Brevi appunti sulla condizione migrante dei/delle giovani docenti del sud verso le regioni del cento-nord Italia
Antimo Caro Esposito*
Docenti precari e migranti
Uno dei fenomeni che caratterizza la vita dei docenti e delle docenti in Italia (e non solo), è quello della precarietà. Si può erroneamente pensare che questa sia una caratteristica legata alle moderne forme del mercato del lavoro e più in generale alle regole dominanti dell’economia capitalista. Invece, a differenza di altri lavori che nel passato erano caratterizzati da contratti prevalentemente stabili, il reclutamento scolastico ha sempre previsto contratti precari. Maurizio Barbagli e Marcello Dei ne Le vestali della classe media: ricerca sociologica sugli insegnanti, già nel 1969 sottolineavano il carattere strutturale e non marginale, identificando quella categoria di docenti come “enormi masse fluttuanti di individui che prestano la loro opera secondo un rapporto contrattuale provvisorio e precario”. Se sull’evoluzione delle modalità di reclutamento e del precariato nel mondo della scuola abbiamo studi e ricerche strutturali che ci permettono di indagare il fenomeno, per quanto concerne il tema della mobilità del personale scolastico, docente e non, è stato poco studiato e tematizzato, nonostante il carattere storico dello stesso (Colucci, Gallo 2017).Si avverte per questo motivo l’esigenza di uno studio che metta in chiaro le vite personali e le dinamiche sociali delle aree interessate ed una proposta politica che tenga conto del fenomeno.
Docenti magri
Nel 2005 Gian Antonio Stella scrisse Il maestro magro, romanzo ambientato alla fine degli anni Cinquanta e incentrato sull’esperienza di Ariosto Aliquò, detto Osto, che parte dalla Sicilia e si trasferisce in Polesine per insegnare. Al tempo era possibile, per diplomati magistrali, reclutare gruppi di lavoratori analfabeti e costituire classi miste per insegnare a leggere, scrivere e contare, ricevendo un magro stipendio. Osto riuscirà infine a ottenere una cattedra di ruolo a Torino, una città spinta dalla crescita demografica dovuta al boom economico. Si trasferirà alle Casermette, i giganteschi condomini della periferia operaia, insieme a Ines, moglie di un disperso in guerra, che non esistendo il divorzio non può sposare. Ciò che resta di questa storia è il tema della magrezza di alcune categorie di docenti e del personale ATA. Un docente di ruolo riceve tredici mensilità di stipendio; quello precario è pagato tipicamente da settembre a giugno, mentre negli altri mesi è costretto a fare ricorso al sussidio di disoccupazione. Il docente di ruolo gode di scatti di anzianità e di contributi pensionistici ma soprattutto gode di una stabilità territoriale e di continuità che il docente precario non ha. A incidere spesso è la mancata puntualità del Ministero nell’accreditare lo stipendio. Ovviamente il personale scolastico di ruolo riceve lo stipendio con la puntualità che dovrebbe caratterizzare qualsiasi contratto di lavoro subordinato, ma la vicenda cambia quando si è precari. Infatti, quando si viene chiamati a sostituire un/una collega assente, indipendentemente dalla motivazione e dalla durata dell’assenza che può coprire anche l’intero anno scolastico, spesso si va incontro a tanti contratti brevi e in questo caso lo stipendio può slittare di mesi. Nello specifico, alla stipula del contratto si può slittare di un mese o due, e verso gli ultimi mesi di scuola sul portale NoiPA si rischia di leggere “Risorse in corso di assegnazione da parte del Miur”. Lo scorso anno personalmente ho letto questa dicitura per i miei stipendi di aprile, maggio e giugno che mi sono stati pagati tutti e tre il 26 agosto. Troppi mesi senza uno stipendio. Se ritardi così consistenti rappresentano un vero e proprio disagio, essi si configurano come una storia di assoluta indigenza per tutto il personale scolastico migrante che mantiene la propria residenza nel luogo di origine o studio. In questo contesto le difficoltà economiche rischiano di diventare moltiplicatrici di disagio innescando senso di frustrazione e solitudine. Ci si ritrova con scarse risorse economiche, lontani dalle reti sociali affettive costruite nel corso della propria vita, e lontani anche dalla famiglia, che in questi casi gioca un ruolo fondamentale di supporto economico pur non alleviando il disagio di chi vorrebbe una certa indipendenza. Inoltre va sottolineata la consistenza degli stipendi che non permette di poter risparmiare risorse da destinare in caso di emergenze. La tematica dei ritardi riguarda tanto il personale docente tanto il personale ATA: gli stipendi previsti per un contratto a termine a tempo pieno, per i primi, ha una media di 1500€ mensili, per i secondi si parla di 1100€ mensili. Se pensiamo al personale scolastico migrante dal Sud verso il Centro o Nord Italia, spesso parte del salario viene eroso per pagare piccole stanze; il ritardo anche di un mese può avere un impatto significativo sulla vita dei singoli e nelle relazioni sociali. Facendo il confronto con altre categorie professionali, i lavoratori appartenenti alle forze dell’ordine e forze armate usufruiscono di una serie di benefici tra cui disponibilità di alloggi, buoni pasto e sconti sui trasporti.
L’alienazione
La mobilità non riguarda esclusivamente il percorso migratorio interprovinciale o regionale, ma soprattutto tra istituti all’interno della stessa provincia. Nei primi anni di precariato si va incontro a continui cambi di scuole, spesso all’interno dello stesso anno. Questa riconduce al concetto di affrontato da K. Marx nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, ovvero l’alienazione rispetto al “prodotto” del proprio lavoro. Infatti i docenti precari sono condannati a vivere la separazione dei frutti del proprio lavoro, per due ordini di ragioni: da un lato, costretti con frequenza a cambiare scuola e/o città, e quindi sono impossibilitati a seguire le classi in modo continuativo e a osservare i risultati a lungo termine della loro azione educativa; dall’altro, assorbiti dai continui e confusi cambiamenti della normativa, si devono focalizzare sulla burocrazia più che sulla propria attività (Gremigni 2013). Questa condizione demotivante può effettivamente spingere il docente a non investire sulla propria attività a discapito dei processi di apprendimento degli studenti. Secondo uno studio di Banca d’Italia, il turnover di docenti ha una incidenza negativa sulla didattica di un gruppo classe.
Una migrazione forzata
In termini di sbocchi lavorativi, il Nord Italia offre ai propri residenti una maggiore e soprattutto più diversificata offerta occupazionale, con una retribuzione mediamente superiore rispetto a quelle proposte nel Sud, rendendo questa professione poco attrattiva per chi ha dinnanzi a sé un ventaglio di opportunità a cui può accedere senza grandi sforzi. Nel Sud la condizione è diversa, lo sviluppo economico ha relegato il Mezzogiorno come area economica depressa del paese con salari bassi, assenza piani di investimenti e alti indici di disoccupazione giovanile. Per tale motivo, a parità di condizioni, un ragazzo o una ragazza del Sud è disposto a migrare per accedere al mondo del lavoro, e la strada dell’insegnamento, nella speranza del raggiungimento del ruolo, rappresenta una valida alternativa, nonostante il duro percorso fatto di regole perverse che cambiano spesso a gioco in corso. Per quanto concerne la scuola e la possibilità di insegnare sul proprio territorio, nel Sud Italia le cattedre libere o messe a concorso sono tendenzialmente minori rispetto a quelle nel Centro-Nord Italia, nonostante non esista strutturalmente una situazione così diversa: al Sud ci sono meno cattedre nei concorsi o possibilità per gli aspiranti docenti non perché ci siano meno scuole, ma perché risulta maggiore la presenza di personale di ruolo; inoltre il rapporto alunni/docente ad oggi si presenta piuttosto omogeneo in tutta la penisola, anche se un monito va lanciato rispetto l’andamento demografico del paese. La popolazione scolastica del Sud si assottiglia, mentre quella del Nord aumenta anche grazie all’apporto delle migrazioni interne e dall’estero. Nell’anno scolastico 2021/22 il Ministero dell’Istruzione ha dichiarato che gli alunni con cittadinanza non italiana presenti nelle scuole in totale sono 888.880, dove quasi l’86% è distribuito nelle regione del Centro-Nord Italia. Di conseguenza nel medio-lungo periodo, se non si provvedesse a sostanziali cambiamenti, in questo ambito lavorativo al Sud si constateranno sempre meno possibilità.
Lo strano gioco dell’oca: fare punteggio per tornare dal via
Ricapitolando, un ragazzo o una ragazza residente nel Sud, a parità di condizioni, trova attrattivo insegnare rispetto alle opportunità che i propri territori offrono. Considerate le difficoltà economiche ma soprattutto sociali accennate precedentemente, la disponibilità a trasferirsi nelle regioni del Centro e Nord Italia è temporanea e coincide con l’entrata in ruolo o con il raggiungimento di titoli di servizio/anzianità tali da ottenere un punteggio consistente da poter spendere nel sud Italia. L’edizione milanese del “Corriere della Sera” titolava il 25 maggio di questo anno “Lombardia, 17 mila insegnanti chiedono il trasferimento. Ma solo mille torneranno al Sud”, facendo riferimento ai soli insegnanti di ruolo, quelli che alla fine il “posto fisso” erano riusciti a conquistarselo. Di quelle 17 mila domande di mobilità, 10.500 erano destinate fuori regione. Le domande accolte sono state 5.729, di cui 4.018 riguardavano la mobilità all’interno della stessa Lombardia, 1.079 verso Sud e Isole, le restati 632 domande in altre regioni del Centro-Nord Italia. Ragionando su scala nazionale 4.302 docenti sono riusciti a trasferirsi nuovamente al Sud e nelle Isole dalle regioni del Centro-Nord Italia, per l’anno scolastico 2022-2023, mentre 45.642 docenti che avevano presentato domanda non hanno ottenuto lo stesso risultato.
Un’occasione da non perdere
Nell’articolo si è trattato brevemente dei soli docenti migranti dal Sud ma nell’ambito scolastico c’è anche l’organico ATA che percorre le stesse rotte con la sola differenza sulla modalità del passaggio tra precariato a ruolo. Le storie dei nuovi collaboratori scolastici è diversa da quelle che potevano essere raccontate più di 10 anni fa. Per poter ricoprire questo ruolo di fatto occorre essere diplomati con almeno 80 centesimi e, tra i nuovi bidelli, non mancano i laureati che non sono riusciti a trovare lavori attinenti al proprio ciclo di formazione. Questo ci spinge a pensare che nelle regioni del Centro Nord Italia arrivi una massa di uomini e donne con almeno un diploma con una valutazione importante e che vivono ai margini delle nuove città in cui vivono, occupando stanze in appartamenti condivisi, con il rischio di vedersi accreditato lo stipendio con mesi di ritardo, con le difficoltà sopra descritte, senza incontrare in molti casi né il sindacato né forme organizzate politiche per poter “sortire insieme”.
Dati estrapolati da: https://dati.istruzione.it/ e da https://www.mur.gov.it/it
Barbagli, M. e Dei, M. (1969), Le vestali della classe media. Ricerca sociologica sugli insegnanti, Mulino, Bologna.
Colucci, M. e Gallo, S. (2017), In cattedra con la valigia. Gli insegnanti tra stabilizzazione e mobilità. Rapporto 2017 sulle migrazioni interne in Italia, Donzelli, Roma
Fondazione Giovanni Agnelli (2009), Rapporto sulla scuola in Italia 2009, Laterza, Roma, Bari.Gremigni, E. (2013), Una precarietà istituzionalizzata. Diventare insegnanti nella scuolapubblica italiana, in «Scuola Democratica»
* Classe 1990, docente precario di scienze matematiche applicate. Componente del CPN e della Redazione di Su la testa