Da Genova a Venaus
Lele Rizzo*
Scrivere a 20 anni da Genova con uno sguardo diverso da allora non è la cosa più semplice devo ammetterlo. Nonostante siano passati 20 anni da quei giorni sembra veramente ieri, e l’errore più grosso sarebbe quello di ragionarecon il senno di poi.
Non che questo non sia stato fatto, da me in primis, ma per consegnare al dibattito un punto di vista utile, è necessario prima di tutto non commettere degli errori nel rileggere la storia.
Schieramento: benché non abbia nulla di diverso da dire da allora e dagli anni che ne sono seguiti non è corretto leggere Genova con gli occhiali della battaglia politica di allora, è più corretto leggere le conseguenze e i cambiamenti di Genova, per proseguire nuove battaglie politiche.
Forme del conflitto: dopo vent’anni ridurre le giornate di Genova ad una banale ricostruzione delle forme di piazza, abbracciandone o condannandone alcune è fare un vero e proprio torto a quei giorni, dove indistintamente dalla forma, si registrò una partecipazione enorme, rappresentativa di tante, se non tutte le anime, del conflitto sociale.
Repressione: in molti, meno militanti, ricordano Genova solo per la repressione dello stato, per la brutalità delle forze dell’ordine, per le immagini e le paure che ancora oggi in molti si portano appresso.
Dietrologie e ricostruzioni fantasiose: G8=Infiltrato è stato il leit motiv di molti anni, e gli spettri si aggirano ancora nelle manifestazioni odierne, e non ho mai capito se per volontà o incapacità, non vengono ancora riconosciute alcune forme di conflitto esistenti e persistenti.
Rabbia: questa si, non deve mai mancare e non potrà mai venire meno nel ricordare l’omicidio di Carlo, le aggressioni a freddo da parte delle forze dell’ordine, la mattanza della Diaz, le successive promozioni di Stato, le condanne a pochi a nome di tutti.
Depurando da tutto ciò il dibattito, io credo che Genova, o meglio il dopo Genova, sia stata un’occasione persa per i movimenti anticapitalisti. Penso fortemente che sebbene l’11 Settembre abbia cancellato parte di quella forza e di quella partecipazione al cambiamento, sia oggi evidente l’incapacità da parte dei movimenti italiani di proseguire nella strada tracciata da quei giorni, che hanno evidentemente preoccupato i poteri istituzionali.
Perché se no non si spiegherebbe l’attacco spropositato di quei giorni, la mano libera lasciata alla piazza della celere. Genova faceva paura, Genova doveva essere domata.
Abbiamo perso più tempo a individuare colpevoli nelle piazze piuttosto che proseguire a rendere nudi i re di fronte a noi e il tempo per farlo ce l’avevamo.
Credo che dal punto di vista dei movimenti e dei partiti sia stata persa una grande occasione di cambiamento duraturo dei rapporti di forza nel nostro Paese, dove l’unica eredità positiva per alcuni è stato campare più tempo rappresentando quelle giornate, ma senza mai fare quel passo in più.
Dico questo con lo stesso intento che ho tenuto a specificare a cappello di questo mio scritto, perché per la mia esperienza politica Genova è stata, nel bene e nel male, un momento di formazione per capire come possa esistere un movimento composito e trasversale.
L’eredità di Genova io l’ho ribaltata per non commettere gli stessi errori che ho vissuto e visto nella scena politica. Ho imparato molto su quello che non avrei voluto fare nel veder crescere un movimento e nel contribuire a dargli le gambe per marciare negli anni (e anche qui non mi limito alle forme del conflitto).
Il dopo Genova per me è il movimento notav, che in quei giorni esordì per la prima volta sul piano nazionale con le sue bandiere.
Il sabato in diversi pullman partirono dalla Valle di Susa e sul lungo mare, con gli scontri in corso, insieme ad altri compagni e compagne, ci adoperammo per portare al sicuro lo spezzone, quasi per difendere quelle persone che negli anni successivi hanno avuto il coraggio di presentarsi davanti alle telecamere, dopo il 3 luglio del 20111, dicendo “siamo tutti black block”, dimostrando coraggio e coerenza come non se ne vedevano da tempo.
Parlo del filo diretto tra Genova e il Notav perché nel movimento della Valle che Resiste ci sono tutti gli aspetti positivi di una lotta, dove le differenze (da ogni punto di vista) esistono, ma diventano e sono diventate il valore aggiunto a quel percorso perché unite verso l’obiettivo di vincere una grande e dignitosa battaglia.
Le forme della lotta sono diventate secondarie rispetto agli obiettivi, ma non perché sottovalutate o delegate, ma perché ben delineate come “mezzi” (partecipati o condivisi) utili alla lotta. Ecco se posso per un momento usare “il senno di poi” a Genova e al post Genova è mancato il vero obiettivo.
Del resto se un movimento popolare resiste, senza perdere mai il suo aspetto conflittuale, nel tempo, questo significa che è possibile, che è praticabile, e che forse è anche riproducibile.
Come per Genova, anche la Valle è stata presa sul serio dallo Stato, che ha individuato la minaccia al proprio potere, tant’è che se nel primo caso la risposta è stata estremamente violenta, nel secondo caso è stata subdola e ragionata. Utilizzando lacrimogeni e manganelli (pochi perché da Genova hanno imparato) come di consueto, ma delegando alla magistratura il compito di battere sulle vite dei militanti, arri- vando a colpire ovunque, con metodo ed esagerazione nei reati e nelle condanne.
Persino il carcere è subentrato come strumento di “correzione” dei ribelli della montagna, e ad oggi, dopo gli anni 70’, il movimento notav è il movimento sociale più represso in questo Paese.
Infine la lunga storia ha dimostrato come ci sia un deficit di capacità di rappresentanza delle istanze sociali, dove i partiti, hanno fallito in ogni epoca storica a dare voce e supporto concreto ai movimenti, soprattutto nelle occasioni di Governo, con il risultato è che il movimento popolare è ancora lì a fronteggiare da solo il proprio futuro.
Concludo convinto che in vent’anni sono cambiate molte cose, ma che alcune rimarranno per sempre indelebili ed ineluttabili ed una è sicuramente la rabbia e l’amore nello scrivere di quei giorni, con il ricordo di Carlo, che fino all’ultimo è rimasto lì davanti.
1 Il 3 luglio del 2011 in Valle di Susa ci fu una giornata di assedio al cantiere della Maddalena, tra Chiomonte e Giaglione, avvenuto in seguito allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena. Per info: http://bit.ly/2YuitrD
* Lele Rizzo, Torinese, 45 anni lavora nel mondo del digital marketing. Militante dagli anni ‘90 del Csa Murazzi e del Centro Sociale Askatusuna è tra le voci più storiche del Movimento NoTav
Foto in apertura articolo da notav.info