Fermare il genocidio permesso dall’Occidente
Paolo Ferrero
Mentre scrivo, a Gaza è in corso un genocidio contro il popolo palestinese con migliaia e migliaia di morti e decine di migliaia di feriti, in larga maggioranza donne e bambini. L’esercito israeliano sta radendo la suolo le case e le infrastrutture: lo stesso esercizio dell’attività medica è posto in discussione, e così il diritto alla cura dei feriti. Il lavoro della stampa libera è reso difficilissimo – le decine e decine di giornalisti uccisi sono li a testimoniarlo – e il tentativo di nascondere agli occhi dell’opinione pubblica il massacro dei civili, sempre più evidente. Siamo di fronte a un vero e proprio crimine contro l’umanità il cui obiettivo è quello di rendere impossibile la vita a Gaza. Non la proclamata distruzione di Hamas, ma la desertificazione della striscia di Gaza e la deportazione dei suoi abitanti in campi profughi, se possibile fuori dai confini della grande Israele, sono gli obiettivi coerenti con l’azione in corso. I bombardamenti sono lo strumento usato dal governo Netanyahu per privare due milioni e mezzo di persone costringendole ad abbandonare i loro territori e lasciare campo libero ai coloni israeliani.
Tutto questo è visibile a chiunque sia disposto a vederlo, e infatti tutto il mondo ne è indignato. Contro l’azione criminale posta in essere dallo Stato israeliano contro il popolo palestinese, è nato un grande movimento di protesta che si èsviluppato in tutto il mondo. Gli unici che fanno finta di non accorgersi della gravità di quanto sta accadendo a Gaza e che in nome della lotta al terrorismo svolgono una azione di copertura e di esplicito sostegno dell’azione del governo di Netanyahu, sono – salvo pochissime eccezioni – i governi occidentali, europei e statunitensi. Questo nonostante sia del tutto evidente che la condanna delle stragi compiute da Hamas non ha nulla a che vedere con quanto sta accadendo oggi a Gaza.
L’interruzione di questo sostegno è uno dei principali obiettivi su cui vogliamo lavorare insieme alla richiesta elementare e fondamentale del cessate il fuoco permanente.
È infatti del tutto evidente che l’esercito israeliano può fare quello che sta facendo solo perché il governo degli USA e i governi europei – al di là del gioco delle parti – glielo permettono: dobbiamo interrompere questa complicità perversa. Con questo obiettivo abbiamo fatto questo numero speciale della rivista che dedichiamo al popolo palestinese.
La decisiva complicità occidentale
Il sostegno delle classi dominanti occidentali – partiti e media mainstream – al governo israeliano si fonda su una narrazione che si può così riassumere: lo Stato di Israele è sotto attacco ed è a rischio la sua sicurezza e quindi la sua esistenza. Lo Stato di Israele non è solo l’unica democrazia presente nel Medioriente, ma è contemporaneamente il rifugio per il popolo ebraico in fuga dalle sofferenze della Shoah e l’avamposto della civiltà occidentale nel barbaro mondo delle tenebre dei regimi non democratici. Per questo, di fronte alla barbara aggressione di Hamas ogni reazione è legittima. Gli eventuali eccessi, da un lato, sono giustificati dalla necessità di estirpare Hamas, e dall’altra attribuiti a Hamas stessa: se il popolo palestinese subisce quello che sta subendo può solo maledire Hamas, che è la causa di tutto. Questa narrazione, ripetuta a reti unificate dai media mainstream di destra come di centro sinistra, punta a plasmare l’opinione pubblica occidentale, a costruire un nuovo senso comune. Alla luce di questa narrazione è evidente che il genocidio in atto viene presentato come una sorta di spiacevole effetto collaterale rispetto alla necessaria azione per tutelare Israele – e quindi del popolo ebraico – ma anche per tutelare la civiltà occidentale, le nostre case e le nostre chiese: se permettiamo che il barbaro terrorizzi la nostra sentinella che abbiamo nell’avamposto più avanzato, come potremo sperare di essere al sicuro a casa nostra?
Parallelismi Ucraina Israele
Non occorre essere un genio per notare che questa narrazione ha qualche superficie di contatto con quella sviluppata dopo il 24 febbraio 2022 scorso a proposito della guerra tra Russia e Ucraina. Anche in quel caso, un orrido individuo – Putin, il nuovo Hitler – ha aggredito animato da spirito sanguinario la povera ed innocente ucraina. Anche in quel caso siamo stati chiamati ad aiutare l‘Ucraina non solo per difendere le democratiche istituzioni di quel paese ma perché – se non adeguatamente contrastato – il sanguinario dittatore russo avrebbe fatto dilagare i suoi cosacchi in tutta l’Europa, fino a Lisbona. L’isteria militaresca arrivò in quel caso al misconoscimento di tutta la cultura russa, producendo decisioni degne dell’inquisizione medievale, rogo dei libri compresi…. Oggi questa isteria langue perché dopo aver mandato a morire centinaia di migliaia di poveri cittadini ucraini nella più grande guerra per procura che la modernità ricordi, è del tutto evidente che i fornitori di cannoni vogliono risparmiare e sono alla ricerca di una tregua per interrompere questa guerra andata male. Quella stessa tregua che avevano impedito un anno e mezzo fa quando Boris Johnson andò a Kiev a bloccare l’accordo che Ucraina e Russia avevano stipulato in Turchia.
Occorre però sottolineare un ultimo evidente parallelismo: chiunque mettesse in discussione la bontà della guerra a fianco dell’Ucraina era considerato putinista e chiunque critichi oggi il governo israeliano è additato come antisemita.
Per la vulgata oggi dominante, chi contesta le azioni della NATO e il massacro dei bambini palestinesi, può avere le migliori intenzioni, ma è un nemico della civiltà occidentale e della democrazia, come lo erano i nazisti. Nella riscrittura della storia tutt’ora in corso da parte delle élite occidentali, i nostri liberatori, i nostri partigiani, coloro che dobbiamo festeggiare, hanno il volto di Netanyahu e di Zelensky, gente che si sacrifica a fare il lavoro sporco per il nostro bene.
Revisionismo storico e costruzione di un nuovo immaginario
Queste narrazioni false, ripetute all’infinito, hanno il compito di costituire il quadro mentale alla luce del quale ogni cosa deve essere letta e interpretata, deve acquisire il “suo senso”. La guerra in corso in Ucraina e il massacro in corso in Palestina non hanno solo un carattere materiale: non producono solo morti e feriti, acquisizioni di nuovi territori o la loro perdita. Non sono cioè solo fatti militari: sono fatti ideologici di prima grandezza perché attorno a questi viene costruita una narrazione che ridefinisce noi stessi e il nostro ruolo.
Mi soffermo su questo aspetto perché è del tutto evidente che ci troviamo dinnanzi a un punto di svolta che occorre riconoscere per poter comprendere. La narrazione apologetica della globalizzazione neoliberista era connotata in termini universalistici: ci veniva detto che “l’umanità, dopo le catastrofi prodotte da comunisti e fascisti, ha ripreso il suo corso e, guidata dagli USA, veleggia nel migliore dei mondi possibili”. Dopo l’attacco alle torri gemelle e in particolare dopo la crisi della globalizzazione neoliberista, dal 2008 siamo entrati in una fase diversa: protezionismo economico selettivo, sanzioni economiche a gogo, guerre economiche e adesso guerre guerreggiate. In questo nuovo quadro gli eventi militari, con il loro forte impatto emotivo e immaginifico, vengono usati per ridefinire il nostro immaginario, per costruire nuovi miti che organizzino i nostri pensieri.
La tesi di fondo che cercano di inculcarci è la seguente: l’Occidente è sotto attacco, la civiltà occidentale è minacciata. Le guerre sin qui fatte in Afganistan, Iraq, Libia, non hanno risolto il problema anche perché “l’impero del male” si è riorganizzato ed ha assunto le sembianze di un’idra con molte teste. Tutti i conflitti oggi in corso sono aggressioni dei barbari contro gli avamposti della civiltà e quindi Ucraina e Israele non sono episodi isolati ma piuttosto la reiterata conferma della minaccia in agguato: occorre reagire, occorre arruolarsi perché siamo in battaglia. Non c’è più una umanità che ci rende tutti uguali, ma una “guerra di civiltà” che non abbiamo scelto e che ci obbliga a schierarci. L’Occidente non vuole la guerra, ma deve difendersi: noi siamo i buoni e loro i cattivi , siamo aggrediti perché portatori dei valori della grande civiltà giudaico-cristiana che deve essere salvata – non possiamo perdere – e quindi nel difenderci dobbiamo essere molto determinati perché il fine giustifica i mezzi. Per questo i diritti civili, il diritto internazionale, la verità e così via diventano tutti orpelli invocati dai vigliacchi: in guerra l’importante è vincere, non come si vince. E così via….
Il fotogramma
Tutta questa menzogna si fonda sull’essere aggrediti: sono gli altri che ci aggrediscono nella tranquillità delle nostre case. Dobbiamo difenderci per tutelare i nostri cari da queste arbitrarie violenze.
Per rendere plausibile questa tesi agli occhi dell’opinione pubblica, tutta la narrazione dell’aggressione si regge sulla scelta del foto- gramma da cui far partire il film e dal potere di imporre questa scelta all’immaginario collettivo.
Nel caso ucraino, l’allargamento ad Est della NATO negli ultimi 25 anni, il golpe di Piazza Maidan in cui le squadracce fasciste hanno defenestrato con il decisivo aiuto della CIA il legittimo governo ucraino, l’invio dell’esercito ucraino in Donbass per reprimere manu militari – producendo migliaia di morti – il dissenso di quelle popolazioni, sono semplicemente scomparsi. Nella narrazione ufficiale tutto quanto avvenuto prima del 24 febbraio 2022 non è mai accaduto e tutto è magicamente cominciato – come un fulmine a ciel sereno – con l’orribile invasione russa del sacro suolo ucraino.
La stessa cosa è avvenuta in Palestina: decenni di occupazione illegale dei territori palestinesi, decine di risoluzioni dell’ONU non rispettate, la costruzione di bantustan e la pratica dell’apartheid come in Sud Africa, la violenza quotidiana fatta di migliaia e migliaia di morti, l’arresto dei bambini, il boicottaggio di ogni accordo di pace da parte dei governi Israeliani, sono scomparsi. In un incredibile rovesciamento della realtà, per la narrazione mainstream, Israele è nella piena legalità e sono “quei pezzenti” di palestinesi che impediscono la pace con le loro aggressioni ai pacifici cittadini israeliani. Così, in questa narrazione, la pace regnava sovrana ed è stata barbaramente ed arbitrariamente interrotta l’8 ottobre dai terroristi di Hamas.
Affinché non ci siano equivoci, io condanno nel modo più netto tanto la scelta di guerra di Putin quanto le azioni criminali di Hamas ma anche un cieco si accorge che la scelta del fotogramma da cui far partire il film è funzionale unicamente a falsificare la realtà: a costruire una narrazione mitologica in grado di mettere Ucraina, Usa e Israele dalla parte dei buoni e gli altri dalla parte dei cattivi.
Non a caso, dopo aver imposto ai popoli occidentali la narrazione derivante dalla scelta del “fotogramma iniziale”, qualsiasi azione diventa lecita:
“Niente elettricità, niente cibo, niente benzina, niente acqua. Tutto chiuso. Combattiamo contro degli animali umani e agiamo di conseguenza”, ha detto il ministro della Difesa di Israele Yoav Gallant annunciando l’assedio totale di Gaza che dura da oltre due mesi. Parallelamente uno dei principali esponenti dell’esercito israeliano – un moderato – ha sostenuto: “Dopo tutto gravi epidemie nel sud della Striscia di Gaza ci porteranno più vicini alla vittoria e ridurranno il numero di feriti tra i soldati dell’esercito israeliano. Dobbiamo solo aspettare che le figlie dei leader di Hamas contraggano la ferita e siamo a posto“. L’auspicio è quindi che che le misure assunte contro la popolazione civile della striscia di Gaza producano epidemie e facciano strage di palestinesi, gli animali.
Queste due prese di posizione – i palestinesi sono bestie e confidiamo che contraggano epidemie che li sterminino – non fanno parte del lessico dei politici occidentali. Borrel si limita a dire che dobbiamo difendere l’Europa che è un giardino dal resto del mondo che è una giungla e i politici statunitensi che la missione civilizzatrice del loro paese è voluta direttamente da Dio e non può certo sottostare al diritto internazionale. Ci troviamo però nello stesso campo argomentativo in cui l’essere aggrediti legittima la nostra superiorità morale e quindi la nostra oscena impunità.
L’aggressione usata come scusa per ogni barbarie
Noi, i non meglio definiti occidentali – che comprendono anche giapponesi, sudcoreani, australiani – siamo minacciati dagli altri e ci dobbiamo difendere con ogni mezzo necessario. Questa ideologia motivazionale, propinata quotidianamente a reti unificate, abbandonando ogni idea universalista di umanità, giustifica l’aumento delle spese militari, i sacrifici di guerra, la disumanizzazione dei nemici e quindi il loro sterminio, se necessario.
Non sarà sfuggito a nessuno che questo orizzonte argomentativo somiglia non poco alla nostrana ideologia fascioleghista che propone di affondare i barconi dei migranti in mezzo al mediterraneo, di diffondere l’uso delle armi allargando a dismisura il “diritto di difesa” al fine di poter sparare a chiunque si avvicini a casa nostra. La costruzione mitologica dell’uomo bianco che deve difendere i propri valori – materiali ed immateriali – e la propria famiglia dall’aggressione barbara degli “altri”, quelli che vivono nella giungla cara a Borrel, è la struttura argomentativa con cui le élite occidentali cercano di arruolare i popoli occidentali nella guerra di civiltà. Si tratta a tutti gli effetti di un orizzonte imperialista e neocoloniale su cui le élite capitaliste legate agli Stati Uniti stanno cercando di plasmare un nuovo immaginario occidentale.
Il declino occidentale assume il volto militarista e neocoloniale
In questo quadro, la vicenda israeliana – di cui il popolo palestinese fa le spese – risulta meno episodica di quello che potrebbe apparire a primo acchito.
Le ragioni per cui lo Stato di Israele può impunemente violare qualunque norma del diritto internazionale godendo della piena protezione degli Stati Uniti, non è spiegabile solo in termini militari, economici o elettorali. È infatti evidente che lo stato di Israele costituisce un importantissimo avamposto militare USA in Medioriente, una specie di enorme portaerei. Così come Israele rappresenta in Medioriente una base logistica del sistema delle multinazionali occidentali. Ma questi elementi non spiegano da soli il comportamento degli States, che per garantire l’impunità ad Israele si inimicano larga parte del mondo a partire dai 2 miliardi di mussulmani. Mi pare poi del tutto infondata la leggenda sul peso elettorale e finanziario della lobby ebraica americana. Gli ebrei che vivono negli USA, hanno opinioni politiche e culturali assai differenziate tant’è che molte comunità ebraiche sono tra gli animatori delle proteste contro la politica dello Stato di Israele. Inoltre il loro peso numerico e finanziario è del tutto ingigantito dalle leggende. Negli Stati Uniti esiste una solida lobby filo israeliana ma è indistinguibile dai circoli reazionari conservatori ed in larga parte è composta da cristiani fondamentalisti.
La spiegazione dell’appoggio incondizionato degli USA a Israele riguarda non solo la convenienza dell’Occidente ma la sua essenza. A mio parere, lo Stato di Israele, con il complesso delle sue narrazioni fondative, assume sempre più il carattere di paradigma di cosa le élite capitalistiche vogliono far diventare l’Occidente: Un Occidente militarizzato in guerra permanente a difesa dei privilegi delle proprie élite, con la democrazia ridotta a un simulacro, che pratica l’apartheid interno e il colonialismo esterno, con un complesso di superiorità verso il resto del mondo in virtù della superiorità morale delle proprie radici giudaico-cristiane e con la legittimazione a far la guerra a chiunque per prevenire “l’aggressione dei barbari” (che è sempre in agguato). Questo mi pare l’avvenire che ci vogliono preparare le classi dominanti occidentali che governano un sistema capitalistico che non solo ha esaurito la sua spinta propulsiva ma che è destinato a perdere i propri privilegi nei confronti del resto del mondo.
Deve essere infatti chiaro che la base materiale di questa prospettiva politica e ideologica, è il declino degli USA, il cui potere unilaterale non ha più alcuna ragione materiale su cui appoggiarsi. Il neocolonialismo rabbioso a base militare che abbiamo descritto – e le sue narrazioni finalizzate a mantenere il consenso tra i propri sudditi – è il frutto della perdita di ogni giustificazione oggettiva alla rendita di posizione di cui godono oggi gli States a livello mondiale. Le élite statunitensi, di fronte alla difficoltà di riprodurre la valorizzazione del capitale e alla concreta prospettiva di perdere i propri enormi privilegi in un mondo non più unipolare, cercano di fermare la storia usando il loro potere militare, l’unico in cui ancora pensano di primeggiare. Questo militarismo esacerbato e le connesse ideologie reazionarie, non sono laproiezione deformata del potere ascendente di un nuovo ciclo imperialista ma la devastante eredità della decadenza dell’impero americano, che non vuole mollare la presa perché teme di implodere in una guerra civile interna. È il morto che afferra il vivo…
La vera e propria fondazione, dentro le guerre, di una nuova e rabbiosa narrazione occidentale, che giustifica ogni nefandezza in nome della superiorità dei nostri fini, mi pare essere l’elemento nuovo che viene esibito da questo capitalismo in crisi che produce barbarie. Un elemento in cui le forme concrete dello stato di Israele, lungi dall’essere un corpo estraneo costituiscono la linea di tendenza organica dello svuotamento della democrazia in direzione di una democrazia autoritaria o democratura imperialista che dir si voglia. La complice accondiscendenza occidentale alla dissoluzione del popolo palestinese del resto non è così tanto dissimile. dall’incondizionato appoggio dato nei decenni scorsi dall’occidente al governo ucraino nella guerra contro le popolazioni di lingua russa residenti nel Donbass….
Per battere la distopia che stanno realizzando, occorre innanzitutto decostruire l’immaginario che stanno distillando dalla guerra. Impedire che la guerra oltre a portare lutti e distruzione sia anche utilizzata per lobotomizzare i cervelli dei popoli occidentali è il nostro primo obiettivo.
Contrastare l’immaginario delle classi dominanti
In primo luogo si tratta di evitare le identificazioni che ci vengono proposte dalle classi dominanti e dai media mainstream da loro posseduti o controllati. Non vi è alcuna coincidenza di interessi tra le classi dominanti e i popoli occidentali, segnatamente europei. Le classi dominanti sfruttano le classi popolari occidentali ed ancora di più quelle del resto del mondo. Un punto di vista dei popoli, autonomo e contrapposto a quello delle élite, ci permette di vedere chiaramente che i nostri interessi sono quelli di avere una Europa indipendente dagli USA, fuori dalla NATO ed antiliberista, in un mondo multipolare fondato sulla cooperazione a tutti i livelli. Questa è la condizione affinché le diseguaglianze si riducano, sia possibile affrontare congiuntamente i grandi problemi aperti a partire da quello del cambio climatico, la guerra diventi un tabù.
Neutralizzare le identificazioni che ci vengono proposte dall’ideologia dominante – sia sul piano economico che culturale – è la condizioni per poterci riconoscere come esseri umani, sfruttati, che lottano per la propria e l’altrui liberazione. La riscoperta della lotta di classe nel suo elemento fondativo di lotta contro lo sfruttamento e di superamento dei ruoli sociali gerarchici, è il punto cardine per scardinare la logica della guerra, del razzismo, del nazionalismo, della guerra tra i poveri.
La sconfitta di queste identificazioni reazionarie, di queste “macchine mitologiche” – per usare la felice formula di Furio Jesi – poste al lavoro dalle élite capitalistiche, ci chiede però un grande salto di elaborazione. Noi oggi non siamo in grado di prospettare una compiuta alternativa culturale all’offensiva neocoloniale capitalistica. Molti sono i nodi su cui dobbiamo elaborare, dal rapporto tra classe individuo e comunità a quello tra giustizia sociale e giustizia ambientale, tra antropologia e cultura fino alla necessità di costruire un immaginario maschile radicalmente antipatriarcale. Non voglio qui fare l’elenco dei nodi aperti, di cui nel nostro piccolo cerchiamo di occuparci come rivista, ma semplicemente richiamare che grande deve essere l’elaborazione a cui dobbiamo dar vita per costruire una alternativa a questo neoimperialismo guerrafondaio prodotto dal capitalismo in crisi.
In secondo luogo, la lotta alle nostre classi dominanti ed il rifiuto di “arruolarsi” nei loro eserciti non significa per nulla arruolarci sotto le insegne di qualche altra classe dominante. Considero ovviamente positivamente lo sviluppo dei BRICS: sono la base materiale della messa in discussione dell’unipolarismo statunitense. È però del tutto evidente che il multipolarismo economico è solo una precondizione oggettiva di un mondo multipolare fondato sulla cooperazione e sulla democrazia. È necessario lo sviluppo di soggettività alternative, nella dialettica tra lotta di classe e lotta per la liberazione dei popoli, per trasformare le potenzialità in nuove possibilità. Non sarà lo scontro tra potenze a salvare il mondo e il “campismo” di per se non individua alcuna via di uscita: la soluzione dei problemi non è militare ma politica, culturale, sociale. Dobbiamo quindi rifiutare non solo l’arruolamento ma anche la semplificazione secondo cui vi sarebbero due squadre – l’Occidente e il resto del mondo – e si tratterebbe di stare con l’uno o con l’altro così come sono adesso. Il superamento dell’unipolarismo è un fatto grandemente positivo e apre dialetticamente uno spazio politico alle classi subalterne, ai popoli, senza arruolamenti forzosi o necessitati. Le élite occidentali vogliono convincerci che la contraddizione fondamentale sia tra l’occidente e il resto del mondo: non è vero. L’alternativa è tra questa casta di sfruttatori, i loro privilegi e la vita dell’umanità e del pianeta. La contraddizione non è tra i popoli ma tra classi dominanti e tutti i popoli. Per questo al tentativo di arruolarci in una gigantesca guerra tra i poveri mascherata da guerra di civiltà noi proponiamo una terza via che a partire dalla contestazione delle élite mondiali valorizzi il protagonismo dei popoli del sud come del nord del mondo.
Alcuni punti fermi
In questo quadro e nella drammaticità della situazione presente, in cui nulla di positivo si vede all’orizzonte, mi pare utile riassumere alcuni punti fermi di cui tener conto nella nostra azione.
- Ci impegniamo a costruire il più ampio movimento popolare a fianco del popolo palestinese e di condanna per il genocidio attuato dal governo Israeliano. Chiediamo il cessate il fuoco immediato e la costruzione di una tregua finalizzata alla soluzione del problema politico di garantire uno Stato al popolo palestinese. In una condizione in cui è sempre più evidente che le azioni dello stato Israeliano hanno reso pressoché impossibile fisicamente la costruzione di uno Stato palestinese, condividiamo la necessità indicata in vari articoli di questo numero di ragionare attorno alla non semplice creazione di una unica entità statale fondata sul confederalismo democratico.
- Chiediamo che l’Italia e l’Unione Europea riconoscano formalmente e ufficialmente lo Stato di Palestina.
- Ci impegniamo al pieno sostegno alla denuncia alla Corte Penale Internazionale per genocidio compiuto da Israele.
- Appoggiamo la campagna di boicottaggio BDS relativa ai prodotti derivanti dai territori occupati. La soluzione del dramma palestinese non è militare ma politico. Per questo solo la più ampia azione di mobilitazione internazionale contro le politiche del governo Israeliano e per il suo isolamento diplomatico ed economico possono aprire la strada ad una soluzione positiva della situazione attuale.
- Riteniamo che lo Stato di Israele abbia di- ritto a esistere non per qualche volontà di- vina o perché avesse ragione il sionismo o perché dopo la Shoah il popolo ebraico aveva diritto ad avere in Palestina il proprio stato. Lo Stato di Israele ha diritto di esiste- re perché esiste concretamente con un suo popolo. Questo non gli da alcun diritto di violare il diritto internazionale o di essere trattato con standard diversi da quello degli altri stati. Bollare come antisemita la critica alle politiche dello stato di Israele è un atto di totale disonestà intellettuale.
- Non pensiamo che esista coincidenza tra il popolo ebraico e lo stato di Israele. Il popolo dello Stato israeliano non è il popolo ebraico in quanto tale – ma una sua parte – e lo Stato israeliano non rappresenta il popolo ebraico.
- L’antisemitismo, che ha avuto il suo punto di massima barbarica espressione nel tentativo di sterminio del popolo ebraico con l’olocausto posto in essere dai governi nazifascisti, è per noi tabù e la lotta all’antisemitismo costitutiva di ogni prospettiva di civile convivenza umana.
- La Shoah non dà ad alcuno – ebreo o non ebreo, singolo od organizzato in comunità o in stato – la legittimità morale di sottoporre altre popolazioni a comportamenti inumani. La condanna dell’olocausto non può che rendere tabù ogni comportamento di disumanizzazione degli individui e di distruzione dell’identità di popolo, verso qualunque popolo venga commesso. Utilizzare l’Olocausto per giustificare moralmente comportamenti inumani nei confronti del popolo palestinese rappresenta un totale tradimento degli insegnamenti della Shoah.
- A partire dalla positiva acquisizione del multipolarismo e nel quadro di una ripresa del protagonismo popolare, riteniamo necessario porre il tema della riforma dell’ONU e di una Costituzione pacifista mondiale. Alla crisi dell’assetto internazionale attuale occorre rispondere in avanti e non indietro: perché il capitalismo non è in grado di dare risposte positive ai problemi dell’umanità e quindi tocca a noi avanzarle.
- Non è più rinviabile che la comunità internazionale assuma nei confronti dello stato di Israele comportamenti cogenti al fine di far rispettare le risoluzioni dell’ONU e a dare soluzione al diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese.