La necessità di una alternativa ad oggi, purtroppo, inesistente
Elena Basile*
Il concetto di sovranità nel secondo dopoguerra era utilizzato dalle forze di destra reazionarie che si opponevano alla costruzione di organismi internazionali che avrebbero dovuto difendere meglio degli Stati nazionali la pace e la prosperità, i beni comuni dei popoli europei.
I confini erano nitidi. Da un lato i movimenti progressisti, liberali e socialdemocratici, che chiedevano una cessione di sovranità alle OOII, a un’Europa federalista, dall’altra il nazionalismo e la riproposizione da parte delle destre di valori antichi Patria e Famiglia.
Oggi tutto è divenuto più fluido. I perdenti della globalizzazione, i cosiddetti “no where” in contrasto agli “every where”, hanno ingrossato le fila dei partiti della destra che avanza in tutta l’Europa. Le organizzazioni internazionali sono malate di inefficienza e di mancata democraticità e legittimità. L’ estrema sinistra riscopre l’importanza della sovranità nazionale di fronte alle pressioni delle elites internazionali che hanno nelle OOII il loro braccio esecutivo.
Del resto le opposizioni di estrema destra, una volta al Governo, si adattano all’obbedienza alle oligarchie finanziarie che ci governano indicandoci la politica economica e estera da applicare. Rinnegano il nazionalismo che faceva parte dei loro programmi elettorali. L’eterogenesi dei fini è resa palese dall’inesistenza di norme e di ordine di cui le organizzazioni internazionali avrebbero dovuto essere garanti. L’Unione Europea è divenuta una sotto-formazione della NATO che è emanazione degli interessi atlantici, o meglio delle oligarchie finanziarie ai cui interessi il blob, i cosiddetti addetti neoconservatori della politica estera statunitense, rimane devoto.
L’ONU è stata distrutta dall’unilateralismo americano e dalla conseguente fine delle mediazioni tra USA Russia e Cina nel Consiglio di sicurezza.
I liberali, i moderati, i cattolici e la socialdemocrazia sono spiazzati dalle trasformazioni che hanno permeato i valori sui quali era stato modulato l’humus politico-culturale di una generazione. Oggi sembrerebbe che la ribellione alle oligarchie transnazionali finanziarie passi per un grottesco ritorno alla sovranità statale. Il governo nazionale potrebbe essere, secondo i sostenitori della sovranità, espressione democratica degli interessi dei popoli in opposizione agli organismi internazionali, nei quali non esistono protocolli democratici di governance ma dinamiche strumentali del potere oligarchico.
In questa situazione di incertezza programmatica nella quale le distinzioni tra destra e sinistra tendono a scomparire e il libro di Revelli del 1996 Le due destre, le derive politiche del post-fordismo risulta particolarmente profetico, le strategie politiche appaiono slegate da obiettivi strategici razionali e non sono in sintonia con quelli dei popoli.
In Ucraina le 500.000 vittime ( che si oppongono secondo il colonnello Mc Gregor alle 80.000 vittime russe) sono state disumanizzate. L’abbraccio mortale dell’Occidente spinge Kiev a continuare una guerra suicida nell’interesse statunitense. L’obiettivo è divenuto la lotta all’ultimo sangue di un occidente in declino contro i rivali strategici di Russia e Cina per la conquista delle risorse minerarie che scarseggiano a fronte di una popolazione mondiale in crescita e delle tecnologie di punta.
Come la Albright aveva sentenziato: il milione di morti iracheni erano il prezzo da pagare affinché la potenza indispensabile assolvesse ai suoi compiti. Ci dovremmo meravigliare se le elites attuali considerino le vittime ucraine un danno collaterale per una strategia di arricchimento e perpetuazione del potere occidentale attraverso la destabilizzazione del mondo? E gli attacchi terroristici in Russia e Iran per non parlare del plausibile genocidio a Gaza dovrebbero essere valutate diversamente se non come una conseguenza indesiderata ma necessaria a una strategia bellica? La visione patologica del mondo dell’Occidente appare in tutta l sua nuda follia.
La dichiarata eliminazione di Hamas che dovrebbe rappresentare l’obiettivo strategico della operazione di Gaza è impossibile. Hamas è un’idea che risorge più forte ogni qualvolta prevale la violenza del terrorismo di stato e muoiono i canali politici. L’allargamento del conflitto in Medio Oriente voluto da Israele e assecondato da Washington, preparato dalla propaganda mediatica, non è detto che faccia avanzare gli interessi occidentali nella regione ma sicuramente causerà lutti, disperazione e miseria per le classi subalterne. L’Iran non è l’Irak. Ha attuato un programma di riarmo efficace come il primo attacco nella storia a Israele (in risposta all’attentato alla rappresentanza diplomatica iraniana a Damasco) ha dimostrato. Teheran è alleata i due potenze nucleari Russia e Cina. Il rischio nucleare di uno scontro frontale di Tel Aviv al suo rivale strategico è evidente.
Sui migranti la Von Der Leyen va a braccetto con la Meloni. L’antico sovranismo che difendeva le patrie contro l’invasione dei migranti clandestini, senza troppe distinzioni relative ai richiedenti asilo, si sposa oramai con le politiche della UE che utilizzano gli accordi con Stati fatiscenti come la Libia per il respingimento degli stranieri siano essi migranti economici o richiedenti asilo.
L’ultimo patto per l’asilo e l’immigrazione, diversamente da come la classe di servizio lo presenta, non supera il trattato di Dublino. La redistribuzione dei migranti è evitata dai Governi ostili all’immigrazione in virtù della clausola che permette di sostituire l’ospitalità con contributi in denaro. La situazione dei Paesi di primo ingresso peggiora in quanto essi hanno ottenuto poco in cambio ma sono vincolati a evitare i cosiddetti respingimenti secondari trattenendo su suolo italiano coloro che di fatto hanno rischiato la vita per ricongiungersi ai loro familiari e per raggiungere le economie forti dei Paesi nordici che offrono maggiori opportunità di lavoro.
Si cancellano nell’indifferenza dell’opinione pubblica alcuni principi basilari del patrimonio culturale europeo dall’accoglienza degli sventurati che fuggono da guerre, fame e miserie alla protezione dei diritti umani. Questi principi renderebbero impraticabili i compromessi con i regimi per la detenzione dei migranti nelle loro prigioni a cielo aperto. Trionfano la discriminazione tra nordici e Stati di primo ingresso, le concessioni ai paesi dell’Europa dell’Est che si rifiutano di accettare le regole europee. Come si vede la differenza tra sovranismo e organismi internazionali viene nuovamente meno.
I moderati al governo, si allontanano dal liberalismo e dalla socialdemocrazia, sdoganano i neonazisti e gli ex fascisti che hanno raccolto i voti dei perdenti della globalizzazione e di coloro che si opponevano alla governance oligarchica. Governano rafforzati con essi.
La sinistra per poter rinascere dovrebbe recuperare i valori costituzionali delle democrazie europee, rimettendo al centro dei suoi programmi lavori l’interesse dei popoli, ceto medio e classi lavoratrici, e costruendo ponti tra blocchi sociali e interessi economici, tra ideali smarriti di libertà e uguaglianza sociale in contrasto con la società dell’1%.
L’UE rinuncia ai progetti annunciati nel corso degli ultimi trenta anni. L’unione monetaria europea non è completata. La fiscalità comune è cancellata come il debito comune per gli investimenti nella transizione verde e digitale, in sanità, istruzione, trasporti, protezione civile, ricerca e sviluppo. Mentre il debito nel mondo si moltiplica e in particolare negli Stati Uniti, l’Europa si impone politiche di austerità pro-cicliche che stanno distruggendo l’economia. La Germania, motore dell’Europa è in preda alla recessione, l’Euro non è mai divenuta la moneta di riserva accanto al dollaro.
La classe dirigente europea ha fallito nei suoi dichiarati obiettivi: pace, prosperità, transizione verde, transizione digitale. Dovrebbe essere sostituita da una nuova. Ripropone invece le stesse politiche di austerità aggravate dalle guerre in corso. Le politiche e i fondi comuni sono riorientati verso la spesa militare nell’inconsapevolezza dei cittadini. Ben venga a questo riguardo un’iniziativa popolare che, basandosi sugli articoli dei trattati, chieda alla Commissione di indire un referendum consultivo sulla trasformazione dell’economia europea in economia di guerra.
La NATO obbliga i Paesi Membri a aumentare le spese al 2% . Essi non vanno a vantaggio della difesa europea che sarebbe possibile nell’ambito di una Europa federalista in cui gli interessi nazionali siano messi da parte in nome di economie di scala ed efficienze in grado di produrre benefici per i popoli europei. Siamo invece al paradosso. Gli investimenti nazionali europei nell’industria bellica servono a costituire il braccio armato della NATO a difesa di interessi statunitensi .
L’autonomia strategica che presupporrebbe l’individuazione degli interessi europei e il loro perseguimento in ambito NATO, è ormai sepolta. La guerra in Ucraina ha determinato il ricompattamento degli Stati vassalli intorno all’egemone, la fine di una dialettica in ambito NATO.
Eppure il divario tra interessi statunitensi e europei, è stato messo in evidenza dalla guerra in Ucraina. La fine della relazione speciale russo-tedesca e del modello alla base dello sviluppo economico dal dopoguerra ( gas russo a basso prezzo a fronte di esportazioni di prodotti tecnologici) ha soddisfatto unicamente gli interessi geopolitici e energetici statunitensi, affossando l’Europa dal punto di vista strategico e economico.
Si potrebbe auspicare che il netto contrasto tra gli interessi economici e geopolitici europei e statunitensi sia alla base di contraddizioni irrisolvibili in seno all’area euroatlantica.
Purtroppo lo scenario è un po’ più complicato.
L’industria tedesca teme la crisi economica, la disoccupazione allargata nonché le ripercussioni negative che la frammentazione dell’economia mondiale avrà sul sistema tedesco ‘export oriented.’ Eppure si sottomette ai diktat statunitensi. Secondo l’antropologo francese Todd, le classi dirigenti europee sarebbero ormai ricattabili in quanto grazie a internet la tracciabilità dei flussi finanziari verso i paradisi fiscali gestiti in maggioranza dagli statunitensi sarebbe evidente. La società dell’1% europea è di fatto legata mani e piedi a quella di Washington.
Le classi lavoratrici colpite dalle conseguenze negative della guerra, dalla disoccupazione e dall’inflazione, dalle bollette aumentate del riscaldamento, si è auspicato, avrebbero infine reagito con manifestazioni, un nuovo autunno caldo, che avrebbe potuto indurre i governi europei a politiche differenti e alla auspicata autonomia dagli USA.
Nelle democrazie si è tuttavia rotta la cinghia di trasmissione tra gli interessi delle classi sociali e la rappresentanza politica. La scomparsa dei corpi intermedi, partiti e sindacati, ha posto fine alla politica come progetto di trasformazione della società. L’hackeraggio delle classi dirigenti europee da parte delle oligarchie finanziarie internazionale ha cambiato liberalismo, verdi e socialdemocrazia dall’interno. Da Trudeau a Sejournè, da Renzi alla Baerbok, i giovani democratici sono nati a immagine e somiglianza dei DEM americani e ad essi fanno riferimento per la postura internazionale.
Un atlantismo acritico è rappresentato dalle nuove classi dirigenti che trasformano la competizione geo-politica in conflitti etico-religiosi nei quali la mediazione ha lasciato il posto all’antitesi netta tra bene e male e alla necessaria sconfitta dell’uno o dell’altro. Lo spazio mediatico che un tempo avrebbe costituito il quarto potere è oggi il ‘trait d’union’ tra le oligarchie finanziarie e una società civile atomizzata, indifferente, plasmabile, dedita al consumo. L’opinione pubblica, maggioritaria contro le guerre, potrebbe infine condizionare le classi dirigenti europee se fosse costruito un movimento federatore del fronte del dissenso, in grado di rappresentare l’istanza politica e garantire una alternativa realistica purtroppo oggi inesistente.
*Elena Basile entra nella carriera diplomatica nel 1985 e ne percorre tutte le tappe divenendo una delle poche donne che raggiunge i gradi apicali. Ambasciatrice di Italia in Svezia e in Belgio per otto anni consecutivi. Ha scritto 5 libri di narrativa ed é commentatrice freelance sul Fatto quotidiano e su riviste di politica internazionale.