Il materiale e l’immaginario. L’Occidente collettivo a guida Usa e il resto del mondo
Giorgio Riolo*
Una questione di metodo
In questo articolo si faranno alcune considerazioni sulle cause e su alcuni aspetti riguardanti il cosiddetto declino dell’Occidente collettivo.
Riprendendo la famosa affermazione del generale prussiano Carl von Clausewitz “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, diciamo che oggi per l’Occidente a guida Usa “la guerra è la continuazione della politica e dell’ideologia con altri mezzi”.
Un tempo si distinguevano le cause endogene e le cause esogene dei vari fenomeni. Importante distinzione da riprendere sicuramente. L’arroganza occidentale origina da una dinamica storica che ha visto europei (e poi statunitensi con l’anglosfera tutta) spadroneggiare intorno al pianeta, con il colonialismo e con l’imperialismo. Ritenendosi sempre superiori e in diritto di sfruttare e di opprimere popoli ritenuti inferiori. Intere civiltà e intere culture di grande valore sono state spazzate via dal cosiddetto “pericolo bianco”. Breve inciso. Israele è un pezzo d’Occidente piazzato 75 anni fa nella martoriata terra di Palestina. Senza aggiungere altro.
Le cose cominciano a cambiare quando all’interno dell’Occidente alcune dinamiche lo indeboliscono, nel proprio assetto di potere, nella struttura economica e sociale e nell’apparato ideologico. Non solo quindi economia e società, ma importante è la propria percezione, l’autocoscienza, il profilo della visione del mondo, il consenso interno, la legittimazione in definitiva. L’ideologia in poche parole. Entro le mura.
Fuori le mura dell’Occidente, le cause esogene. È la minaccia, la perdita di consenso e di legittimazione. Finito il campo socialista, oggi nella nuova guerra fredda, già divenuta guerra calda, rimangono Cina, Russia, Iran, Venezuela ecc. L’asse del male, gli stati canaglia. Rimangono oggi i Brics (con altri paesi, tra i quali la popolosa e ricca di risorse Indonesia, in procinto di aderire al consesso) e rimangono altri paesi non così disposti a obbedire. Sono antiegemonici, non antisistemici. Rimangono paesi nel sistema capitalistico mondiale, ma con una loro autonomia relativa.
Nei Forum Sociali Mondiali (Fsm) e nel movimento altermondialista si usava spesso la formula della “sottrazione del consenso” nei confronti dei dominanti mondiali che Fsm e movimenti riuscivano a determinare con la sola loro esistenza. La sottrazione del consenso messa in evidenza oggi, per esempio, dal fatto che le sanzioni Usa e occidentali alla Russia, a causa della guerra in Ucraina, non sono rispettate da molti paesi nel mondo e che nelle varie risoluzioni dell’Onu sul cessate il fuoco e sulla fine del massacro a Gaza gli Usa, l’anglosfera e Israele sono in netta minoranza.
Nell’articolo pubblicato in questo numero della rivista, Vijay Prashad dice che il blocco dominante oggi, il Nord Globale, “esercita il suo potere principalmente attraverso la forza militare e la gestione dell’informazione”. Le nuove guerre, le guerre in atto in Ucraina e in Palestina, rivelano tutto. Assumono il carattere decisivo di catalizzatore-rivelatore di come l’Occidente collettivo cerca di riprendere in mano e di regolare il mondo.
In questo contesto pertanto rimane lo strapotere militare, il ricorso alla guerra per rimettere in riga i riottosi e per dirottare le coscienze dai problemi mondiali urgenti, in primo luogo la crisi ecologico-climatica e la crisi sociale della povertà e della fame, in aumento non solo nelle periferie, ma anche nei centri capitalistici.
Le classi dominanti, i gruppi dirigenti, le oligarchie al potere non hanno soluzioni, non possono e non vogliono risolvere questi problemi, dal momento che le soluzioni vere implicherebbero sgradevoli trasformazioni radicali dell’assetto mondiale tali da sovvertire lo stato di cose. Tutto ciò malgrado la retorica, malgrado l’ipocrisia delle ricorrenti affermazioni occidentali di voler procedere nelle soluzioni, nella buona volontà nei vari consessi e vertici mondiali dell’Onu, delle agenzie legate all’Onu, delle Cop sui cambiamenti climatici ecc.
E in questa epoca c’è il salto, la novità della svolta del fondamentale braccio armato costituito dal sistema mediatico dominante. Totalmente al servizio, salvo le solite lodevoli eccezioni, della dinamica di cui si diceva prima.
Asciugando e distillando, semplificando paurosamente il discorso, azzardiamo l’affermazione, come solo punto di riferimento, che l’Occidente collettivo in questo tornante storico si sta riducendo alla sola Nato e che l’Europa si riassume nella sola Commissione Europea, alla cui guida c’è la guerrafondaia Ursula von der Leyen. Una sottrazione di sovranità netta e inedita per i singoli paesi interessati, compensata cosmeticamente dalla ributtante retorica e dalla ricorrente turlupinatura sui valori democratici, sui valori occidentali, sui valori europei, sulla civiltà occidentale ecc.
Un poco di storia
Il corso storico del capitalismo e della modernizzazione capitalistica presenta fasi, epoche, cicli, transizioni, a misura dei cambiamenti nella morfologia sociale, nei modi di accumulazione, nell’organizzazione produttiva, nelle tecnologie, nella dinamica strutturale dei rapporti tra centri e periferie del mondo, nell’ideologia, nella politica di potenza ecc.
Uno di questi caratteri che distingue le fasi è anche quale capitalismo nazionale, quale stato-nazione in una data epoca detiene la famosa “egemonia”. Egemonia relativa, è sempre da intendersi. Mai assoluta.
Tralasciando la fase storica dei prodromi del capitalismo con le città-stato mercantili (e proto-manifatturiere) italiane, fiamminghe ecc., e facendo astrazione dalla pretesa “egemonia olandese” tra Pace di Vestfalia del 1648 e la metà del Settecento, le egemonie classiche riconosciute sono l’egemonia britannica per tutto l’Ottocento e l’egemonia Usa dal 1945 in avanti.
L’egemonia è da intendersi anche in senso gramsciano. Non solo come dimensione economica (potenza industriale, capacità di innovazione e di accumulazione, locomotiva trainante il resto del mondo capitalistico) e come dimensione militare, ma anche, allo stesso grado, egemonia come dimensione politica e culturale, come dimensione ideologica propriamente. Il venire a costituire lo stato-nazione egemone, insomma, un modello per il resto del mondo, capace di avere consenso, di avere legittimazione.
L’egemonia e il consenso relativo conseguiti per mezzo della “mano invisibile” del mercato, delle merci, delle tecnologie, dei consumi, e poi dei modelli culturali, degli stili di vita e di quel apparato che chiamiamo ideologico e, al contempo, per mezzo del “pugno visibile” della forza, delle armi e della capacità militare quando la mano invisibile non è più sufficiente per mantenere l’ordine nel mondo.
L’Occidente si identifica con nascita, ascesa, sviluppo del capitalismo. Con annessi caratteri decisivi, esistenziali, rappresentati dal colonialismo e dall’imperialismo. E con annessa “modernizzazione”, altrettanto decisiva. La modernità come sistema filosofico, culturale, antropologico, politico. Tutto ciò si compendia nella marcia trionfale, quasi destinale, dell’Europa e poi di quel concentrato, distillato di Europa rappresentato dagli Stati Uniti (Frantz Fanon). Modernizzazione e marcia trionfale, ricordiamolo sempre, a spese delle periferie del mondo.
La crisi, le crisi
Samir Amin fa coincidere l’inizio della crisi di questo stato di cose con il 1880. Da una parte, con l’acuirsi delle guerre inter-imperialistiche e inter-capitalistiche, per la spartizione delle colonie e delle risorse, per il dominio nel mondo. In concomitanza con la prima grande svolta della crisi capitalistica detta “grande depressione” del 1873-1896 e con la seconda rivoluzione industriale. Con l’avvio della fase classica dell’imperialismo e con l’emergere, come potenze capitalistiche che sfidano l’egemonia britannica, della Germania e degli Stati Uniti. Il punto terminale di tali sviluppi è la carneficina della prima guerra mondiale.
Ma Amin richiama l’attenzione soprattutto all’altra parte di tale processo, di tale svolta. Si tratta del primo “risveglio del Sud”. I primi movimenti nazionalistici in Egitto e la nascita del Congresso Nazionale Indiano a fine Ottocento segnano l’avvio di questo processo. L’accelerazione venne data dalla vittoria della rivoluzione bolscevica e la costituzione della Terza Internazionale, entrambe ispiratrici della rivolta dei popoli coloniali e dei primi movimenti di liberazione nazionale.
È il potente processo della decolonizzazione che culminerà, dopo la seconda guerra mondiale, con la Cina e l’India indipendenti e con la Conferenza di Bandung (1955) e con il Movimento dei Paesi Non-Allineati (1961). La vittoria vietnamita sui francesi a Dien Bien Phu nel 1954 costituisce la svolta, è una data periodizzante. Il Terzo Mondo è ormai una realtà, è un progetto, costituisce un solido terzo polo.
L’egemonia occidentale capitalistica è sfidata sicuramente dalla minaccia rappresentata dal campo socialista, di tipo sovietico e di tipo cinese. Ma a questo punto a mettere molto in crisi tale egemonia sono i movimenti di liberazione nazionale, è questo potente processo rappresentato dalla decolonizzazione. Non solo perché il Terzo Mondo è luogo di estrazione delle risorse necessarie allo sviluppo dei centri capitalistici e dei sovrapprofitti colonialistici e imperialistici, ma anche perché molto consenso e molta legittimazione all’Occidente sviluppato provenivano proprio dalle periferie.
Dopo il crollo del socialismo reale e con la corrispondente fine dei movimenti di liberazione nazionale e dei progetti nazionali e popolari nelle periferie, dai primi anni Novanta in avanti, si è assistito a una sorta di ubriacatura con il neoliberismo sfrenato e illimitato, con il dominio unipolare, con guerre non provocate (prima guerra del Golfo, Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia ecc.), con l’affermazione definitiva dell’ideologia del postmoderno e della individualizzazione assoluta narcisistica, con l’eterno presente e con la cancellazione del futuro e della speranza ecc. Dinamiche queste che alla fine hanno diminuito il consenso e la legittimazione, hanno finito paradossalmente per indebolire l’Occidente dall’interno. Per troppa ingordigia e per troppa sicumera. Per arroganza manifesta.
Tuttavia un fattore decisivo esterno è l’emergere di potenze, economiche e non, che sfidano il dominio Usa. In primo luogo è la Cina la sfida seria, come stato-nazione in grado di contendere l’egemonia Usa. Ma anche la Russia di Putin è venuta a costituire un problema serio.
Dopo la fine ingloriosa dell’Urss e dopo l’umiliazione dei servili dieci anni di Eltsin (1991-2000), la Russia di Putin ha posto il limite della linea rossa oltre la quale non andare. Nell’espansione della Nato a Est, il limite è stato posto in Ucraina in primo luogo, ma anche nella Georgia caucasica, così come era stato dichiarato dalla Nato nel vertice di Bucarest nel 2008.
Nel suo discorso alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco nel 2007, Putin recisamente disse che un mondo unipolare non andava per niente bene. Poi il golpe di Piazza Maidan a Kiev del 2014 e tutto ciò che ne è seguito.
Molte sono le dichiarazioni di esponenti dell’establishment Usa negli anni scorsi, ma quella che può riassumere la visione da arrogante dominatore e da tipico cow boy è quella del segretario alla difesa dell’amministrazione Trump James Mattis. Per non perdere il primato, gli Usa contro Cina, Russia, Iran ecc. debbono usare ogni mezzo “per metterli in ginocchio”. Così è, letteralmente.
Il centro dell’Impero
La volontà di perpetuare il dominio dell’Occidente collettivo a guida Usa si scontra anche con la dura realtà interna. Non solo con la dinamica propriamente economica. Il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione sono due indici importanti per capire il declino nei centri capitalistici.
Inoltre, per rimanere nei soli Stati Uniti, è in corso il calo della speranza di vita. Nel 2019 la speranza di vita era di 79 anni, in soli tre anni, nel 2022, questa è scesa a 76 anni. I migranti e i loro nati tengono negli Usa la demografia in equilibrio. Altra cosa è invece il preoccupante calo demografico in Europa, in Giappone, nel resto dell’Occidente. Oltre al progressivo invecchiamento della popolazione.
Altri indici che rivelano. Negli Usa il 30% circa della popolazione soffre di varie forme di depressione. Il 20% è alle prese con le droghe e con l’alcolismo. Le nozioni di futuro e di speranza sono importanti per gli esseri umani, occidentali e non.
Il seguente dato non è per niente peregrino. Ci fornisce uno squarcio rivelatore dell’orizzonte che si profila. In un sondaggio rivolto a molti esponenti dello Ipcc, il gruppo di scienziati legato all’Onu sul cambiamento climatico, il 77% di loro ritiene che così proseguendo nel 2100 la temperatura media al suolo nel pianeta si innalzerà a più di 2,5 gradi centigradi rispetto all’era preindustriale. Il limite posto alla Cop di Parigi 2015 era di 1,5 gradi.
Peter Kalmus, uno scienziato del clima della Nasa, esponente dello stesso Ipcc, nel deprecare che politici e dirigenti delle multinazionali siano solo interessati “al proprio potere personale e alla propria ricchezza”, dice perentoriamente “il capitalismo tende a mettere ai posti di potere i peggiori di noi”. Kalmus non è un pericoloso sovversivo.
La guerra pertanto in ultima analisi diventa salvifica per il dominio unipolare Usa e Nato. Recentemente il Congresso e il Senato Usa hanno stanziato l’enorme cifra di 90 miliardi di dollari così suddivisi: 65 miliardi all’Ucraina per continuare la guerra, 17 miliardi alla sempre alleata Israele e 8 miliardi a Taiwan. Certo, molti di questi soldi rimangono negli Usa come entrate e come doviziosi profitti del suo vorace complesso militare-industriale. Ma il messaggio è chiaro. Adesso mettiamo a posto la Russia, e anche il Medioriente, ma il punto terminale è sempre la Cina.
Cina che è ormai accerchiata da molte basi militari Usa, delle più di 800 basi intorno al mondo, e che deve fare i conti con la “Nato globale” e con l’alleanza del Pacifico Aukus (Usa, Regno Unito, Australia) e adesso con il coinvolgimento della Corea del Sud, del Giappone e delle Filippine, semicolonia Usa.
La sinistra, le sinistre
In questo contesto molte sinistre, moderate e non, di varie tendenze mondiali soffrono. Si veda solo l’esempio della Germania. Caso patologico in sé questo paese, completamente messo in ginocchio dagli Usa con la guerra in Ucraina, con l’atto terroristico sul gasdotto North Stream, con la fine del gas e del petrolio russi a prezzi stracciati e con le sanzioni alla Russia che retroagiscono soprattutto in Europa, Germania in testa. Qui non solo la bellicista coalizione cosiddetta “rosso-verde”, Spd e Verdi, al governo, con i due campioni guerrafondai di questa coalizione Olaf Scholz e Annalena Baerbock, ma anche la sinistra alternativa Die Linke in forte sofferenza per le sue posizioni sulla guerra in Ucraina e che ha subito una scissione di una certa consistenza proprio sulla guerra, sulla Nato ecc.
Agisce in questa crisi la lunga durata nelle sinistre occidentali del non aver fatto fino in fondo i conti con la visione eurocentrica, occidentalocentrica. E in definitiva con la visione della modernizzazione, del progresso, delle magnifiche sorti e progressive della civiltà capitalistica, della “superiorità bianca” ecc.
Dicevo in un articolo di due anni fa che lo scenario che si profila davanti a noi è uno scenario da “sonnambuli” (Sleepwalkers è il titolo molto efficace del libro dello storico Christopher Clark sul processo storico che ha condotto alla tragedia della prima guerra mondiale).
Atti, passi, diversioni, decisioni ecc. le quali oggi ci appaiono staccate, a sé stanti, non riconducibili a un disegno unificante, ma che nella prospettiva storica potrebbero rivelarsi pezzi di un processo che ha condotto a un esito catastrofico. La famosa “terza guerra mondiale a pezzi” o la “guerra ibrida”, come si dice adesso.
Conclusione
L’Occidente è certamente in declino. Ma le forze antisistema in questa parte del mondo sono in grande difficoltà. Sono frammentate, come frammentate e disorientate sono le classi sociali di riferimento, alle prese con una morfologia sociale completamente cambiata rispetto al passato. Alle prese, solo per fare un esempio importante, con la guerra tra poveri con i migranti, sempre in aumento, in un pianeta ineguale e già in presenza con i cosiddetti “migranti del clima”.
Da qui occorre partire. C’è sempre una via d’uscita, la storia non è finita, c’è sempre un orizzonte, anche al tempo delle guerre, come ci insegna l’esperienza storica. Hic Rhodus, hic salta, si diceva un tempo. Tra ottimismo storico e pessimismo esistenziale esiste sempre un tertium. Non è la terza via, ma è la determinazione a proseguire nel compito della costruzione dell’alternativa alla guerra, dell’alternativa a questo stato del mondo, irrimediabilmente diviso tra centri e periferie, tra Nord Globale e Sud Globale.
*Giorgio Riolo, militante della sinistra alternativa italiana, si è impegnato nel lavoro culturale e nella formazione della cultura politica. Ha collaborato con Samir Amin e François Houtart nel Forum Mondiale delle Alternative e pertanto attivo nel movimento altermondialista e nei Forum Sociali Mondiali, da Porto Alegre 2001 in avanti.