La provocazione di Barbiana

Francesco Gesualdi*

Dopo più di cinquant’anni dalla sua chiusura, quella piccola scuola di Barbiana, in vetta a un monte, rappresenta ancora una luce in mezzo al buio della scuola di oggi. Chi ci arrivava, faticava persino a rendersi conto di trovarsi in una scuola. Intanto per il luogo: stanze strappate alla canonica che prima dell’arrivo di Lorenzo Milani erano spazi vuoti occupati ogni tanto dal parroco, mai dai parrocchiani che passavano le loro giornate a spaccarsi la schiena nei campi. Il prete Lorenzo Milani le trasformò in scuola più per necessità che per scelta. O meglio per le inadempienze dello stato che lassù garantiva la scuola dell’obbligo solo fino alla quinta elementare. Poi il niente, nonostante l’articolo 34 della Costituzione sancisca l’istruzione inferiore, obbligatoria e gratuita per almeno otto anni. Del resto passando dal mondo borghese a quello proletario, il prete Lorenzo Milani aveva capito che l’ignoranza è la madre di tutte le miserie. I potenti comandano in virtù della loro superiorità culturale e linguistica, l’unico modo per permettere ai poveri di liberarsi dalle loro molteplici catene è attraverso il possesso del sapere e della lingua. Così appena esiliato in questa sperduta parrocchia di montagna, invece di piangersi addosso aprì la sua scuoletta, perché era la cosa più urgente di cui c’era bisogno a Barbiana.

Nasce una scuola di vita

Era il 1957 quando cominciò con i primi sei ragazzi che con l’andare degli anni diventarono12 e poi 18-20 nell’inevitabile ricambio che ogni scuola ha. Non c’erano banchi, non c’erano campanelle. D’estate la scuola si faceva addirittura all’aperto dove la natura ci offriva del fresco. Men che mai si davano voti o pagelle. Barbiana non era un tribunale, il suo obiettivo non era giudicarci, ma fare di noi delle persone libere, capaci di capire la realtà, di difendersi, di partecipare, di pensare, di scegliere.

Barbiana era una scuola a tempo pieno: otto ore al giorno per 365 giorni l’anno, Pasqua e Natale compresi. I borghesi che passavano in visita storcevano il naso: la ritenevano una regola autoritaria. Ma dall’alto della loro superbia non consideravano che a Barbiana non c’erano scelte. L’alternativa alla scuola era il campo e tutti preferivano la scuola. Del resto i figli dei poveri non avevano di fronte a se anni infiniti per studiare: a quindici anni era già pronto il libretto di lavoro, il tempo a loro disposizione per attrezzarsi culturalmente era limitato, non poteva essere sprecato. 

Occupando tutto il tempo possibile, a Barbiana si poteva spaziare dalla storia all’anatomia; dalla geografia alla fotografia; dall’astronomia alla matematica; dalla politica alla pittura; dalla lettura del Vangelo a quella del giornale. Lo studio di tutti questi argomenti serviva più che altro ad arricchire il nostro vocabolario e ad ampliare le nostre conoscenze linguistiche. Di ogni parola nuova in cui ci imbattevamo se ne ricercava l’etimologia, se ne faceva la storia, se ne coglievano le sfumature. 

La realtà vicina si analizzava riflettendo sulla nostra stessa condizione sociale. Quella lontana attraverso il giornale. Era il Priore (così chiamavamo il nostro maestro) a scegliere gli articoli da leggere in base alla riflessione che potevano suscitare, all’importanza delle notizie, alle difficoltà di linguaggio. L’articolo veniva letto soffermandosi su ogni parola incomprensibile, su ogni concetto poco chiaro. Poi veniva commentato. In occasione di avvenimenti particolari, come le elezioni politiche, la lettura del giornale diventava l’unica attività del giorno. Si compravano le testate principali e si analizzava come ciascuna riportava i risultati elettorali. Il Priore ci faceva notare attraverso quali giri di parole ogni giornale riusciva a far credere vincente il proprio partito anche se nel complesso aveva perso voti.

Non solo diploma

Per concretezza, Barbiana si poneva anche l’obiettivo di farci prendere il diploma di scuola media inferiore, anzi di avviamento per quel tempo. Per questo le giornate erano come divise in due parti: la mattina dedicata allo studio di ciò che era richiesto dalla scuola ufficiale, il pomeriggio dedicato alla lettura del giornale, alle nostre discussioni, alla scrittura collettiva, in una parola a ciò che ritenevamo più nobile. Ma tutto era vissuto con grande elasticità. Se capitava un visitatore che il Priore considerava interessante per noi, si sospendeva ciò che si stava facendo e ci si riuniva tutti insieme per intervistarlo. E anche durante questi incontri, l’attenzione era sempre per l’ultimo. Se il Priore si accorgeva che nella conversazione era stato usato un termine che lui sapeva essere estraneo anche solo a qualcuno di noi, senza che nessuno si fosse preso la briga di chiederne il significato, andava su tutte le furie, cogliendo la palla al balzo per ricordarci che i ricchi vincono per la rinuncia dei poveri a pretendere la parità. 

L’estate era forse il periodo più bello. Senza il pensiero degli esami da dare presso la scuola di stato, potevamo dedicarci a ciò che ci interessava di più. Fra le letture che ricordo c’è l’autobiografia di Gandhi, il Critone di Platone, le lettere di Claude Eatherly, Apartheid di Angelo Del Boca. A volte si faceva appena in tempo a leggere qualche rigo che veniva fuori lo spunto per una discussione e il testo veniva messo da parte. Poteva quindi succedere che un libro di poche pagine ci tenesse compagnia per alcune settimane.

La Conoscenza per la liberazione di tutti

A Barbiana c’erano i valori che passavano perché richiamati espressamente e c’erano quelli che passavano per vita vissuta. Fra quelli che ricadevano in quest’ultima casistica c’era il senso di solidarietà e di comunità. Ottenuto il diploma di scuola media inferiore, chi rimaneva ci restava sempre nella duplice veste di insegnante e scolaro. Insegnante perché doveva impiegare parte del suo tempo a favore dei ragazzi più piccoli, soprattutto per prepararli agli esami richiesti dalla scuola di stato. Scolaro perché tutti partecipavano alla fase assembleare che il Priore gestiva quotidianamente in prima persona. Un tempo dedicato agli aspetti più dialettici come la  lettura del giornale, la lettura e il commento di libri particolarmente stimolanti, la scrittura di testi collettivi. Il Priore aveva escogitato questa formula organizzativa non solo per rispondere alle crescenti esigenze poste dall’aumentare degli allievi, ma anche perché era convinto che il sapere non può essere accumulato per fini egoistici, ma per la liberazione di tutti. Chiedendoci di rimetterlo subito al servizio di chi era più indietro, assorbivano in maniera naturale la massima riportata in Lettera a una professoressa: uscirne da soli è l’avarizia, uscirne insieme è la politica. 

Barbiana aveva anche la caratteristica di essere una scuola senza soldi. Del resto non c’erano insegnanti da pagare, né libri da comprare: usavamo quelli usati regalati dagli amici. Ma qualche attrezzo ci serviva e quelli li costruivamo da soli, escluso il grammofono che tuttavia funzionava a manovella considerato che non avevamo corrente elettrica. Perciò ogni giorno dedicavamo un paio d’ore del dopo pranzo al lavoro manuale per costruire tavoli e sedie, per tagliare la legna necessaria a scaldarci, perfino per tenere la strada in buon ordine dal momento che il Comune di Vicchio la considerava troppo di periferia per farsene carico. Questo continuo lavoro comunitario per fini comunitari, ci faceva crescere nella convinzione che la prima dimensione per la quale dobbiamo impegnarci è la comunità perché solo insieme possiamo risolvere i nostri problemi. Un’idea ben radicata in tutte le popolazioni non contaminate dall’ideologia mercantile, come mostrano, ad esempio, le popolazioni indios delle Ande che hanno elaborato il concetto di benvivir. L’idea, cioè, che si  può stare bene singolarmente, solo se sta bene tutta la comunità  e se è in buona salute la natura che ci circonda. 

Lo spirito comunitario era coltivato anche attraverso la scrittura collettiva, che sarebbe riduttivo definire metodo di scrittura, quanto tecnica educativa per ottenere la partecipazione di tutti, per stimolare la discussione e imparare a ricercare insieme ciò che è più vero, per apprendere l’arte dello scrivere intesa come capacità di rappresentare fatti e idee in maniera semplice e concisa senza perdere di completezza. Proprio come fa Lettera a una professoressa. 

Barbiana; a scuola di politica e di pace

Oltre che scuola di inclusione, solidarietà, cittadinanza, Barbiana era anche luogo di socialità. Soprattutto la domenica, l’aula si affollava dei nostri genitori che raccontavano i loro problemi, gli scontri avuti con i proprietari, le angherie subite. Ogni volta il Priore ne approfittava per farci una lezione sui meccanismi del dominio e trovare, insieme a noi, strade per ripristinare la dignità. Perciò Barbiana era anche scuola di politica che insegnava come reagire di fronte ai soprusi. 

In questo contesto, una domenica pomeriggio del mese di febbraio 1965, un amico ci portò un articolo della Nazione contenente il comunicato stampa dei cappellani militari che definiva l’obiezione di coscienza “un insulto alla patria, estranea al comandamento cristiano dell’amore; espressione di viltà”. Al Priore questi giudizi parvero semplicemente degli insulti e dopo un pomeriggio di dibattito collettivo, maturò l’idea di rispondere con una lettera aperta. I piani di risposta potevano essere tanti, ma da scuola laica come eravamo, decidemmo di concentrarci sulla prima accusa, quella che definiva l’obiezione di coscienza un insulto alla patria. Utilizzando i nostri libri di storia, passammo al vaglio le guerre fatte dall’Italia dopo il 1860, per capire se erano in linea con l’articolo 11 della Costituzione in base al quale “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Purtroppo risultarono tutte in contrasto con la Costituzione, per cui chiedemmo, per ognuna di esse, se la patria si serviva obbedendo o disobbedendo. 

Un’analisi dello stesso tipo, oggi servirebbe rispetto all’invio di armi in Ucraina. Ma di nuove scuole di Barbiana all’orizzonte non se ne vedono.


* Già allievo di don Lorenzo Milani a Barbiana, dal 1985 coordina il Centro Nuovo Modello di Sviluppo. Ha scritto in questi anni diversi saggi sui temi del consumo critico e responsabile, dei beni comuni e dei rapporti tra Nord e Sud del mondo.


Foto da www.donlorenzomilani.it

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