La sconfitta della Nato in Ucraina, il riarmo europeo e le prospettive del movimento pacifista

Alessandro Marescotti*

Nella guerra in Ucraina chi ha raccontato oggettivamente la realtà militare, senza censure e senza propaganda, veniva bollato come filo-putiniano. L’andamento del conflitto armato ha infatti progressivamente smentito la propaganda militare di Kiev, sostenuta e amplificata dai media occidentali.

La poderosa campagna di disinformazione occidentale tendeva a nascondere una situazione militare sempre più difficile per l’esercito ucraino e per la leadership di Zelensky. Ogni analisi che si discostava dalla narrazione ufficiale occidentale veniva attaccata, mentre chi osava sottolineare la superiorità russa veniva bollato come “disfattista”. 

Una narrazione falsata che sopravvalutava intenzionalmente le capacità militari ucraine ha avuto un effetto boomerang sui leader europei, che hanno alimentato e subìto essi stessi un autoinganno collettivo: convinti che le loro forniture militari potessero ribaltare il destino della guerra, si sono lasciati intossicare dalla loro disinformazione. Hanno vissuto in una sorta di fantasiosa “realtà parallela”. 

La speranza di un tracollo militare russo si è rivelata un’illusione e sono state scambiate alcune vittorie tattiche delle forze armate dell’Ucraina – nel secondo semestre del 2022 – come un’inversione strategica della guerra che avrebbe portato alla “vittoria” di Kiev. Oggi la tragica storiella della vittoria ucraina è finita. Il fallimento strategico delle elite europee è reso evidente da un grottesco bisogno di darsi appuntamenti pubblici per recitare veri e propri atti di fede nell’Europa.

La vittoria di Putin

Dall’altro lato, Putin ne esce dalla guerra in Ucraina come il vincitore indiscusso. Ha infatti superato le sanzioni, ha rilanciato l’alleanza con l’area economica dei BRICS, ha portato gli USA a un cambiamento netto in termini strategici, è stato riconosciuto come interlocutore da Trump e ha dimostrato di saper dividere l’Europa, mettendola in crisi. E soprattutto ha ottenuto che l’Ucraina non entri nella NATO. 

Putin ha saputo rimediare agli errori iniziali del 2022 con un massiccio reclutamento di soldati sotto contratto. Questo ha garantito un flusso costante di rinforzi, fino a superare il numero le forze ucraine nel 2023 e a ottenere la supremazia assoluta nel 2024. La Russia ha migliorato progressivamente le tattiche militari scatenando attacchi devastanti con le FAB bombs (le bombe plananti che arrivano fino a 3 tonnellate). 

“In precedenza, venivamo bombardati solo con l’artiglieria. Ora i russi hanno preso la città in modo più aggressivo, hanno iniziato a utilizzare mezzi dell’aeronautica, in particolare la FAB-1500. Perché la utilizzano? Perché il danno che ne deriva è molto grave. Se sopravvivi, sarai sicuramente ferito. Mette molta pressione sul morale dei soldati. Non tutti i nostri ragazzi possono resistere. La FAB-1500 è un inferno”. Questa è la testimonianza alla Cnn di un soldato ucraino della 46a Brigata Aerea in prima linea nel Donetsk. 

Le illusioni di vittoria

Gli occidentali sono rimasti intrappolati nelle loro illusioni di vittoria. Ora hanno capovolto repentinamente il punto di vista nella narrazione opposta di una Russia pronta a invadere l’Europa. Da una Russia a un passo dal collasso si è passati a una Russia a un passo dalla conquista dell’Europa.

Funzionalmente a questa nuova narrazione, la Commissione Europea ha annunciato un programma di riarmo senza precedenti, con una cifra astronomica di 800 miliardi di euro.

I grandi gruppi del settore – da Rheinmetall a Leonardo – stanno già beneficiando di questo clima di crescente militarizzazione dell’economia, mentre le risorse pubbliche vengono sempre più dirottate dal welfare verso la produzione bellica.

E così anche l’Italia sta facendo la sua parte nel campo dei programmi di acquisto, con un pauroso indebitamento rispetto al futuro. Pochi sanno ad esempio che l’Italia lavora alla progettazione del nuovo missile ELSA.

Il missile europeo ELSA, parte del programma European Long-Range Strike Approach, è principalmente progettato per sviluppare capacità missilistiche per attacchi in profondità, che potrebbero essere utilizzati sia dall’esercito che dall’aviazione. Questi missili sono destinati a essere lanciati da terra. Sulla Russia.

Il governo italiano ha poi approvato un piano del valore di circa 8,2 miliardi di euro per l’acquisizione di nuovi carri armati e il potenziamento delle forze terrestri dell’esercito. Questo programma si estenderà dal 2025 al 2038, ci ha informa la Reuters (29.10.2024).

È previsto un investimento di quasi 7,5 miliardi di euro in 11 anni per l’acquisto di 24 nuovi caccia Eurofighter. L’Italia prevede inoltre di spendere circa 7 miliardi di euro per l’acquisto di ulteriori 25 caccia F-35 prodotti da Lockheed Martin entro il 2035, portando la flotta nazionale a un totale di 115 aerei e, come se non bastasse, il governo ha proposto di spendere circa 1,6 miliardi di euro per l’acquisto di 20 jet T-346 prodotti da Leonardo, destinati alla pattuglia acrobatica nazionale, le Frecce Tricolori.  (Reuters 24.9.2024). 

C’è poi l’acquisto di nuovi F-35 (7 miliardi di euro) e il costosissimo programma GCAP con il caccia di sesta generazione Tempest (oltre 7 miliardi di euro per il solo prototipo).

La nuova portaerei Trieste rappresenta la principale capacità anfibia della Marina Militare italiana, essendo un’unità multiruolo in grado di supportare operazioni di assalto anfibio e aeree con velivoli STOVL (come gli F-35). La Marina Militare sta pianificando l’introduzione di nuove unità d’assalto anfibio (LPX) da 165 metri e 16.500 tonnellate, che dovrebbero essere consegnate a partire dal 2028 o 2029. I costi previsti non sono noti ma il costo della portaerei Trieste è stato di un miliardo e 170 milioni, senza gli aerei.

La Trieste è la prima portaerei con portellone di poppa da sbarco: la Garibaldi non ne era dotata. E neppure la Cavour è in grado di far sbarcare un mezzi anfibi d’assalto. Una palese violazione dell’articolo 11 della Costituzione e del concetto di “difesa”: è esplicitamente previsto di entrare in acque territoriali di altre nazioni e di sbarcare sul loro suolo. Il presidente Sergio Mattarella ha serenamente assistito a Livorno il 7 dicembre 2024 alla cerimonia di inaugurazione di questa portaerei d’assalto.

Vi è poi la questione dei missili FC/ASW (con gittata oltre i mille chilometri) per una Marina Militare proiettata in profondità nell’Indopacifico.

Il riarmo porterà a una mobilitazione sociale?

Ma riuscirà la sinistra e il movimento pacifista a trasformare questo “attacco militare” allo stato sociale in un piano di mobilitazione politica?

Cerchiamo di capirlo delineando gli scenari peggiori, attingendo alle esperienze storiche del secolo scorso. 

La fine della Prima guerra mondiale segnò il collasso economico di gran parte dell’Europa. I costi della guerra, la distruzione materiale e l’inflazione galoppante colpirono duramente le classi lavoratrici.

Come sappiamo, di fronte alla prima guerra mondiale i partiti socialisti che avevano aderito alla Seconda Internazionale si trovarono di fronte a una scelta storica: sostenere la pace o appoggiare lo sforzo bellico dei loro governi nazionali. Con poche eccezioni (come Lenin in Russia, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht in Germania e i socialisti italiani), la maggioranza dei partiti socialisti si schierò con la guerra. E la guerra provocò lo sconquasso ovunque.

Nei primi anni ’20, il malcontento popolare si manifestò in ondate rivoluzionarie (come quella spartachista in Germania o i consigli operai in Italia), ma l’incapacità del movimento socialista di incanalare questa rabbia in un progetto politico unitario portò a una reazione opposta: l’ascesa del fascismo e del nazismo, che seppero sfruttare la paura, la disoccupazione e il rancore contro il sistema politico liberale.

Oggi, la guerra in Ucraina sta producendo un effetto per alcuni aspetti simile: un’economia europea devastata da debito pubblico, recessione e crisi industriale. Il Piano di Riarmo Europeo, sostenuto anche dai governi progressisti e socialdemocratici, ricalca l’errore storico della Seconda Internazionale: anziché opporsi alla militarizzazione, i partiti sedicenti progressisti si sono allineati alla logica di guerra generando un vuoto politico. Come negli anni ‘20, questo vuoto viene riempito dalla destra che sfrutta la rabbia sociale con una retorica anti-immigrati e di chiusura dei confini, mescolando nazionalismo, demagogia e lotta contro la crisi economica. Il rischio è che le proteste contro il caro vita e la crisi economica vengano egemonizzate da forze reazionarie, ripetendo il tragico percorso che portò in passato all’ascesa della destra.

L’unico modo per evitare che la crisi sociale sfoci in un rafforzamento della destra è costruire un’alternativa pacifista, che raccolga la rabbia popolare e la indirizzi contro il vero responsabile della crisi: il riarmo. Questo significa due cose:

1) unire le forze pacifiste, ecologiste e sociali in un fronte comune contro l’aumento delle spese militari:

2) difendere con una forte mobilitazione sociale lo stato sociale, opponendosi ai tagli ai servizi pubblici imposti dalla corsa agli armamenti.

La lezione della storia è chiara: il tradimento della pace da parte del socialismo ha sempre aperto la strada alle destre autoritarie. Occorre evitare questo scenario prima che sia troppo tardi.


*È presidente di PeaceLink, la rete telematica per la pace e il disarmo creata nel 1991. Cura il bollettino pacifista settimanale Albet (www.peaclink.it/albert), un punto di riferimento in continuo aggiornamento per il movimento contro la guerra. Da pacifista, ha seguito da vicino la guerra in Ucraina, analizzando costantemente i resoconti degli analisti militari per documentare l’evoluzione del conflitto armato. La sua email è: a.marescotti@peacelink.org

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