteggere l’impunità dei potenti della Terra contro le istanze dei popoli e dei territori, si materializzavano davanti ai nostri occhi nelle macchine da guerra e nei drappelli di armati appostati come un minaccioso nuvolone lungo le strade e agli angoli delle piazze.

Il movimento NO TAV era allora agli albori. Avevamo deciso di scendere a Genova perché riguardava anche noi quell’assetto del mondo che aveva decretato per la nostra Valle il destino di invivibile e devastante corridoio di traffico,funzionale al mercato e alla globalizzazione.

Eravamo diverse centinaia, un numero che era andato crescendo il giorno prima, sull’onda di un’istintiva solidarietà, quando era giunta la notizia di un ragazzo ammazzato dalle “forze dell’ordine” in una piazza che, da allora e per sempre, divenne per noi e per tutti “piazza Carlo Giuliani”.

Entrammo con le nostre bandiere NO TAV nuove di zecca nella fiumana multicolore di una manifestazione immensa, che aveva l’immediatezza della spontaneità, in cammino verso il mare, sotto il solleone di un mezzogiorno non mitigato neppure dai getti d’acqua dispensati dalle finestre di una Genova solidale.

Poi tutto precipitò. Proprio davanti al nostro spezzone si infilarono le truppe in assetto antisommossa a troncare il corteo. Cominciò la caccia all’uomo per i caruggi e sul lungomare, sulla spiaggia, fin sugli scogli. Noi rimanemmo compatti, insieme trovammo una via d’uscita, sotto il volo radente dell’elicottero, in mezzo alla nuvola velenosa di quei lacrimogeni al CS che allora sperimentammo per la prima volta, ma che sarebbero diventati strumento costante del nemico contro la nostra resistenza in Valle. A tarda notte, tornati a casa, apprendemmo della mattanza alla scuola Diaz, e poi di Bolzaneto. Dei giorni successivi ricordo una manifestazione davanti al carcere di Alessandria, una delle prigioni dove erano stati rinchiusi non i manganellatori, ma i manganellati. Allora fummo in pochi a portare una solidarietà che partiva dal rifiuto di dividere tra “manifestanti buoni e manifestanti cattivi”, “violenti e non violenti”, il teorema delle questure di sempre che, nelle giornate di Genova e non solo, aveva minato la compattezza della lotta e dato campo libero alla repressione.

Resistere per esistere

Da allora sono passati vent’anni. Abbiamo conosciuto Haidi e la famiglia di Carlo; quel suo volto di ragazzo compare insieme alle altre figure di riferimento nei murali che, sui luoghi della lotta, raccontano la storia del Movimento NO TAV.

Una storia popolare, la nostra, fatta di tante storie, anche molto diverse tra loro, ma che hanno saputo unirsi non solo formalmente, farsi conflitto collettivo e, in questo, imparare a conoscersi, a vivere insieme, a contrastare la narrazione tossica e criminalizzante dei mass media di regime, a rifiutare l’idea delle compensazioni, dei tavoli tecnici, della mediabilità rispetto alle devastazioni.

Su tali presupposti è nata la resistenza che tanto preoccupò e continua a preoccupare il partito trasversale degli affari, quel sistema che ci fu ostile da sempre e che, via via, con la strategia del “voto utile”, riuscì a neutralizzare anche chi, nel contesto istituzionale, si era presentato come oppositore e fu usato e gettato.

Genova per noi

Da quel luglio sul quale anche noi avevamo investito l’impegno per una ricomposizione antagonista contro l’assetto capitalista e imperiale del mondo, abbiamo imparato qualcosa.

Che le compagne e i compagni costretti ad anni di carcere con l’accusa di devastazione e saccheggio, molti di loro abbandonati e condannati all’oblio dei movimenti, erano parte della lotta comune, e quell’oblio è stato il vero segno della sconfitta comune

Che, con le giornate di Genova, è tramontata per sempre l’illusione di una “polizia democratica”, defascistizzata, e di tribunali al servizio di una giustizia che non sia la legge del più ingiusto, ma miri a tutelare il popolo, al quale, secondo una Costituzione evidentemente tradita, dovrebbe appartenere la sovranità.

Per questo non ci hanno trovati impreparati la repressione contro il movimento NO TAV, l’applicazione del diritto penale del nemico, le denunce a migliaia, la detenzione, le misure preventive fatte di restrizioni fisiche e di esorbitanti pene pecuniarie.

Che, rispetto allo stato di cose presente, non si può se non confliggere, senza deleghe, scardinando la separatezza tra legalità e legittimità e sottraendo alla irrilevanza i “rappresentanti del popolo” condannati al ruolo di granelli di sab- bia immancabilmente triturati dal sistema: l’illusione riformistica è definitivamente finita.

“Mi sun Black Bloc”

La libera repubblica della Maddalena non fu “sacra rappresentazione” del conflitto, ma conflitto concreto, aperto e popolare contro l’occupazione militare del territorio, e visse abbastanza per farci capire che è davvero possibile un mondo diverso, nel quale da ognuno si riceva secondo le sue possibilità e a ognuno sia dato secondo i suoi bisogni.

E contro gli anni di carcere che i tribunali inflissero ai resistenti NO TAV, giudicando come devastazione e saccheggio il taglio delle reti del cantiere o l’incendio di un compressore, il movimento NO TAV rivendicò il diritto al sabotaggio.

In quel clima (e dal ricordo della caccia alle streghe che funestò le giornate di Genova) nacque la maglietta con la scritta “Mi sun Black Bloc” (io sono Black Bloc), e fu indossata da donne e uomini di tutte le età e di tutte le storie. Per l’esigenza di un sostegno pratico alle compagne e ai compagni colpiti dalla repressione furono realizzati la “cassa di resistenza NO TAV” e il supporto legale gratuito.

Si parte e si torna insieme

Da quel tempo che sembra così lontano il Mo- vimento NO TAV è andato crescendo ben oltre i confini della Valle di Susa e ben al di là dell’op- posizione a un treno; e ha coinvolto generazioni, luoghi, storie, esistenze diverse.

Forse perché nessuno di noi aveva la presunzio- ne di verità assolute e interessi che non fossero la difesa solidale della vita, del diritto all’ugua- glianza e alla dignità per tutti, esseri umani e natura.

E perché l’istanza della liberazione non l’abbiamo mai delegata a leader o a “eroi”, ma è stata interpretata da subito come compito collettivo, realizzabile solo mediante l’apporto di ognuno, con la moltiplicazione e la ricomposizione delle lotte e delle esperienze.

“Si parte e si torna insieme” non è solo un bellissimo slogan, ma imperativo e pratica di vita: contro solitudini ed esclusioni, la resistenza comune all’ingiustizia ha saputo ricreare collettività, consapevolezza, affetti, anche là dove non sembrava esserci che il deserto.

Il “mondo diverso possibile”, più equo e più vivibile per tutti, noi vogliamo sia questo, non quello che verrà… Ed è in tal senso che continuiamo a lottare.


* Nicoletta Dosio, attivista e volto storico del Movimento No Tav, impegnata nelle problematiche dell’ambiente, dell’istruzione e non solo.


Foto in apertura di Revol Web da www.flickr.com

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