La moralità come prassi. Carteggio Ludovico Geymonat- Antonio Giolitti, 1941- 1965
Fabio MINAZZI (a cura di), La moralità come prassi. Carteggio Ludovico Geymonat- Antonio Giolitti, 1941- 1965, Milano, Mimesis, 2022
Sergio Dalmasso
Ludovico Geymonat (1908- 1991) è stato filosofo, matematico, fondatore in Italia dell’epistemologia, autore del fondamentale Galileo (1957). Iscritto al PCI dal 1940, è stato partigiano in Piemonte, nella brigata Carlo Rosselli, assessore al comune di Torino, insegnante a Cagliari, Pavia, Milano. Distaccatosi dal PCI si è per due volte candidato, come indipendente, in DP, sino all’iscrizione alla nascente Rifondazione (1991).
Antonio Giolitti (1915- 2010), nipote di Giovanni Giolitti, si iscrive al PCI clandestino nel 1940, è partigiano, costituente e poi parlamentare comunista sino al 1957, quando dopo “i fatti d’Ungheria” lascia il partito. Dal 1958 è parlamentare socialista e contribuisce alla nascita dei governi di centro- sinistra e al tentativo di impostare una politica di programmazione economica[i]. E’ ministro nel primo governo Moro (1963-1964), poi negli anni ’70. Commissario presso la comunità economica europea, rompe nel 1985 con Il PSI di Craxi riavvicinandosi al PCI di cui è senatore dal 1987 al 1991.
Fabio Minazzi è stato allievo di Geymonat e ne ha curato molte opere soprattutto sul rapporto tra razionalismo e materialismo e su temi quali libertà, ragione, impegno etico e politico. Riassuntivo il complessivo Ludovico Geymonat, un maestro del Novecento. Il filosofo, il partigiano, il docente (Milano, Unicopli, 2009) che spazia dall’impegno partigiano a quello politico, dalla logica alla matematica, dall’epistemologia alla fondamentale Storia del pensiero filosofico e scientifico.
Con la comunanza di posizioni e l’amore per il maestro, che lo ha sempre contraddistinto, Minazzi cura il carteggio fra Geymonat e Giolitti, preceduto da un lungo saggio introduttivo.
Il carteggio è composto da 32 lettere del filosofo, 14 del parlamentare comunista e socialista, cui si aggiungono cinque lettere di Virginia Lavagna Geymonat, due inviate dal filosofo a Mario Spinella e a Lucio Lombardo Radice, oltre alle dimissioni di Giolitti dal PCI, indirizzate alla federazione di Cuneo, oggetto di un “caso” nazionale che ha largo peso nella storia del partito.
L’elemento connettivo è indicato nella moralità come prassi che ha le sue radici nella scelta antifascista, nella partecipazione alla resistenza, nel tentativo di operare per una netta riforma morale del paese. Questa si incarna, in Geymonat, nel profondo rinnovamento della cultura filosofica, nel superamento della concezione retorico- umanistica, del binomio Gentile- Croce e, sul versante comunista, di una introiezione di modelli crociani, propri della politica culturale togliattiana (non entro nel campo minato delle interpretazioni di Gramsci). In Giolitti, il rinnovamento deve avvenire sul versante politico. La concezione dell’economia propria del partito è dogmatica, libresca, non coglie le modificazioni in atto. La accettazione del dogma dell’URSS come paese guida porta a contraddizioni insanabili, cozza con la questione democratica, cancella l’originalità del pensiero di Gramsci.
Non è un caso che, in seguito alle dimissioni di Giolitti dal partito, Geymonat scriva sull’”Unità” un articolo in cui, pur ritenendo che le forze del rinnovamento siano interne al PCI, invita al dialogo anche con chi si colloca all’esterno di esso.
Il loro tentativo riesce solamente in parte. Se la Scuola di Milano, formatasi dall’insegnamento di Piero Martinetti e Antonio Banfi, si riconosce nell’antifascismo, nella interpretazioni del marxismo, nel razionalismo critico, il pensiero filosofico italiano, nel suo complesso, sfugge al rinnovamento sperato.
Così, il percorso politico di Giolitti subisce lo scacco del centro- sinistra, che dopo una iniziale spinta verso una politica riformatrice, si trasforma in una formula governativa incapace di innovazione e di attuare qualla programmazione economica su cui la sinistra socialista aveva scommesso. L’uscita dal PSI nel 1985 e l’elezione (1987) nelle liste del PCI segna una vittoria “postuma”, ma anche il riconoscimento di una oggettiva sconfitta. Il testo, dalle lettere all’ampia introduzione, alle lunghe note che servono a contestualizzare gli scritti, è un omaggio a due figure significative della politica e della cultura italiane. Strumento per ricordarle.
[i]Cfr. Sergio DALMASSO, Il caso Giolitti e la sinistra cuneese, 1945/1958, Alba, La Torre, 1987 e “Quaderni del CIPEC”, n. 15, 1999.