Genocidio a Gaza. La furia di Israele contro donne e bambini
Rania Hammad*
È genocidio.
È genocidio quello che si sta consumando a Gaza contro la popolazione palestinese, e 2/3 delle vittime sono donne e bambini. È una aggressione spietata contro i civili, contro le donne, i bambini, gli anziani, e contro gli uomini.
Non ci sono dubbi che si tratti di un crimine contro l’umanità, come è scritto nello Statuto di Roma all’articolo 6, che definisce il genocidio come l’“intento di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, religioso uccidendo membri del gruppo, mettendo a rischio l’integrità fisica e mentale di membri del gruppo o sottomettendo il gruppo a condizioni di esistenza che portano alla sua distruzione fisica totale o parziale”. Ci sono quindi tutti gli elementi di un genocidio, e il carnefice è lo Stato di Israele.
La “guerra” contro Gaza che è esplosa dopo il 7 ottobre non è una risposta all’attacco subito, e non è una risposta di autodifesa. Non si tratta di autodifesa perché lo Stato in questione è una forza occupante, cioè è l’aggressore, l’invasore. Dal punto di vista del diritto internazionale, è la popolazione palestinese ad avere il diritto all’autodifesa.
E il diritto di Israele a esistere non può essere il diritto di Israele di sterminare la popolazione palestinese.
E non è una guerra, perché una guerra si fa tra Stati e non tra uno Stato – tra i più armati al mondo – contro un gruppo armato all’interno di un’altra nazione, quella palestinese, tenuta sotto occupazione militare e sotto assedio. Gaza è un Territorio Occupato come stabilito dalla IV Convenzione di Ginevra, e Israele ha la responsabilità e il dovere di proteggere la popolazione civile del territorio occupato da loro. Invece i crimini commessi dimostrano l’intenzionalità di commettere un genocidio.
La storia non è cominciata il 7 ottobre. Nel 2008 Israele uccise 899 palestinesi (le vittime israeliani furono 33), nel 2019 uccise 1.066 (11 vittime israeliani), nel 2014 uccise 2.329 (88 le vittime israeliani) nel 2018, uccise 300 palestinesi (13 vittime israeliani) e da gennaio a ottobre del 2023, uccise 237 palestinesi (29 le vittime israeliane). Per poter comprendere realmente la dimensione della brutalità dell’occupazione, bisogna guardare ai dati ufficiali delle Nazioni Unite, dove si riscontra che dal 2008 fino ad agosto 2023, sono stati uccisi 6407 palestinesi e 308 israeliani (21 a 1). Questo dimostra che la popolazione palestinese resiste sulla propria terra, alla politica coloniale di insediamento.
Il 7 ottobre è stato usato come pretesto per lanciare una spedizione militare contro il popolo palestinese, e per portare avanti i piani di Israele di pulizia etnica.
La retorica genocida
La colonizzazione attraverso gli insediamenti, l’occupazione militare, l’assedio e l’apartheid della Palestina – Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme Est – e la discriminazione verso i cittadini palestinesi dentro Israele, non erano altro che le prime tappe di una politica mirata a indebolire i palestinesi per poter procedere con il progetto coloniale sionista ed espellere il popolo palestinese. Israele non ha mai nascosto le sue intenzioni e le ha dichiarate in chiari termini nel corso della sua storia, e in maniera ancora più esplicita con il governo attuale di estrema destra religiosa. Commettere un genocidio lento e crescente, e tentare di uccidere il più alto numero di palestinesi possibile, per poter conquistare e annettere più territorio.
La retorica genocida e la disumanizzazione nei confronti del popolo palestinese, comprese donne e bambini, da parte dei funzionari del governo israeliano e personaggi pubblici sono stati scioccanti e deplorevoli. I palestinesi sono stati definiti “figli delle tenebre”, “animali umani” e “serpenti”, e varie figure del governo hanno apertamente espresso il loro razzismo con grida di “morte ai palestinesi” e incitando a una seconda Nakba e ai pogrom nei villaggi palestinesi. Slogan diffusi nelle strade e sui social che incitano al massacro della popolazione palestinese e sostenendo i piani di espulsione forzata e l’annessione delle terre dei palestinesi.
Le dichiarazioni dei politici, sostenute purtroppo anche dalla maggioranza della popolazione israeliana, mostrano la volontà premeditata del governo di annientare il popolo palestinese, e svelano uno spaventoso livello di razzismo, odio, e disprezzo della vita dei palestinesi, come dimostrato dall’impunità degli attacchi indiscriminati contro i civili, contro le scuole, le moschee, le chiese e gli ospedali.
Il politico israeliano Benny Gantz lo aveva dichiarato nel 2019 di voler rendere il territorio di Gaza invivibile e inabitabile, e di voler far tornare quella terra all’età della pietra, con le guerre, la distruzione, e la morte. Quel genere di razzismo era da tempo legittimato nel dibattito pubblico israeliano.
Gaza era già invivibile
Gaza era già un luogo di grande sofferenza umana causata dalle politiche criminali di Israele, dopo 16 anni di assedio e 5 devastanti aggressioni. Gaza, era già un territorio sotto occupazione militare, illegale ai sensi del diritto internazionale: una forma di punizione collettiva e di segregazione, come l’ha definita lo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite. Le condizioni a cui è soggetta la gente di Gaza sono una aperta violazione del diritto umanitario e penale internazionale.
Le operazioni militari, dunque, si aggiungono ad un contesto di base già tragico e di illegalità, e le violazioni si sommano ad ulteriori violazioni, in una interminabile lunga lista di soprusi.
Per comprendere la portata della violenza israeliana su Gaza e le innumerevoli violazioni sul piano del diritto internazionale commesse da Israele contro gli abitanti, è importante chiarire che ci sono più di due milioni di individui che abitano in un’area di soli 365 chilometri quadrati. In altre parole, una densità abitativa tra le più elevate al mondo. Inoltre, i palestinesi di Gaza sono per la maggior parte palestinesi espulsi dalle loro case e terre nel corso della Nakba del 1948. Già profughi interni. Oggi Gaza, quella prigione a cielo aperto, è a tutti gli effetti un campo di concentramento.
Atrocità mai viste prima a Gaza
Dal 7 ottobre ad oggi, Gaza è stata teatro di una carneficina mai vista prima, con atti atroci e barbarie indescrivibili, efferatezze così scioccanti che alcuni funzionari dell’ONU hanno detto di non aver mai visto nulla del genere prima.
I pesanti bombardamenti -l’equivalente di due bombe nucleari- su un piccolo fazzoletto di terra densamente popolato, e l’utilizzo del fosforo bianco vietato dai trattati internazionali, hanno ucciso quasi 20.000 persone tra le quali quasi 8.000 bambini, e 4.000 donne con oltre 35.000 feriti e migliaia di dispersi. Feriti che non potranno essere curati per mancanza di corrente e strutture mediche, nonché medicinali.
Sono 22 gli ospedali distrutti, 55 le cliniche, e 46 le ambulanze. Uccise 210 tra medici e personale medico, e oltre 200 i feriti. Mentre sono stati uccisi 62 giornalisti, quelli che avrebbero dovuto informare, e che dovevano essere protetti e tutelati ai sensi del diritto internazionale. Gli unici che avrebbero potuto contrastare la narrazione israeliana e la disinformazione e fornire il contesto storico e politico combattendo la retorica disumanizzante dei palestinesi. L’informazione israeliana non è una fonte affidabile, non è indipendente né neutrale, ma ha l’interesse a usare la guerra mediatica a suo favore per poter perpetrare il genocidio e conseguentemente tentare il transfer dei palestinesi, un crimine contro l’umanità.
Le donne, le prime vittime
Le atrocità hanno colpito e traumatizzato in misura maggiore le donne. Su di loro l’impatto degli attacchi e del divieto israeliano di ingresso degli aiuti a Gaza hanno avuto una conseguenza pesantissima.
La situazione di Gaza non è assolutamente nuova, ma per molti aspetti è unica nel suo genere, perché oltre al conflitto attuale, già subiva le conseguenze dell’occupazione decennale di Israele, e un assedio che ha tenuto ostaggio per anni l’intera popolazione, in una situazione di estrema deprivazione materiale che colpisce in primo luogo le donne, le bambine e le ragazze.
L’assalto alla dignità e ai diritti delle donne palestinesi ha assunto dimensioni terrificanti e mai viste prima. Ogni ora vengono uccise due madri e Gaza è diventato il luogo più pericoloso al mondo per le donne e per i bambini. Le donne uccise in queste settimane di bombardamenti provengono da tutti i ceti sociali e sono giornaliste, personale medico, personale delle Nazioni Unite e membri di organizzazioni della società civile. Donne che da 75 anni contribuivano attivamente alle lotte contro il colonialismo, l’occupazione l’oppressione, la discriminazione e il militarismo, e attive nei movimenti delle donne storicamente centrali nella società palestinese. Chiedevano giustizia e il riconoscimento dei loro diritti, perché non numeri, né invisibili, ma donne straordinarie e coraggiose.
L’acqua come arma da guerra
L’acqua e il cibo sono usati come arma contro la popolazione palestinese, e il rischio per loro è quello di morire di fame, di sete e per disidratazione. La poca acqua disponibile è inquinata, a causa delle armi usate contro Gaza negli anni e per le fognature distrutte. Anche a causa della scarsa manutenzione della falda, dovuta all’embargo di Israele sulla Striscia, l’acqua era già da prima quasi del tutto contaminata, e meno del 4% dell’acqua era potabile, come dicono i dati della Oxfam. E, ciò nonostante, le mamme si trovano a dover mescolare il latte artificiale con acqua contaminata, quando la trovano.
Il dolore delle donne
A questo si aggiunge la tragica e devastante condizione delle madri che hanno perso più figli, o che hanno assistito a mutilazioni e ferite gravi o con figli dispersi o sotto le macerie, senza possibilità di estrarli o salvarli.
Ogni giorno, le donne partoriscono senza acqua, antidolorifici, anestesia per parti cesarei, elettricità per incubatrici o medicinali antidolore. È stato riportato che numerose donne siano morte durante o subito dopo il parto, e che per l’impossibilita di fermare le emorragie, alcune donne hanno dovuto subire l’asportazione dell’utero. Con più di 180 parti al giorno, il 15% di loro rischia di avere complicazioni legate alla gravidanza o al parto e avrà bisogno di ulteriori cure mediche che non saranno disponibili.
Si prevede che le morti materne aumenteranno, data la mancanza di accesso a cure adeguate. Alcune donne sono state e saranno costrette a partorire in rifugi, nelle loro case, per strada tra le macerie o in strutture sanitarie distrutte, dove le già precarie condizioni igienico-sanitarie stanno peggiorando e dove c’è il rischio di infezioni e complicazioni mediche di ogni genere. Inoltre, le strutture sanitarie dedicate alla maternità sono bersaglio dell’esercito israeliano, come abbiamo visto con gli attacchi mirati agli ospedali, come quello di Al-Ahli, dove sono morti alcuni neonati a causa della mancanza di corrente elettrica necessaria per il funzionamento delle incubatrici, e tutti i pazienti in terapia intensiva.
La furia genocida di Israele ha inoltre portato alla chiusura dell’unico ospedale oncologico per mancanza di carburante, lasciando senza cure 9.000 pazienti oncologici.
A causa della mancanza di servizi igienici e assorbenti, acqua e materiali necessarie per la cura della persona, le donne hanno subito un enorme trauma ed effetti negativi sulla loro salute e sul loro benessere. Un numero vastissimo di donne e ragazze ha dovuto fare ricorso alla pillola contracettiva per interrompere il ciclo mestruale a causa delle terribili circostanze di fuga e spostamento interno di massa, in mezzo ai bombardamenti e spesso a piedi tra edifici distrutti.
Il prezzo psicologico delle ostilità ha anche conseguenze dirette – e talvolta mortali – sulla salute riproduttiva, tra cui un aumento degli aborti spontanei, dei nati morti e delle nascite premature indotte dallo stress. Per non parlare della paura della morte costante, con l’incessante rumore degli aerei e dei bombardamenti e la distruzione totale dei propri quartieri e città.
Secondo l’OMS, ogni giorno a Gaza vengono uccisi o feriti oltre 400 bambini, ovvero uno ogni 10 minuti e queste atrocità rappresentano gravi attacchi alla salute e ai diritti riproduttivi, all’integrità fisica e alla dignità delle donne e dei loro figli. Tali violazioni sono proibite dalla Convenzione contro la tortura e dalle Convenzioni di Ginevra, poiché possono equivalere a torture e ad altre forme di maltrattamento. Sotto il fuoco, circondate dalla morte e con in corso una pulizia etnica e un genocidio, le madri palestinesi devono cercare di conciliare le proprie esigenze con le responsabilità di prendersi cura dei propri figli, molti dei quali sono colpiti da trauma psicologico forte e debilitante.
Appello delle donne palestinesi
È assordante l’indifferenza di molti femminismi occidentali che tacciono sulla pulizia etnica e contribuiscono a portare avanti una visione neocoloniale in cui le donne non occidentali sono deumanizzate e oppresse.
Di fronte a tutto questo, le donne palestinesi hanno fatto sentire le loro voci con un appello di tutte le associazioni: Porre fine a #GazaGenocide è una questione femminista, che si rivolge a tutte le donne del mondo chiedendo solidarietà e mobilitazione in tutte le forme possibili per mettere fine ai crimini di guerra e genocidio, e denunciandoli alla Corte Penale Internazionale.
* Rania Hammad scrittrice e attivista e membro del Global Network Question of Palestine della Organizzazione ARDD (Arab Renaissance for Democracy and Development).