Europa: contro la guerra e i guerrafondai
Paolo Ferrero
Mentre scrivo Israele ha ripreso il brutale genocidio che, da mesi e nella piu totale indifferenza dell’Unione Europea, sta perpetrando ai danni del popolo palestinese. Questo massacro infinito viene ignorato mentre fa scandalo che gli USA abbiano aperto una trattativa per la pace in Ucraina senza coinvolgere l’Unione Europea (e della guerra). Addirittura, il 15 marzo è stata convocata da Michele Serra e dal quotidiano della famiglia Agnelli, “La Repubblica”, una manifestazione a favore dell’Unione Europea.
La situazione è nota: i media mainstream e i loro pennivendoli, che in questi anni hanno appoggiato senza se e senza ma la guerra tra NATO e Russia – quella combattuta utilizzando la popolazione ucraina come carne da cannone – scrivono che l’Europa è minacciata dalla Russia di Putin a causa del tradimento di Trump. Viene così diffuso un clima isterico, in cui l’apertura di una trattativa sulla fine della guerra in Ucraina viene presentata come un insopportabile gesto di arroganza nei confronti dell’UE.
Secondo questa narrazione, la minaccia Russa all’Europa e alla sua civiltà è quindi il pericolo concreto a cui occorre dare una risposta immediata. A tal fine la Von der Leyen ha sponsorizzato un gigantesco piano di riarmo dell’Europa di circa 800 miliardi di euro che il Parlamento Europeo ha prontamente approvato.
Questa campagna condotta a reti unificate dai media mainstream e dalla quasi totalità delle forze politiche di centro destra e di centro sinistra europee e nazionali costituisce in realtà la premessa ideologica per un salto di qualità nella costruzione di un’Unione Europea imperialista e guerrafondaia verso l’esterno, antidemocratica ed antisociale verso l’interno. Una vera e propria proposta politica reazionaria attorno a cui il sistema di potere si sta riorganizzando. Ovviamente ogni forza e ogni schieramento interpretano il copione a partire dalla cura del proprio pubblico (più nazionalista o più europeista, più militarista o più in borghese, più progressista o più conservatore), ma la strategia di fondo non cambia: la Russia è il nostro nemico e costituisce una minaccia immediata a cui dobbiamo far fronte con un enorme programma di spese militari attorno a cui riorganizzare le relazioni sociali e il profilo complessivo dell’Europa.
Questa vera e propria follia non è nata in una notte e tanto meno è il frutto obbligato della politica di Trump. Ci troviamo di fronte alla crisi organica di una classe dirigente che, dopo aver portato al disastro l’Unione Europea, reagisce al cambio di politica degli USA con proposte tanto sbagliate quanto velleitarie.
La crisi dell’Unione Europea, lungi da essere maturata nell’ultimo mese, viene da lontano e si è accentuata con il passare del tempo.
La UE non è stata uccisa ma si è suicidata
Le classi dominanti dell’Unione Europa, a causa delle proprie scelte, hanno messo profondamente in crisi gli elementi di fondo su cui l’Europa si era sviluppata. Ci troviamo così dinnanzi alla fine di un ciclo trentennale in cui chi ci ha governato ha sperperato tutte le potenzialità che aveva per dare un futuro positivo all’Europa.
- Uno dei punti forti dell’Europa negli anni ‘70 era il suo sistema di welfare a partire dal quale il conflitto di classe, e più in generale il conflitto sociale, ha portato a un avanzamento complessivo della civiltà e delle conquiste sociali. Questa grandissima forza data dalla “densità” sociale è stata distrutta pezzo a pezzo dall’Unione Europea che, prima con il trattato di Maastricht e poi con il trattato di Lisbona, con le politiche della BCE e della Commissione, ha frantumato il tessuto sociale dei diversi paesi e la coesione tra i diversi popoli europei. Le politiche ordoliberiste incardinate nei trattati hanno svolto il loro compito distruttivo della società e tutti i tentativi di indicare una strada diversa sono stati bloccati dai partiti del sistema bipolare. Limitiamoci a due soli esempi: Il nostro tentativo di introdurre le 35 ore in Italia, consolidando così la tendenza aperta dal sindacato in Germania e dal Governo Jospin in Francia, venne stroncato dal centro sinistra di Prodi. La ricerca di Syriza in Grecia di difendere il proprio popolo dalle politiche di austerità è stata affossata da Draghi e da tutto l’arco politico europeo, dalle destre ai socialisti.
- Nel secondo dopoguerra, le buone relazioni con la Russia hanno apportato all’industria europea un enorme vantaggio competitivo in termini di materie prime e mercati. Questo vantaggio è stato minato con le sanzioni economiche varate dalla UE contro la Russia a partire dal 2022 e distrutto dall’attentato terroristico al Nord Stream praticato dagli ucraini per conto degli Stati Uniti. È bene sottolineare come gli europeisti nostrani abbiano accettato di buon grado sia le sanzioni che gli attentati voluti dal nostro principale “alleato” ai nostri danni. La stessa strategia di allargamento della Nato ad Est, a partire dall’illegale guerra nei Balcani per arrivare al sabotaggio degli accordi di Minsk, non è stata imposta dagli Stati Uniti all’Europa ma ha visto nel protagonismo tedesco e nel consenso bipartisan europeo (ricordiamo la piena partecipazione del governo D’Alema ai bombardamenti della Serbia) il nucleo trainante dell’operazione. Lo stesso dicasi per la fuoruscita dai trattati ABM e l’installazione delle batterie ABM in Romania e Polonia, in grado di lanciare missili con testate nucleari ben dentro il territorio russo. I neocon statunitensi, con grandi posizioni di potere nel Partito Democratico, hanno trovato nelle cancellerie europee dei fedeli collaboratori ed esecutori. La distruzione delle relazioni con la Russia, il pesante aumento della dipendenza energetica dagli USA e la crisi verticale dell’apparato industriale europeo sono quindi il frutto delle scelte praticate dalle classi dominanti europee.
- Uno dei grandi mercati di esportazione per le industrie europee era la Cina. Peccato che la decisione di assumere la Cina come avversario strategico decisa all’unanimità dalla Nato, sostenuta a spada tratta dalla Von der Leyen e praticata con determinazione dal Parlamento Europeo nelle sue recenti risoluzioni, abbia contribuito non poco a deteriorare la collaborazione reciproca. Su questo terreno l’Europa ha applicato, motu proprio e in forma altamente autolesionistica, la scelta statunitense di decoupling con la Cina quando invece l’Europa aveva tutto l’interesse a sviluppare le relazioni economiche con la stessa.
- L’austerità e i rigidi vincoli di bilancio decisi dall’Unione Europea, che sotto la guida di Draghi hanno raggiunto il loro apice, non hanno solo impoverito e compresso i diritti dei popoli ma hanno anche ridotto drasticamente gli investimenti pubblici nelle infrastrutture e nella ricerca. Una via all’aumento della competitività tutta fondata sui bassi salari e sulla riduzione dei costi in funzione del sostegno alle esportazioni, sulla ricerca del massimo profitto a breve, è così arrivata in pochi lustri alla sua crisi complessiva. L’Europa, oltre a essersi privata delle materie prime a basso costo russe ed essersi inimicata il governo cinese che gestisce uno dei principali mercati mondiali, ha così perso anche la propria capacità di innovazione e si trova oggi declassata nella gerarchia della divisione internazionale del lavoro. Una scelta, quella liberista, che ha svalorizzato il lavoro, impoverito i lavoratori e l’intera società.
Il terremoto Trump
In questo contesto fortemente compromesso e degradato è arrivato Trump. Non è questa la sede per analizzare la nuova politica estera statunitense (magari in uno dei prossimi numeri della rivista) ma un cenno è necessario per evidenziare che Trump non è un pazzo isolato ma è espressione di forze potenti all’interno della nazione statunitense. La scelta di drenare risorse dall’Europa verso gli Stati Uniti non è certo cominciata oggi: va avanti dagli anni’70. Questa tendenza è accentuata da Trump che ha deciso di reindustrializzare gli USA, e quindi di sottrarre all’Europa non solo capitali, come sempre avvenuto, ma anche industrie. Infine Trump è espressione di una frazione capitalista interna agli USA più legata alla dinamica nazionale profonda, distinta da quella legata al complesso militare industriale, al pentagono a Black Rock e a quel mondo finanziario atlantico più legato all’Europa. Questo blocco sociale “nazionale” trumpiano pare seriamente intenzionato a ridurre il debito pubblico statunitense tagliando, oltre alla spesa sociale, quella militare in alcune aree del mondo. In questo quadro, essendosi Trump reso conto che la guerra in Ucraina non avrebbe portato alla sconfitta della Russia e alla sua disgregazione, ha rovesciato la politica statunitense su quel fronte: invece della guerra, preparata dalla metà degli anni ‘90 con la scelta di allargare la Nato ad Est, la ricerca di un forte avvicinamento con la Russia in funzione anti cinese, apertura delle trattative per arrivare alla pace in Ucraina e riduzione delle spese militari statunitensi in Europa. A questa modifica di priorità va aggiunto che l’imperialismo di Trump, invece che esprimersi nei linguaggi felpati del softpower, si esprime in toni e modi tipici del bullo di paese.
La netta contrapposizione tra gli interessi delle élite statunitensi e quelli dei popoli europei, mentre da Biden e predecessori veniva nascosta e taciuta, è stata da Trump esaltata e urlata a pieni polmoni a fini di consenso interno agli USA. Questo ha messo in un enorme imbarazzo le classi dominanti europee che per decenni hanno amministrato il protettorato europeo in piena sintonia con i desiderata d’oltre oceano. I Macron, i Draghi e le Von der Leyen, che hanno fatto gli interessi del capitale finanziario USA in tutti questi anni, sono state prese con le mani nella marmellata perché il padrone di sempre, rivendicando in modo rozzo il proprio comando, ha tolto il velo di ipocrisia che copriva le loro malefatte portate avanti in modo felpato per decenni. Assistiamo così alla rivolta dei servi smascherati dal nuovo padrone: da Zelensky che ha venduto il proprio paese e il proprio popolo per una guerra per procura degli USA alle classi dominanti europee che si sentono tradite dal padrone che hanno servito così fedelmente.
Le classi dominanti europee sono una frazione di quelle statunitensi
A questo punto è bene ragionare a fondo sul perché le classi dirigenti europee, a fronte del terremoto prodotto da Trump hanno assunto una posizione così nettamente guerrafondaia anche a costo di scontrarsi duramente con Trump.
In primo luogo i gruppi dirigenti europei appartengono per formazione, relazioni, interessi materiali a quella parte di élite statunitense sconfitta da Trump. Basti pensare a Draghi, Monti, Prodi e così via, ma anche a Merz, vincitore delle elezioni in Germania, presidente del Consiglio di Sorveglianza di Black Rock fino al 2023. Questa classe dirigente europea è tutt’una con la frazione capitalistica statunitense che ha voluto la guerra in Ucraina e a quel gruppo oggi sconfitto continuano a fare riferimento proponendo la prosecuzione della guerra in Ucraina e indicando nella Russia il proprio nemico mortale contro cui riarmarsi. In questo modo la classe dirigente europea invece di fare gli interessi dell’Europa continua semplicemente a fare gli interessi del complesso militare industriale statunitense sia pure polemizzando con Trump.
In secondo luogo, dopo aver raccontato per anni bugie colossali (a partire da quella che se non contrastato Putin sarebbe arrivato con i suoi carri armati fino a Lisbona,) hanno continuato a raccontare le stesse menzogne. Mentre il neo eletto Trump ha potuto furbescamente scaricare su Biden e Zelensky tutte le responsabilità della guerra, gli europei non avevano alcuno su cui scaricare le proprie responsabilità, e quindi hanno continuato a mentire e a recitare il copione precedente.
In terzo luogo, in un continente socialmente frantumato, con una crisi verticale della fiducia nella classe politica, l’invenzione del nemico, dell’aggressore, permette di costruire una narrazione forte attorno a cui cercare di “unire” il popolo. Si tratta di un azzardo mortale, ma l’ammissione dei propri errori avrebbe sepolto questa classe dirigente all’istante, mentre il rilancio del pericolo russo può aprire una via di fuga.
In quarto luogo una spesa militare di 800 miliardi, sia pure spalmata in vari anni e da spartirsi con il complesso militare industriale statunitense, costituisce un bel favore all’industria militare europea e un intervento economico parzialmente anticiclico e di grande sostegno ai mercati finanziari e azionari. La crescita vertiginosa delle quotazioni di Leonardo e Rheinmetall nascono dall’aspettativa del passaggio di denaro dalle tasche dei contribuenti a quelle degli industriali militari.
In quinto luogo, dentro la crisi sociale dovuta alle scelte suicide fatte negli ultimi anni, questa operazione ha buon gioco a presentarsi come una scelta a favore dell’occupazione: l’unico settore che avendo distrutto l’industria europea darà qualche posto di lavoro (pochi).
Da ultimo, la metà della spesa militare europea che verrà utilizzata per comprare armi dagli USA, servirà a convincere Trump a ridurre i dazi (perché riequilibrerà la bilancia commerciale) e sarà un modo per tenersi buoni i propri sodali d’oltreoceano, aspettando che la stagione di Trump finisca e si possa tornare al solito tran tran.
Tutte queste motivazioni, che nulla hanno a che vedere con gli interessi e il benessere dei popoli europei, portano, con ogni evidenza, a una scelta suicida il cui esito ultimo è, se va bene, determinare l’isolamento mondiale e l’impoverimento dell’Europa e, se va male, provocare e perdere una guerra diretta con la Russia e quindi distruggere l’Europa.
È infatti evidente che questa scelta, oltre a determinare un pesante aumento dell’indebitamento degli stati (a partire dal nostro), aggraverà la crisi sociale con la distruzione del welfare, l’aumento della povertà e delle diseguaglianze. È il corpo centrale delle società europee a essere aggredito con questa operazione: la maggioranza delle popolazioni sono nel mirino di questo drenaggio di risorse, non solo i più poveri. Parallelamente, tutta questa azione porta all’ingrandimento degli eserciti di leva, con il rischio concreto di un loro utilizzo in guerra. Si progetta quindi il peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni europee, e non a caso i governi stanno attuando nei diversi paesi un aumento delle misure repressive interne. Come se non bastasse, è del tutto evidente che la perdita di ogni leadership nel settore della ricerca si riverbera anche nell’industria militare, dando luogo a una corsa degli armamenti di basso profilo e quindi militarmente inefficace. Infine, acquistando molti sistemi d’arma negli Stati Uniti è difficile che questi ci vendano i prodotti di punta.
Le classi dominanti europee hanno quindi scelto con decisione una strada che è contemporaneamente criminale, reazionaria e velleitaria. Non accettano di fare i conti con il mondo multipolare che si sta affacciando e ripropongono in modo autistico il peggio della tradizione delle classi dominanti europee.
Il male oscuro dell’Europa
Se guardiamo alla nostra storia, vediamo come la scelta della guerra si inserisca nella tendenza di lungo periodo delle classi dominanti di questo continente: una serie infinita di guerre locali culminate nei due conflitti mondiali, il colonialismo e un paio di tentativi in grande stile di invadere la Russia, solo per restare in epoca moderna. Oltre ai conflitti interni all’Europa, la rapina e la sopraffazione su scala mondiale, con il corollario di ideologie razziste giustificazioniste, hanno caratterizzato fortemente il modo in cui le nazioni europee si sono rapportate al resto del mondo. Dall’America latina all’America del nord, dall’Africa all’Asia, all’Oceania, non vi è continente che non abbia subito i soprusi di qualche nazione europea. Una dominazione che, nel momento di massima espansione, ha controllato milioni e milioni di chilometri quadrati di territori extraeuropei rubando risorse, sfruttando e riducendo in schiavitù interi popoli. Una dominazione che, quando non è stata più in grado di riprodursi, ha lasciato tali e tanti disastri alle proprie spalle da produrre problemi ancora oggi. Pensiamo solo a come furono tracciati i confini degli stati post coloniali in tanta parte del mondo a partire dal Medioriente…
La storia del capitalismo europeo, come sottolineava giustamente Rosa Luxemburg, è quindi inscindibile dal militarismo non di rado intrecciato al colonialismo. Da parte sua, il pensiero liberale oggi egemone nel continente, accanto alla rivendicazione dei diritti di cittadinanza, è stato sempre intriso di razzismo senza che questo facesse scandalo o ne fosse colta la contraddizione. Non a caso il pensiero liberale non si presenta come un pensiero universalistico, ma come l’esaltazione della “nostra civiltà”, delle “nostre forme democratiche” usate come una clava per giustificare le peggiori nefandezze. Pensiamo a come la glorificazione del sionismo e la definizione di Israele come “baluardo della democrazia” sia funzionale a giustificare l’apartheid e il genocidio del popolo palestinese.
L’illusione di risolvere per via militare i problemi economici e sociali non è quindi nuova per le classi dominanti europee, ma ne permea la storia e forse ne costituisce l’identità profonda, il male oscuro. Oggi attorno a questa illusione bellicista, i ceti dominanti che hanno governato nel sistema bipartisan l’Unione Europea e l’hanno portata alla rovina, cercano di cementare, a partire dalle risorse ricavate dalla tosatura dei popoli europei, un blocco di interessi capitalistici parassitari nazionali, europei ed atlantici.
Siamo nella fase costituente di un nuovo blocco di potere europeo in cui il militarismo guerrafondaio si fonde con l’ordoliberismo delle origini.
L’esercito europeo: il punto di non ritorno.
Abbiamo detto che questa illusione bellicista è destinata a fare disastri enormi, e dobbiamo sapere che su questa strada esiste una svolta, un punto di non ritorno che dobbiamo contrastare a tutti i costi: la costituzione dell’esercito europeo.
Innanzitutto è evidente che oggi l’esercito europeo non avrebbe alcuna funzione difensiva ma uno scopo solo: fare la guerra con la Russia. Questa funzione offensiva orientata ad est, per forza di cose, porterebbe con sé almeno due conseguenze:
La prima è l’acquisizione dell’armamento nucleare. Non è pensabile che un esercito europeo, nato con il compito fondamentale di contrastare la Russia, a cui parteciperebbero due nazioni dotate di armi atomiche (Francia e Inghilterra), non si doti a sua volta di ordigni nucleari.
La seconda, direttamente legata al funzionamento dell’esercito, tanto più se dotato di ordigni atomici, sarebbe la radicale modifica del funzionamento dell’Unione Europea, con un’accentuazione della centralizzazione autoritaria già in corso, presentata a quel punto come obbligata.
Per non parlare di quanto è successo in Romania, in cui l’esito delle elezioni presidenziali è stato palesemente stravolto impedendo la partecipazione al candidato che le avrebbe vinte. Che Georgescu sia un fascista è sicuro; altrettanto sicuro che un posto in cui si impedisce agli elettori di scegliere non è più una democrazia ma un regime. Il regime della Nato.
Il rischio è quindi che l’esito di queste folli politiche trasformi l’Intera Europa in quello che è diventata l’Ucraina: un gigantesco campo di battaglia in cui il diritto a vivere, i diritti sociali e civili, così come la democrazia, svaniscono in nome della guerra.
L’avanzamento dell’Unione Europea, il più Europa che chiedono i padroni di “Repubblica” per bocca di Serra e Prodi non fa altro che determinare questa prospettiva: sommare all’ordoliberismo dei trattati un militarismo anti russo esasperato senza alcuna prospettiva che non sia quella della distruzione dell’Europa. Una follia.
Un’altra strada
L’Europa è ad un bivio drammatico: per questo è necessario imboccare un’altra strada. Non si tratta di scegliere tra Trump e la Von Der Leyen, entrambi nemici dei popoli europei ed espressione di due voraci frazioni imperialiste del capitalismo occidentale, ma di combatterle tutte e due. So bene che oggi non abbiamo le forze per contrastare efficacemente questa follia militarista. Sono però convinto che per superare la nostra debolezza sia necessario fondare su basi materiali una prospettiva universalistica che ci permetta di mobilitare le persone e modificare i rapporti di forza. Occorre proporre una visione, un progetto per l’Europa a cui saldare la contestazione di massa dei progetti altrui.
1 – Aprire la trattativa con la Russia
Innanzitutto proponiamo di riaprire immediatamente i rapporti diplomatici con la Russia e unirsi alla ricerca di una pace duratura che sia fondata sulla sicurezza di tutte le parti in causa – Ucraina, Russia ed Europa – a partire dalla neutralità dell’Ucraina. L’idea della “pace giusta”, per noi ovviamente, propugnata da Michele Serra e dai suoi sodali comporta la prosecuzione del conflitto, e quindi un’escalation senz’altro risultato che l’estensione della guerra a tutto il continente europeo e la probabile deflagrazione del conflitto atomico. Riaprire il dialogo con la Russia per raggiungere una intesa di pace, abolire immediatamente le sanzioni economiche – che danneggiano principalmente l’Europa – e ritessere i rapporti commerciali con la Russia a partire dalla riapertura immediata del Nord Stream (una delle quattro condotte non è stata danneggiata dall’attentato terroristico ucraino) è il punto fondamentale su cui muoversi. La rottura dei rapporti tra Europa e Russia, oltre al rischio di guerra, ci condannerebbe a un declino economico inesorabile perché la competitività dell’industria europea è strettamente connessa alla possibilità di avere energia e materie prima a basso costo. È quindi un interesse primario dell’Europa riaprire le frontiere con la Russia – e con la Cina – favorire la costruzione di un mondo multipolare cooperativo e abbattere quella nuova cortina di ferro che i nostri guerrafondai vogliono ricostruire.
2 – Fermare il riarmo e l’esercito europeo
In secondo luogo proponiamo di porre immediatamente fine al riarmo europeo e di non dar vita in nessun modo ad un esercito europeo. La scelta del riarmo non ha nessun senso per tre ragioni di fondo:
La Russia non ha alcun interesse ad invadere l’Europa. Con la sua enorme estensione, la sua abbondanza di materie prime e di terre coltivabili, la sua scarsità di popolazione, la Russia ha necessità di immigrati, non di maggiore territorio. Non a caso, nell’epoca moderna, la Russia non ha mai tentato di invadere l’Europa, mentre ha subito un paio di devastanti invasioni da parte degli europei. I nostri guerrafondai stanno quindi agitando un pericolo inesistente, letteralmente inventato e privo di fondamenti.
Qualunque conflitto nasca tra l’Unione Europea in quanto tale e la Russia, si sposterebbe facilmente sul piano nucleare e in ogni caso provocherebbe la completa distruzione dell’Europa. Tra l’altro, questo esito devastante sarebbe asimmetrico perché la Russia, con i 150 milioni scarsi di abitanti su 17 milioni di chilometri a fronte dei 450 milioni di abitanti su 4 milioni di chilometri quadrati dell’Europa occidentale, ha quella che i militari chiamano una “profondità strategica” di tutt’altro spessore, e quindi una maggiore possibilità di “limitare significativamente” gli effetti devastanti di una guerra atomica.
La scelta del riarmo europeo è incompatibile con lo sviluppo economico e civile dell’Europa e con la transizione energetica in senso ambientalista. La scelta dell’economia di guerra significa distruggere quel che resta del modello europeo, chiudere definitivamente la pagina del welfare, dello stato del benessere, che è stata la principale conquista europea e su cui si è fondata la pace in Europa e tra i popoli europei. Si tratta di una strada che anche sul piano economico risponde unicamente agli interessi del complesso militare industriale e dell’economia speculativa. Non a caso BlackRock e le Big Three hanno prodotto negli ultimi tempi una decisa inversione di priorità nei loro investimenti, passando dal green al black, cioè dall’ambiente alle armi, con la benedizione del blocco di potere di centro destra e centro sinistra a livello europeo.
Storicamente, nella storia europea, è stato il movimento operaio e socialista a porre il tema della pace e del no al colonialismo. Dobbiamo riprendere la lezione fondamentale del movimento comunista costituitosi a livello di massa a partire dalla Rivoluzione Russa che ha trionfato proprio a partire da No alla guerra intrecciato con la rivendicazione della terra ai contadini. Lo stesso articolo 11 della Costituzione italiana è stato reso possibile dall’incontro tra movimento comunista e socialista con il pensiero cattolico, e non era certo farina del sacco del pensiero liberale o degli industriali che si erano arricchiti a produrre le armi come gli scarponi con le suole di cartone forniti agli alpini mandati a morire in Russia.
3 – Abbandonare le politiche ordoliberiste
In terzo luogo l’Europa, oltre alle politiche di riarmo, deve abbandonare le politiche ordoliberiste che hanno prodotto una pesantissima crisi sociale, e in generale una nefasta carenza di investimenti pubblici. Come si è visto nella vicenda del Covid e come si vede oggi, con le spese militari poste al di fuori dei vincoli di bilancio, le regole economiche europee non hanno nulla di oggettivo, sono arbitrarie e sono la pura espressione del dominio di classe antipopolare. I trattati europei sono stati utilizzati per comprimere la domanda interna, abbassare i salari trasferendo risorse dai popoli al capitale e dai paesi più poveri a quelli più ricchi: sono una specie di keynesismo alla rovescia, una controrivoluzione permanente delle classi dominanti contro le classi popolari. Occorre quindi rovesciare le regole europee a partire dal ruolo della BCE per porre al centro politiche pubbliche finalizzate allo sviluppo integrale del welfare, alla riduzione dell’orario di lavoro, allo sviluppo della conoscenza e della ricerca, agli investimenti pubblici nelle infrastrutture, a un piano pubblico per la riconversione ambientale dell’economia. Un progetto antitetico a quello di Draghi che vuole strutturare l’intervento pubblico attorno all’industria militare.
4 – Per l’indipendenza dell’Europa
In quarto luogo, è necessario costruire la piena indipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti. Quelli che oggi contestano Trump in nome dell’Europa lo fanno come degli orfani che sperano semplicemente che alle prossima tornata elettorale statunitense tornino in sella i padroni di sempre, da cui poter ricominciare a prendere ordini. Non è questa la strada. Gli USA ,nel secondo dopoguerra, hanno considerato l’Europa una propria depandance da usare e sfruttare a piacimento, ostacolandone pesantemente l’evoluzione in senso democratico. Trump non rispetta la sovranità europea come non l’ha mai rispettata Biden, che è arrivato fino all’attentato terroristico contro il Nord Stream. L’Europa è stata, negli ultimi trent’anni, una sorta di protettorato statunitense, e adesso che il volto feroce di Trump rende evidente questa realtà a livello di massa, occorre cogliere l’occasione per chiudere i conti con l’Europa atlantica che conosciamo.
Occorre quindi operare per una scelta netta di indipendenza dagli USA da parte dell’Europa: una scelta che, per realizzarsi, necessita di un vasto movimento di lotta politico culturale e sociale. Solo nella lotta per l’indipendenza dell’Europa, può emergere una classe dirigente che non sia una costola di una parte della classe dominante degli USA, ma che difenda gli interessi dei popoli europei all’interno di un mondo multipolare, che sappia porre il tema della cooperazione contro le politiche di guerra.
Vi è oggi una opinione pubblica in Europa, e segnatamente in Italia, che è contro la guerra ma anche contro la dipendenza dagli Stati Uniti. Occorre trasformare questa sensibilità di massa, non necessariamente maggioritaria, ma certo assai diffusa, in una proposta politica chiara e comprensibile.
5 – Per una Europa dall’Atlantico agli Urali
L’Unione Europea attuale è stata ritagliata sulla base della rottura determinata dalla guerra fredda. Anche l’allargamento della UE è avvenuto in parallelo a quello della Nato, ed è stato guidato da parte dei vincitori della guerra fredda dopo il crollo del muro di Berlino. Occorre, al contrario, prendere atto che nella storia, l’Europa va dall’Atlantico agli Urali: questa è l’Europa che va riconosciuta e che si poteva costruire dopo l’89. Se guardiamo al 1800, vediamo che non esiste una netta separazione tra Russia e i paesi europei occidentali: dalla musica alla letteratura fino alla lingua usata dai sovrani (Zar compreso), tutto è profondamente intrecciato. E’ stata l’isterica reazione delle classi dominanti europee alla Rivoluzione Russa, il nazismo e poi la sciagurata teoria della cortina di ferro, lanciata da Churchill e messa in campo da Truman nell’era del maccartismo, a determinare che il rispetto delle sfere di influenza stabilite a Yalta si trasformasse in una drammatica spaccatura dell’Europa. Dopo l’89 il gruppo dirigente prima sovietico, e poi russo, propose a più riprese di superare questa barriera ma questo non venne fatto per scelta dell’occidente.
6 – Fuori dalla NATO
A questo riguardo è bene sottolineare con chiarezza che la Nato non è mai stata una alleanza difensiva: è nata per autonoma iniziativa occidentale nel 1949, ben 5 anni prima del Patto di Varsavia. Di fronte a questa decisione occidentale i sovietici, nei primi anni ‘50, “cercando di prevenire la formazione di gruppi di Stati europei diretti contro altri Stati europei”, proposero un Trattato generale europeo sulla sicurezza collettiva in Europa, “aperto a tutti gli Stati europei senza considerare i loro sistemi sociali” ma queste proposte non furono mai prese in considerazione.
Addirittura, l’Unione Sovietica nel 1954 avanzò la proposta di un suo ingresso della Nato in modo da evitare la contrapposizione militare in Europa e a livello mondiale. Tutte queste proposte vennero respinte dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna che guidavano i paesi occidentali. Solo dopo l’ingresso della Repubblica Federale Tedesca nella Nato – ed il via libera al suo conseguente riarmo – avvenuto nell’ottobre 1955, nel novembre dello stesso anni venne formato il Patto di Varsavia.
L’Europa divisa in due è quindi frutto di una scelta geopolitica guidata da Gran Bretagna e Stati Uniti in pieno clima maccartista. Per questo la Nato non si è sciolta dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia: perché la Nato non è una alleanza difensiva ma offensiva, funzionale alla separazione dell’Europa dalla Russia. La Nato è la forma di organizzazione geopolitica dell’Europa e può e deve essere superata nella costruzione di una comune sicurezza di tutta l’Europa. La rivendicazione dell’uscita dalla Nato è quindi il passo propedeutico per un suo superamento in un sistema comune di sicurezza europea ed è un passo necessario per ridisegnare non solo la politica estera ma anche l’essenza stessa dell’Europa e del suo futuro.
7 – Un’area euromediterranea
Il ripensamento dell’Europa non può essere disgiunto dalla proposta di un’area euromediterranea. Superare la logica dell’emergenza – militare o migratoria – nella relazione con i paesi del bacino del Mediterraneo è un passaggio necessario per un’Europa che superando il suo carattere atlantico sia in grado di aprire relazioni verso est ma anche verso sud. Da questo punto di vista i famigerati PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) possono essere il motore di un nuovo ruolo di cerniera dell’Europa verso il Nord Africa e il Medioriente e viceversa. L’Italia ha avuto storicamente, nel bene e nel male, un’attenzione mediterranea, assai presente anche nella tradizione democristiana. Sviluppare questa relazione come progetto politico, che non abbia i caratteri propagandistici e neocoloniali di quanto proposto dalla Meloni è una strada decisiva per il nostro paese e per una nuova Europa.
8 – Un’Europa aperta ai BRICS
L’Europa che si apre consapevolmente all’area euromediterranea definisce anche la forma mentale con cui affrontare un altra sfida a cui deve rispondere l’Europa: la relazione con i BRICS. E’ del tutto evidente che l’Europa, fino alla presidenza Biden, si è comportata semplicemente come il servo scemo degli USA accettando di suicidarsi con le sanzioni e la guerra, finanziando il debito pubblico statunitense e fornendo a gratis capitali all’economia statunitense attraverso il drenaggio attuato da BlackRock e le altre grandi finanziarie. Oggi due elementi ci permettono di mettere in discussione questa situazione. Da un lato, la perdita di ruolo degli USA in rapporto al resto del mondo e in particolare ai BRICS è oggi assai evidente. Dall’altra, abbiamo una crisi di relazioni con gli USA di Trump e un conseguente incrinarsi dell’immaginario atlantico. A partire da questa doppia crisi abbiamo la possibilità di emanciparci da questa sudditanza e di acquisire la dimensione continentale dell’Europa e nel contempo di tessere autonome relazioni con il bacino del Mediterraneo e in generale con i paesi del sud del mondo. Non esiste un futuro dell’Europa e della sua industria al di fuori della costruzione di una relazione forte con l’area mediterranea e con i BRICS.
In conclusione
Non ho volutamente affrontato in questo articolo la discussione su “Unione Europea sì o no”. Penso infatti che vada posta al centro della nostra discussione l’obiettivo di costruire un progetto e una mobilitazione sociale nazionale e europea che si pongano il problema di superare questa situazione. E superare questa Unione Europea, a cui dobbiamo organizzare quotidianamente la disobbedienza, in nome di un’altra Europa di cui ho provato a indicare qualche elemento nelle righe che precedono. Non si tratta certo di un percorso lineare, non sappiamo se vi sarà una crisi strutturale dell’Unione Europea, non conosciamo a priori il rapporto tra stati nazionali e cornice unitaria ottimale. Mi pare però chiaro, al fine di perseguire gli obiettivi che ho provato a tratteggiare, che occorra impedire l’implementazione del potere reale dell’Unione Europea sui popoli e sulle singole nazioni: nessun esercito europeo, nessun superamento del principio dell’unanimità per assumere le decisioni. E’ chiaro che quello attuale è un meccanismo in larga parte inefficace, ma ogni passo nella direzione di una maggiore concentrazione di potere non potrebbe che aggravare la situazione, anche pesantemente, rafforzando il potere del blocco reazionario e guerrafondaio oggi egemone nell’Unione Europea. Pensiamo solo al tema della guerra se la Von der Leyen avesse più poteri di quelli che ha.
Confido che questo numero della rivista possa fornire alcune idee utili per aprire un dibattito e mettere al centro della nostra azione la costruzione di movimenti di massa su obiettivi unificanti, evitando ogni rafforzamento dell’oligarchia di cui oggi subiamo così pesantemente il dominio.