A differenza del patriarcato
Loredana Fraleone
Affrontare il tema del patriarcato è un po’ mettere le mani in una specie di vespaio, non solo perché si tratta di un tema complesso, ma perché nella sua “evoluzione” si è manifestato in forme diverse e con varie implicazioni, diversamente riconosciute e interpretate.
La sua complessità è ricca di elementi divisivi, che se affrontati in modo dialettico però, possono solo che arricchire pensieri comunque divergenti e positivamente conflittuali rispetto all’esistente.
Molti problemi sono aperti, storici/storiche ed antropologhe/antropologi si fronteggiano sulle caratteristiche del patriarcato e la sua esistenza da quando sono nate le comunità umane. Da parte di alcun@ si avanza ancora l’idea che il patriarcato nasca da una condizione strutturale dovuta al ruolo riproduttivo delle donne e alla loro presunta incapacità di affrontare funzioni più adatte al fisico maschile, insieme a una fragilità emotiva, causa di instabilità comportamentale. Mai detto esplicitamente, ma con allusioni a una realtà esistente “da sempre”, che porta a quelle conclusioni. Non credo però che sia necessario stabilire che siano esistite comunità primitive matrilinee o connotate da un vero e proprio matriarcato, per mettere in discussione convinzioni che non tengono conto delle mutazioni avvenute e che avverranno nel corso del tempo, dando un valore assoluto e definitivo alla condizione delle donne. Molto lentamente, troppo, ma con una certa costanza, grazie alla valorizzazione della differenza stanno avanzando punti di vista diversi.
Semi diffusi da Marx ed Engels e lo sviluppo dei femminismi
Trovo che vi sia una certa mancanza di generosità nella critica che è venuta e viene avanzata da ambienti femministi nei confronti del pensiero di Karl Marx, considerato estraneo e quasi insensibile alla condizione delle donne, non solo perché in molti suoi scritti ha posto il problema della parità dei sessi e della liberazione degli esseri umani in quanto tali, ma anche perché misura la società sulla condizione femminile: “Il grado di emancipazione della donna è la misura naturale dell’emancipazione generale” (La Sacra Famiglia, 1844). Un’affermazione assolutamente originale per i tempi. Certo Marx non ha prodotto approfondimenti adeguati alla complessità del tema, così come sulle questioni ambientali, ma non ha mai preteso di produrre testi sacri esaustivi.
Engels ha ricostruito, (Origine della famiglia della proprietà privata dello stato, 1884) fin dalle origini la condizione delle donne e del patriarcato, anche sulla base di scambi avuti con Marx e su suoi appunti, dal momento che era scomparso un anno prima. La figlia del “Moro” Eleonor si fece partecipe di queste prime piste di ricerca, collaborando con Engels nell’utilizzo degli appunti del padre sul tema e partecipando attivamente ai movimenti per i diritti delle donne, che si andavano sviluppando in Gran Bretagna specialmente in relazione al voto.
Tante militanti e dirigenti del movimento operaio e socialista approfondirono queste prime riflessioni. Tra queste spicca il pensiero di Rosa Luxemburg, che insieme all’amica e compagna Clara Zetkin introdusse il concetto di sfruttamento delle donne anche nel lavoro di cura, divenuto uno dei temi più indagati anche dai movimenti femministi non marxisti e centrale ancora oggi nel dibattito al loro interno. Si pensi quanto è attuale la riflessione della Luxemburg sul fatto che il sistema capitalista ha bisogno di sfruttamento, discriminazione, subalternità per la sua sopravvivenza, questioni che riguardano le disparità di genere, di razza, di condizione sociale.
Dal canto suo la Zetkin, nell’ottavo congresso dell’Internazionale socialista (1910), propose di istituire una giornata dedicata alle donne, riprendendo l’idea lanciata dal Partito Socialista americano un anno prima. Fu proprio durante la Seconda conferenza delle donne comuniste a Mosca nel 1921 che si decise di istituire l’8 marzo come Giornata Internazionale dell’Operaia.
Da lì, nel movimento operaio e socialista, dirigenti di primo piano hanno posto, non senza grandi e gravi difficoltà, il tema dell’emancipazione e liberazione della donna, formando primi nuclei organizzativi dedicati.
Il lavoro delle donne
Se il problema dell’emancipazione femminile è stato semplificato soprattutto con l’accesso al sistema produttivo, il tema della liberazione che incrocia anche quella dei lavoratori maschi, ha giustamente assunto una specificità, stante il lavoro gratuito prestato nell’ambito familiare e non riconosciuto, non solo dal punto di vista retributivo, ma persino come lavoro in quanto tale.
Su questo è aperto un dibattito nei movimenti, tra coloro che vorrebbero un riconoscimento economico dell’attività domestica e di cura, e coloro che temono la cristallizzazione di una condizione da cui le donne dovrebbero invece liberarsi. Vi sono argomentazioni forti a proposito di tutte e due le posizioni, sia perché da una parte si mette in discussione il rapporto di potere esercitato attraverso il non riconoscimento del lavoro prestato, tendenza generale tra l’altro del capitalismo della fase attuale, sia perché, dall’altra, il lavoro codificato da una retribuzione all’interno della famiglia certifica e solidifica anche una condizione subordinata al suo interno.
Nel lavoro riconosciuto come tale, passi avanti sono stati fatti, grazie soprattutto al tasso di scolarizzazione che ha visto le ragazze superare i ragazzi nelle immatricolazioni alle università (nel 2019 con il 56% contro il 44% dei maschi), anche se prevalentemente nelle facoltà umanistiche piuttosto che in quelle tecnico-scientifiche e quindi con minori sbocchi lavorativi. Ragazze e donne più istruite, ma con meno occupazione e ancora discriminate orizzontalmente nell’accesso ad alcune professioni, nonché verticalmente nella carriera all’interno delle professioni stesse.
Secondo i dati Istat del 2023, nell’ambito dell’aumento complessivo dei posti di lavoro, quelli per gli uomini crescono di circa 18.000 a fronte dei circa 9.000 per le donne, cioè il doppio, e quelli per le donne sono prevalentemente precari, a tempo determinato nel migliore dei casi.
Donne in gabbia
La famiglia di oggi appare meno gerarchizzata di quella patriarcale tradizionale, in parte lo è, ma in realtà la condizione concreta di chi deve fare i salti mortali, oltre le varie incombenze familiari, per accompagnare i figli a scuola, alle attività sportive o altro, è segnata da una subordinazione di fatto persino nei confronti di bisogni non essenziali dei figli. Ancora oggi la famiglia appare una gabbia dalla quale è difficile evadere. Non sempre per rendere efficace la coercizione vengono utilizzati solo ricatti morali, affettivi, economici, ma come vediamo troppo spesso dalle cronache alcune “evase” vengono per questo uccise. Non è ammesso evadere dai propri “doveri” e neanche dal possesso spacciato per amore dal partner. Il diritto ampiamente riconosciuto al maschio di fruire di una certa libertà di relazione è ancora scandalo per le donne, tante “Carmen” vengono uccise da tanti “Don Josè” come venne rappresentato da Bizet nel lontano 1875, così come tante “Nora” subiscono pesanti ricatti morali da tanti “Torvald” nella rappresentazione di Casa di bambola di Ibsen, che non a caso fu messa in scena a Londra nel 1886 da Eleonor Marx, come mezzo di denuncia della condizione delle donne. Due produzioni culturali ancora molto intriganti proprio per il loro messaggio di drammatica attualità.
Tuttavia, grazie ai movimenti femministi, vi è oggi sui femminicidi, come su altre forme di violenza, una sensibilità diffusa, che tocca anche tanti uomini e il complesso dell’opinione pubblica. Fenomeni estremi che costituiscono la punta di un iceberg, formato da atti quotidiani più o meno percepiti.
In questo numero della rivista vi sono anche alcuni articoli di uomini “coraggiosi” che provano a misurarsi con il tema del patriarcato. Penso che i loro interventi siano un utile stimolo ad altri uomini per indagare su se stessi e discuterne con altri, non perché creda che questo sia sufficiente per demolire la disuguaglianza di genere, che solo attraverso il conflitto, a mio avviso, può essere efficacemente affrontata, ma perché allude a nuovi livelli di conflitto più raffinati e avanzati, forse più subdoli, utili comunque per sgomberare il campo da concezioni sempre più insostenibili.
I corpi e il loro uso, paradigmi della subordinazione
“Io sono mia” era lo slogan più gridato negli anni del femminismo militane, e in esso vi era tutta la consapevolezza dell’uso del corpo delle donne finalizzato alla mercificazione, che passasse attraverso la pubblicità o la prostituzione o relegato al ruolo di moglie e madre nel matrimonio, per svolgere il compito di semplice riproduttrice, all’interno del quale non fosse previsto il diritto di decidere della maternità o meno. Corpi usati, abusati, mortificati fin dall’infanzia dalla necessità di essere piacevoli, attraenti e soprattutto disponibili e subordinati
La centralità di quello slogan, che accompagnò la conquista del diritto all’interruzione di gravidanze indesiderate, conquistato con una legge attraverso innumerevoli manifestazioni, lotte e iniziative culturali, pose la questione di liberare quei corpi, aiutando così anche l’emersione dei movimenti LGBTQ, che su quella base rivendicavano una sessualità ed un uso del corpo privi di veti moralistici e religiosi.
La nascita dei consultori con le assemblee delle donne, che ne controllavano il funzionamento, ha rappresentato uno dei momenti più alti di partecipazione alla cosa pubblica e all’autodeterminazione individuale e collettiva. Un’esperienza di sviluppo della democrazia dal basso attraverso un organismo destinato alla socializzazione di condizioni e bisogni individuali e contrassegnato dall’obiettivo della prevenzione per la salute psicofisica in particolare delle donne, delle bambine e dei bambini.
La politica e le donne
Dopo un periodo di forte irruzione delle donne nella scena politica, che si è andata spegnendo contemporaneamente alle sconfitte del movimento operaio e la graduale cancellazione dei diritti universali, i movimenti femministi hanno assunto forme diverse, espresse da imponenti manifestazioni periodiche in occasione di attacchi alla legge 194/78, dopo sequele di femminicidi o altri eventi caratterizzati da attacchi alle conquiste realizzate in passato.
Una sorta di emersione da un mondo in cui poche meritorie aggregazioni organizzate, come “Non una di meno”, sono però in grado di mettere in atto mobilitazioni di massa, dalle femministe storiche a ragazze giovanissime, ma anche ragazzi sensibili ai temi posti nelle manifestazioni.
In un periodo di crisi della militanza nei partiti e persino nei sindacati, la presenza femminile nelle organizzazioni politiche si è ridotta al lumicino. Le quote rosa o le esperienze di doppia rappresentanza non frenano l’allontanamento delle donne dalla politica, forse la contengono, ma rappresentano più una risposta alla falsa coscienza di gruppi dirigenti maschili, quelli che contano davvero, che una risposta a un problema che richiederebbe una rivoluzione organizzativa e culturale adatta ai tempi delle donne e un sistema di relazioni privo di competitività, di protagonismo ossessivo, di carrierismo, dai quali non sono esenti a volte neanche donne che arrivano a ricoprire ruoli dirigenti nelle organizzazioni, assumendo atteggiamenti simili a quelli maschili.
L’esperienza curda è stata osservata con interesse, senza però i necessari approfondimenti che mettessero in grado di comprendere a pieno una realtà dalla quale imparare senza scimmiottare.
Una realtà nella quale un grande leader, Abdullah Ocalan, ha denunciato il legame tra patriarcato e forma statale capitalista: “…la donna è la nazione colonia della società storica, che ha raggiunto la posizione peggiore entro lo stato-nazione. Tutto il potere e le ideologie statuali derivano da atteggiamenti e comportamenti sessisti..” e ancora “Il capitalismo e lo stato-nazione denotano il maschio dominante più istituzionalizzato. Detto in modo più netto e aperto: il capitalismo e lo stato-nazione sono il monopolio dell’uomo dispotico e sfruttatore…” (Confederalismo democratico, Ed. Iniziativa Internazionale ,2013).
Parole con le quali sarebbe necessario confrontarsi, indagando più a fondo su come da queste idee innovative prendano le mosse le organizzazioni parallele di donne, anche in ambito militare. Le guerrigliere curde emozionano per la loro forza, determinazione ed eroismo, che dovrebbe spingerci almeno ad un attivismo adeguato alle sfide che abbiamo davanti.
La lunga e lenta rivoluzione delle donne potrebbe salvare il mondo.