Israele, una terra senza popolo, per un popolo senza terra. Il Nishul dei palestinesi
Marcella Delle Donne*
Premessa
I due termini terra e popolo hanno avuto e hanno una importanza fondamentale nel validare Yishuv (insediamento) degli ebrei in Palestina e la formazione dello Stato di Israele, così come il rifiuto ebraico e la volontà di sradicamento (Nishul) dei palestinesi dalla Palestina. La concezione politica nel XIX e nel XX secolo (e ancora presente) riteneva che i palestinesi non costituissero un popolo, per cui non potevano rivendicare un territorio come “Possesso”.
Idea britannica della “Restaurazione” di Israele
Intorno alla metà dell’800 nasceva all’interno del Governo britannico, l’idea di “restaurare” la sovranità degli ebrei nella loro antica “patria”. Questa idea si fece strada dopo che nel 1831 gli Ottomani furono cacciati dalla Grande Siria (che comprendeva la Palestina).
Gli Ottomani furono vinti prima dagli egiziani, poi dagli inglesi; i quali, preoccupati della crescente potenza militare egiziana, e del controllo egiziano dello Stretto di Suez, “costrinsero” militarmente gli egiziani a lasciare la Grande Siria. La situazione territoriale che ne scaturiva poneva alla Gran Bretagna di chi avrebbe governato il Levante, in accordo con gli interessi e le modalità “civili” britanniche; nel senso della formazione di uno Stato nazionale di tipo occidentale. Di fatto, gli ebrei, a cui era diretta l’esortazione di tornare in Palestina, erano ebrei ashkenaziti di origine e cultura europea, antesignani della religione cristiana.
Terra e Popolo
I primi a coniare la frase “A land without people, for a people without a land”, furono gli ecclesiastici, conservatori sionisti inglesi, appartenenti al movimento politico religioso. Il movimento propugnava la “restaurazione” del regno ebraico in Palestina e il ritorno del popolo ebraico nella Terra Santa. Così, il reverendo Alexander Keith1, inorridito per i pogrom russi contro gli ebrei, formulò per primo la frase nel 1843. Di fatto, nella concezione politica britannica dell’epoca, la Palestina era considerata “un paese senza nazione (da intendersi popolo) che aveva bisogno di una nazione (popolo) senza paese”. Secondo Adam Garfinkle, ciò che stavano dicendo: “Keith Shaftesbury, Blackstone, Stoddard e gli altri cristiani dell’800, che usavano questa frase, era che la Terra Santa, non fosse la sede di una nazione, nel modo in cui il Giappone è la terra dei Giapponesi e la Danimarca è la terra dei danesi. Gli abitanti cristiani e musulmani di lingua araba della Terra Santa, non sembravano, agli occhi degli europei e degli americani di quell’epoca, costituire un popolo o una nazione.” 2
In tal senso è importante cogliere il significato della frase “una terra senza popolo per un popolo senza terra”. Nella lingua inglese, l’omissione dell’articolo “un” davanti alla parola popolo (nella prima parte della frase), determina il significato di popolo da intendersi come gente, congerie di persone, le quali non rappresentano una comunità politica, né sono soggetti di un diritto costitutivo come popolo che ne legittimi il possesso del territorio.3 Con questa accezione, John Lawson Stoddard nel 1887 esortava gli ebrei a ricongiungersi nella terra di Abramo: “Siate uniti. Realizzate i sogni dei vostri antichi patriarchi. Tornate alla terra di Abramo”4, dove terra di Abramo indica un’appartenenza territoriale e la concezione di un possesso del territorio di origine storica e insieme biblica, cioè data da Dio, quindi sacra ed eterna. Lo storico Gudrun Kramer scrive che la frase era un’argomentazione politica che molti presero erroneamente per un’argomentazione demografica: “Quello che significava non era che non ci fossero persone in Palestina, piuttosto, significava che le persone che vivevano in Palestina non fossero ‘un’ popolo5” con una storia, una cultura e una legittima rivendicazione all’autodeterminazione nazionale, come il popolo ebraico… La Palestina conteneva delle persone, ma non un popolo. Steven Poole, in un libro sull’uso del linguaggio come arma in politica, spiega la frase in questo modo: “La rivendicazione specifica non era quella palesemente falsa che il territorio fosse spopolato, né che coloro che vivevano là non fossero umani, ma che non costituissero un popolo, in altre parole, si sosteneva che non avessero nessuna concezione dello status di nazione nel senso occidentale moderno”.6 In tal senso il popolo ebraico e lo Stato nazione corrispondenti avrebbero rappresentato, nella prospettiva britannica, un’estensione dell’organizzazione geopolitica occidentale, con cui intendersi in senso economico, politico, culturale, in termini di relazioni e interessi reciproci nella gestione dello scacchiere mediorientale arabo-musulmano.
La concezione sionista di popolo
Da parte dei sionisti ebrei, che arrivarono più tardi all’uso della frase, si ebbero due interpretazioni, una che definiva la terra di Palestina priva di abitanti “without people”; l’altra, politicamente più significativa, che interpretava la frase partendo dal presupposto per cui un popolo è definito come nazione. Lo storico Garfinkle chiarisce: “Gli ebrei sono una nazione senza Stato, mentre la loro patria ancestrale in Palestina, non è la sede di alcuna nazione”.7 Israel Zangwill scrisse in una accezione che mostrava un atteggiamento vicino alle teorie sulla razza, in vigore nel diciottesimo secolo: “La Palestina ha solo una piccola popolazione di arabi e di tribù beduine vagabonde, senza legge e ricattatrici… Restituiamo il paese senza popolo a un popolo senza paese…Perché abbiamo qualcosa da dare oltre che da prendere. Possiamo spazzare via il ricattatore, che sia un pascià o un beduino. Possiamo far sbocciare il deserto come una rosa e costruire nel cuore del mondo una civiltà che possa essere mediatrice tra Oriente e Occidente.8 Come si percepisce, il discorso di Israel Zangwill si pone in sintonia con l’obiettivo espresso dai sionisti cristiani britannici, cioè quella di realizzare una presenza occidentale all’interno del Medio Oriente.
Il teorico Tamar Meisels ritiene che lo slogan esprima rivendicazioni territoriali, basate sull’efficienza di matrice lockiana, in cui gli Stati nazione hanno diritto al territorio sulla base del fatto che, potendo governare e sostenere un gran numero di abitanti più di quanto possano sostenere i popoli aborigeni (leggi palestinesi), conferisca loro un diritto di possesso”.9
L’ebrea sionista Anita Shafira riteneva che la frase contenesse: “Una legittimazione della rivendicazione ebraica della terra che sopprimeva qualsiasi senso di disagio, che un rivale di questa rivendicazione potesse mostrare”.10
Interessante la diversa valutazione della presenza di popolazione in Palestina da parte di Zangwill, il quale in un primo momento riteneva la Palestina semidisabitata (without people). Rendendosi conto della densità della popolazione araba in Palestina ebbe a dire nel 1916: “Se desiderate dare un paese a un popolo senza paese è una sciocchezza assoluta consentire che sia il paese di due popoli. Questo può solo causare guai. Gli ebrei soffriranno e così i loro vicini. Delle due l’una: deve essere trovato un luogo o per gli ebrei o per i loro vicini”.11
Un focolare nazionale per il popolo ebraico
Nel diciannovesimo secolo vivevano in Palestina circa 20 mila ebrei (giunti in Palestina a partire dal 1800) residenti nei centri religiosi ebraici di Hebron e Safed. Dopo la Prima guerra mondiale, in seguito alla sconfitta dell’Impero Ottomano, la Palestina venne affidata nel 1917 al protettorato Britannico che durò fino al 1948. In questo periodo, con l’aumento dell’immigrazione ebraica, si susseguirono sanguinari attentati contro i britannici da parte dei sionisti e si moltiplicarono gli scontri con i palestinesi, mobilitatisi per la sottrazione delle loro terre. 12
La pressione dei sionisti nei confronti della presenza britannica in Palestina fu continua e incalzante, sì che Londra, tramite il segretario degli affari esteri James Balfour si impegnò con una lettera inviata a Lionel Rotschild a mettere a disposizione del movimento sionista, in caso di vittoria sull’Impero Ottomano, dei terreni in Palestina per costruire un focolare nazionale ebraico. Il documento che portava il nome di Balfour, recitava nella dichiarazione: “Il Governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche in Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni”.13
L’idea del focolare nazionale ebraico aprì la strada a un insediamento ebraico in Palestina in vista della costituzione dello Stato di Israele.
Il movimento sionista condusse un’estesa campagna per l’immigrazione degli ebrei in Palestina, immigrazione che innescò il conflitto tra arabi ed ebrei. Il conflitto si inseriva nel quadro di un antagonismo tra l’Yishuw e la comunità araba di Palestina.14
Yishuw: insediamento ebraico esclusivo. Rivolta delle popolazioni palestinesi
Per gli ebrei immigrati in Palestina, si trattava di organizzare un insediamento con le caratteristiche insediative degli ebrei aschenaziti, cioè di provenienza occidentale. Lo spazio dell’insediamento considerato possesso della comunità ebraica che vi si insediava, veniva realizzato con strutture, infrastrutture, servizi, modalità operative nell’industria e nell’agricoltura, specifiche di una società che ne reclamava il diritto di possesso. I palestinesi, organizzati in una società agricola pastorale in un contesto culturale islamico turco-arabo venivano esclusi. È questo l’inizio del processo di sradicamento dei palestinesi dai propri villaggi che ha innescato il conflitto arabo-ebraico che si protrae nel tempo fino ai nostri giorni.
Rivolte dei palestinesi per la sottrazione dei territori
Al di là della Prima guerra mondiale, la crescente immigrazione di ebrei che ambivano a fondare lo Stato ebraico in Palestina suscitò la rivolta dei dirigenti arabi che si riconoscevano negli ideali del panarabismo. Le rivolte iniziarono dai moti del 1920 e continuarono nel 1929, fino alla Grande Rivolta del 1936-39, condotta dai palestinesi contro l’invasione ebraica e la presenza britannica in Palestina. La repressione britannica fu sanguinosa, così come violenta fu la reazione delle organizzazioni sioniste.
Pesanti furono le perdite, 5000 morti tra i palestinesi, 500 tra i contendenti ebrei. Tuttavia, i britannici, per sedare il contenzioso, emisero una legge tradotta nel Libro Bianco del 1939, per contenere l’immigrazione sionista. Tuttavia, come risultato della Grande Rivolta, le organizzazioni paramilitari sioniste si rafforzarono, mentre i capi palestinesi, responsabili della rivolta, furono arrestati o costretti all’esilio.15
Formazione e obiettivi degli apparati paramilitari sionisti
Nell’intenzione di colpire i mandatari britannici, e controllare, sedare, estirpare il malcontento e le rivolte palestinesi, i sionisti organizzarono due forze paramilitari sioniste, l’Irgun di orientamento estremista di destra, per colpire e smobilitare i mandatari britannici della Palestina, l’Haganah per intervenire nei confronti degli attacchi palestinesi.
Le organizzazioni paramilitari sioniste, come l’Irgun capitanata da Menachen Begin, rifiutarono l’impostazione limitativa dei mandatari britannici all’ingresso dei rifugiati ebrei in Palestina. Per questo si susseguirono le aggressioni ai britannici sia militari che civili da parte dell’Irgun, mentre l’Haganah, gestita da David Ben Gurion, si occupava prevalentemente di sedare militarmente gli scontri con i palestinesi.
Dal ’41 al ’43 l’Irgun si astenne dagli attacchi britannici e operò con gli alleati contro le forze naziste.
Le ostilità contro i britannici ripresero nel ’44 con attacchi terroristici contro le autorità britanniche e interventi contro le forze arabo palestinesi. Gli attacchi ai britannici giunsero dall’Irgun nel cuore dell’Europa, insieme all’Haganah. Attacchi che portarono alla distruzione dell’ambasciata britannica a Roma Capitale, totalmente distrutta.16
Piano ONU: ripartizione discriminatoria della Palestina in due Stati
Nel Febbraio 1947 i britannici annunciarono di rinunciare al Mandato sulla Palestina. Il 29 Novembre 1947 l’ONU votò un piano di riparazione della Palestina in due Stati. La popolazione ebraica contava circa 608 mila persone, quella araba 1 milione 237 mila persone. Nonostante la popolazione araba fosse più del doppio della popolazione ebraica, venne assegnato allo Stato israeliano il 56% del territorio palestinese, quella parte che comprendeva le principali fonti idriche della regione. Di più, la spartizione squilibrata del territorio a favore degli ebrei, impediva all’istituendo Stato palestinese gli sbocchi sul Mar Rosso. Le principali organizzazioni sioniste accettarono la proposta. I palestinesi, vista la disparità di trattamento, rifiutarono la spartizione, rifiuto che coinvolse i paesi arabi, i quali fecero ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia, ma il ricorso venne respinto.
“Trasferimento” di popolazioni palestinesi costrette all’esodo
Con il piano di ripartizione ONU, l’istituendo Stato di Israele si ritrovava in una situazione demografica paradossale, un ossimoro nel rapporto maggioranza ebraica, minoranza palestinese. La minoranza, di fatto, aveva una popolazione che era più del doppio della popolazione israeliana che rappresentava la maggioranza. Per questo Israele ritenne che fosse necessario un piano di espulsione dei palestinesi dalla Palestina. In tal senso, esisteva tra le autorità sioniste e britanniche, già prima della guerra, la convinzione della necessità di procedere a “trasferimenti di popolazioni”, laddove la Palestina mandataria fosse stata divisa in uno Stato ebraico e in uno Stato palestinese.
All’indomani del voto ONU iniziò la guerra civile del 1947-48 nella Palestina mandataria tra la comunità ebraica e la comunità palestinese. Il caos che si generò in seguito all’abbandono graduale dei pubblici servizi, all’insicurezza e alla scomparsa dello Stato di diritto, per l’abbandono britannico, generò il panico tra le classi agiate palestinesi che iniziarono il primo esodo dalle città della Palestina. Esodo che comportò un ulteriore disagio con la chiusura delle scuole, degli ospedali, delle cliniche, dei commerci, generando disoccupazione e impoverimento tra i palestinesi.
A partire dal Dicembre del 1947 iniziò l’esodo rurale, in seguito agli attacchi di rappresaglia dell’Haganah e alle intimidazioni delle truppe dell’Irgun, le quali spingevano all’esodo. Numerose comunità palestinesi delle aree rurali circondate ed espulse dalle unità dell’Haganah furono costrette all’esodo.
La costituzione dello Stato di Israele
Il 14 Maggio 1948 l’Agenzia Ebraica dichiarò unilateralmente l’indipendenza dello Stato di Israele. Nella Dichiarazione di Indipendenza dello Stato di Israele si legge: “Israele promuoverà lo sviluppo del paese a beneficio di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sui valori di libertà, giustizia e pace come annunciarono i profeti, assicurerà completa uguaglianza (…) dei diritti sociali e politici di tutti i suoi abitanti, indipendentemente da religione, razza o sesso; garantirà libertà di religione, coscienza e lingua, educazione e cultura; tutelerà i sacri luoghi di tutte le religioni”.
Nella stessa data della Dichiarazione di Indipendenza, Ben Gurion, futuro Primo Ministro israeliano, dichiarava all’esecutivo dell’Agenzia Ebraica: “Sono favorevole al trasferimento (nishul) dei palestinesi, non ci vedo nulla di immorale”.
Il 15 Maggio, dopo il ritiro britannico, il conflitto civile si trasformò in una guerra fra Israele e gli stati vicini: Siria, Egitto, Iraq, Giordania. Durante la guerra uno degli episodi più gravi fu causato dall’azione dell’Irgun dei cui vertici faceva parte Menachen Begin, futuro Primo Ministro israeliano. Il 9 aprile 1948 i membri dell’organizzazione paramilitare Irgun massacrarono la popolazione della comunità di Deir Yassin sulla strada per Gerusalemme, con l’alibi di sgomberare la via verso la città di Gerusalemme.17
Il piano Dalet: Nakba del popolo palestinese
Il Piano Dalet ha avuto diversi mesi di elaborazione e terminò il 10 Marzo 1948, quando la dirigenza sionista ebraica non prevedevano ancora l’esplosione della guerra con gli Stati arabi vicini.
L’obiettivo del Piano era funzionale al “trasferimento” dei palestinesi e a organizzare interventi per evitare il ripetersi degli incidenti prodotti dalla Grande Rivolta araba del 1936-39. Il Piano aveva come obiettivo anche la difesa nei confronti dell’Esercito Arabo di Liberazione. Di fatto, si trattava di un Piano di soppressione, espulsione delle popolazioni palestinesi, della distruzione di interi villaggi e città palestinesi in funzione dell’espansione del territorio ebraico. Non è un caso che Israele, nell’obiettivo di aumentare lo spazio territoriale nazionale, non abbia mai definito i suoi confini.18
Il piano redatto dai militari assegnava i compiti di intervento alle diverse brigate dell’Irgun:
1. Rafforzamento del sistema difensivo fisso, concepito per difendere le zone (ebraiche);
2. Consolidamento dell’apparato di difesa;
3. Dispiegamento nelle principali città;
4. Controllo delle principali arterie nazionali di trasporto;
5. Accerchiamento delle città nemiche (palestinesi);
6. Occupazione e controllo delle posizioni nemiche;
7. Contrattacchi all’interno e all’esterno delle frontiere del Paese (ebraico).
Nel capitolo che descrive il dispiegamento nelle principali città si legge: “Accerchiamento del settore municipale centrale arabo e al suo isolamento delle vie d’accesso come pure al blocco dei servizi essenziali: acqua, elettricità, carburante e quant’altro necessario alla popolazione, nel modo più completo”.
Per quanto riguarda le popolazioni rurali dei villaggi, nella sezione 3B del Piano si enumera il trattamento per le popolazioni “Distruzione dei villaggi (appiccarvi il fuoco, farli saltare in aria con esplosivi e disseminare di mine le macerie), in particolare i centri di popolazione in cui è difficoltoso il controllo continuo (…) Realizzare operazioni di ricerca e di controllo in funzione delle seguenti linee di condotta: accerchiamento e saccheggiamento del villaggio. In caso di resistenza, le forze armate devono essere distrutte e la popolazione espulsa al di fuori delle frontiere dello stato ebraico”. Nelle campagne militari ebraiche fu data la più grande libertà d’azione ai capi militari operanti sul territorio. Le direttive impartite dal Piano Dalet dettero ai capi militari la possibilità di procedere a espulsioni e alla totale distruzione dei villaggi arabi, che furono particolarmente feroci durante la guerra del 1948, mossa dai paesi arabi vicini a Israele.19
Rifugiati palestinesi e campi profughi
L’esodo forzato palestinese del 1948, conosciuto come la Nakba (catastrofe) interessò 720 mila palestinesi, più della metà della popolazione palestinese, cui venne interdetto il ritorno dopo la cessazione delle guerre con i paesi arabi, guerra vinta da Israele. Il diniego del diritto al ritorno degli abitanti arabo-palestinesi (musulmani e cristiani) ha posto in essere la questione irrisolta dei rifugiati palestinesi. L’UNRWA, Agenzia ONU per il Soccorso e l’Occupazione dei profughi palestinesi in Medio Oriente ha dichiarato che i rifugiati palestinesi e i loro discendenti nel 2015 erano 5 milioni 149 mila 742, distribuiti in Giordania, Striscia di Gaza, Cisgiordania, Siria e Libano; di questi, molti rifugiati risiedono tutt’ora nei campi profughi.20
Gli intellettuali israeliani si interrogano
Benny Morris, uno dei maggiori storici israeliani sulla costituzione dello Stato di Israele, benché sia consapevole dell’idea del “trasferimento” dei palestinesi nel pensiero sionista, descrive il Piano Dalet come “una direttiva per mettere in sicurezza sia lo Stato ebraico in via di costituzione, sia i blocchi di insediamento ebraico al di fuori del nascituro Stato; ma anche in vista dell’invasione attesa per il 15 Maggio”. 21
Henry Laurens, altro studioso ebraico del Piano Dalet, pensa che: “Il Piano avesse un fine essenzialmente militare” e che “esso non costituisse un piano politico di espulsione della popolazione araba”. 22
Sarà Ilan Pappè, ebreo socialista antisionista, uno dei rappresentanti della nuova storiografia israeliana che mette in chiaro l’obiettivo prioritario del Piano Dalet: un “piano globale di espulsione del popolo palestinese”, come pure un piano di “pulizia etnica”. 23
Pappè, già professore all’università di Haifa, accusato per le sue affermazioni, ha dovuto lasciare l’università.
Occupazione dei territori destinati allo Stato palestinese
Israele, dopo aver vinto la guerra del 1948 con i paesi arabi e successivamente la guerra del 1967 con i vicini arabi compreso l’Egitto, ha occupato i territori destinati allo Stato palestinese: Gaza, Cisgiordania, il Negev, lasciando una precaria autonomia amministrativa ai palestinesi. Sui territori occupati ha proceduto e procede via via con la sottrazione di terreni per la costruzione di insediamenti ebraici destinati ai coloni.
In tal senso, Israele continua con il displacement: occupazioni, muri e bypass road. L’obiettivo è quello di realizzare centri urbani per i coloni, collegati da grandi vie di comunicazione (le cosiddette bypass road) il cui transito non è consentito ai palestinesi.
Israele gestisce l’erogazione delle risorse primarie: fonti idriche, distribuzione dell’acqua ai palestinesi, così come l’elettricità e il carburante. Nei confronti di questi beni essenziali gli israeliani possono aprire o chiudere i rubinetti a loro volontà.
La situazione peggiora con l’innalzamento dei muri attorno agli insediamenti palestinesi. Per separare i coloni da contatti con i palestinesi e isolare ancor più le comunità palestinesi tra loro, Israele ha proceduto circondando i villaggi palestinesi con muraglie, che non di rado tagliano in due uno stesso villaggio. Complessivamente le muraglie hanno una lunghezza di 730 chilometri, intervallate da reti con porte metalliche elettrificate.
Gli insediamenti israeliani nei territori occupati e le strade, riservate solo ai coloni, non fanno più della Cisgiordania un paese, ma un complesso di isole separate dove i palestinesi, chiusi in qualche chilometro quadrato non possono nemmeno comunicare tra loro.
Il muro
C’era un grande prato
olivi grano e tre case
Avevo sette anni
Tanti ragazzini insieme a me
schiamazzi e lavoro dei campi
Tre case tre famiglie di fratelli
inverni miti e calde estate
in Palestina
Un giorno al risveglio
un solco un fossato appare
di là due case
di qua una casa
la mia
Non sementa
cemento piantato nel solco
Cresce di notte
si innalza di giorno
Spesso grigio muto
il muro solca il cielo
lo divide
così come la terra
il grande prato
Di qua di là dal muro
le case i miei cugini
io stesso
Batto le mani al muro
Grido chiamo
Non c’è risposta
L’eco delle mie grida
Pietra su me ritorna
Perché?…
La Cisgiordania oggi è un’esposizione universale a cielo aperto di tutto ciò che divide: terrapieni, blocchi di cemento, reticolati di ferro. Per accedere ai loro terreni agricoli, gli agricoltori devono ottenere permessi militari che vanno rinnovati ripetutamente. Per chi riesce a ottenerli, l’accesso è consentito solo a piedi e attraverso gli appositi cancelli agricoli che compaiono sui permessi. 24
Espulsione e pulizia etnica
L’israeliano Jeff Halper, esponente intellettuale antisionista e professore di antropologia presso l’università Ben Gurion, sostiene che, in Israele, il Nishul dei palestinesi, considerati “gente fuori posto”, si pone come “concezione, ideologia, obiettivo, processo, politica e sistema (…) Il processo di displacement cominciò agli inizi del Novecento, con l’avvio dell’immigrazione sionista e i primi sforzi concreti per instaurare nel paese una presenza nazionalista ebraica. Le successive fasi del processo sono state individuate a partire da un’analisi circoscritta a uno specifico aspetto del Nishul quello del controllo. Qui voglio allargare il discorso per includere tutte le accezioni di significato del processo di Nishul. Si possono riconoscere sei fasi del processo: 1) Displacement localizzato (1904-1914); 2) Espansione sistematica del nazionalismo sionista e nascita dell’idea di Nishul (1918-1947); 3) Nishul attivo (1948); 4) Segregazione, espropriazione e consolidamento del Nishul (1948-1966); 5) Occupazione, colonizzazione e strutturazione del controllo sui territori palestinesi di Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza (1967-1993); 6) Completamento del sistema di Nishul (dal 1993 ad oggi).” 25
La situazione attuale con la guerra in corso a Gaza che si presenta come un genocidio va offuscando la storia tragica e sublime del popolo ebraico
1 Keith A., 1843, The Land of Israel according to the Covenant with Abraham, Edimburgo, William White &co;
2 Friedman I., 1992, The question of Palestine-British-Jewish-Arab-relation, 1914-1918, Transaction publishers;
3 Wardiaw J., 1844, The united secession magazine, Edimburgo;
4 Stoddard J. L., 2010, Lectures, Charleston (USA), Nabupress;
5 Kramer G., 2008, A history of Palestine, Princeton University press;
6 Poole S., 2006, Unspeak: How words become weapons, New York Groove press
7 Garfinkle A. M., 1991, On the origin, Meaning, Use and Abuse of a phrase, Londra, Middle Eastern studies;
8 Zangwill I., 1991, The voice of Jerusalem, Londra, Macmillan;
9 Meisels T., 2005, Territorial Rights, New York, Springer;
10 Shapira A., 1992, Land and Power, the Zionist resort to force, 1881-1948, in “Studies in Jewish History”, Oxford University press;
11 Zangwill I., cit.;
12 Delle Donne M., 2023, La Costruzione della Grande Israele, Roma, Futura edizioni;
13 Delle Donne M., cit.;
14 Wikipedia.org/wiki/esodopalestinese_del_1948;
15 Wikipedia, Sionismo Panarabismo e nazionalismi, in wikipedia cit.
16 Delle Donne M., cit.;
17 Delle Donne M., 2023, Guerra e Vendetta, in “Contropiano”;
18 Halper J., 2021, Displacement, una forma israeliana di apartheid, in “Voci dal Conflitto”, Roma, Futura edizioni;
19 Pappè I., 2001, La guerre de 1948 an Palestine, Parigi, La Fabrique editions;
20 Wikipedia, Esodo palestinese del 1948, cit.;
21 Morris B., 2003, The birth of the Palestinian refugee problem revisited, Cambridge University Press;
22 Laurens H., 2005, Paix et guerre an Moyen Orient, Parigi, Armand Colin;21
23 Pappè I., 2008, La pulizia etnica in Palestina, cit.;
24 Amnesty international, L’Apartheid di Israele, un crudele sistema di dominazione e un crimine contro l’umanità, in amnesty.org;
25 Halper J., 2021, Il processo storico del Nishul, in Voci dal conflitto cit.;
* Marcella Delle Donne, già Prof. di Sociologia delle Relazioni Etniche Università di Roma Sapienza, è vice presidente dell’Associazione Cittadinanza e Minoranze e membro del direttivo “The European Association for Refugees Researh”. Fa parte del movimento delle DIN (Donne in Nero). Autrice di numerosi volumi tra cui “La Costruzione della Grande Israele da sionismo laico al sovranismo ebraico”, 2023 Guida editori.