La tecnologia e il problema della valorizzazione
Andrea Cengia*
La tecnologia nel quotidiano
La questione tecnologica, riveste oggi un ruolo di straordinaria importanza. Essa attraversa, in forme evidenti o trasparenti, una parte preponderante delle attività degli individui delle società dove vige il modo di produzione capitalistico. Il peso della tecnologia largamente intesa assume oggi una rilevanza sociale difficilmente trascurabile. A testimoniarlo è la presenza di quello che potrebbe essere definito il discorso pubblico sulla tecnologia. L’obiettivo di questo contributo consiste nel cercare di metterne in luce le ripercussioni sociali osservando particolarmente due dimensioni.
Queste ultime, prese nel loro insieme, ricoprono quasi interamente gli ambiti della quotidianità, in particolare per i cittadini dei grandi ambienti urbani della società occidentale. I due ambiti a cui si vuole far qui riferimento sono quelli della produzione e della circolazione.
Un luogo da cui partire: la produzione
Il primo ambito è quello che si riferisce alle attività umane di carattere produttivo. Nell’atto umano di produrre oggetti (materiali o immateriali), la tecnologia assume, a partire da un determinato periodo storico l’aspetto fisico delle macchine e dei robot che popolano le fabbriche, entrando in diretta competizione con i lavoratori e mettendone in alcuni casi a rischio il ruolo all’interno del processo produttivo. Le preoccupazioni generate da quella che viene definita disoccupazione tecnologica non sono così lontane da quelle che turbavano gli operai all’alba dell’apertura dei lavori dell’Associazione internazionale dei lavoratori (nota anche come Prima Internazionale). Era il 1864. Oggi come allora, il racconto sull’inarrestabile forza della tecnologia trova numerosi filosofi della fabbrica1, come Karl Marx (1818–1883) definiva gli intellettuali esperti di tecnologia e cantori della forza propulsiva della grande industria2. Infatti, svariati intellettuali, esperti e ‘tecno futuristi’, con i loro libri di grande successo, hanno raccontato e stanno raccontando, in modo assai persuasivo, le straordinarie innovazioni che nel corso dei prossimi anni saranno destinate a prendere il posto dei lavoratori nelle più diverse attività produttive (di beni, ma anche di servizi). Con quali ripercussioni? Stando alle note stime del McKinsey Global Institute3, questi cambiamenti potrebbero portare alla fine di quasi il 50% dei posti di lavoro4. Difficile entrare nel merito di queste previsioni5. Possiamo tuttavia ricavare da questo stato di cose un’indicazione generale: l’uso della tecnologia all’interno dei processi produttivi, non è casuale, ma risponde alla logica di accelerazione e razionalizzazione di un ben definito modo di produrre beni: il modo di produzione capitalistico.
Un racconto già sentito
Su questo versante, dimensioni tecnologiche e dimensioni politiche tendono a sovrapporsi. Il concetto di tecnologia non può essere visto ‘astrattamente’, dichiarandolo neutro. La tecnologia di fabbrica si qualifica per un uso dipendente dalle precise relazioni di potere presenti nella fabbrica, in quanto “l’autorità del capitale si manifesta direttamente nella produzione”6, ”come ricordava, all’inizio di uno dei numerosi cicli di accelerazione industriale, Raniero Panzieri. Nei primi anni Sessanta del secolo scorso, Panzieri aveva ben inteso il significato delle trasformazioni tecnologiche in atto e poteva così affermare che “il meccanismo del piano capitalistico (il suo carattere dispotico) tende a estendersi e a perfezionarsi nel corso dello sviluppo capitalistico, sia per l’esigenza di controllare una massa sempre crescente di forza-lavoro, e quindi il crescente potere di resistenza degli operai, sia per la crescita dei mezzi di produzione che richiede, a sua volta, una corrispondente crescita del grado di integrazione della “materia prima vivente”7. Anche oggi, la riflessione di Panzieri si configura come uno snodo fondamentale del percorso di critica all’economia politica inaugurato da Marx. L’idea che esista un uso capitalistico delle macchine8 e che quindi la tecnologia non sia mai neutra, ma, al contrario, sia connotata da precise relazioni di potere, lancia un messaggio di straordinaria attualità. Spingendoci oltre, lo stesso concetto di tecnologia, che emerge dalla riflessione, di Marx prima e di Panzieri poi, porta alla consapevolezza che la tecnologia, che governa la fabbrica, non sia costituita solamente dall’insieme visibile delle macchine che stanno sostituendo o marginalizzando i lavoratori. La tecnologia può essere piuttosto assunta come sinonimo di organizzazione razionale dei processi produttivi che risponde prevalentemente allalogica di quello che Marx ha definito il “soggetto automatico”9, vale a dire il processo di incessante valorizzazione, unica ragion d’essere del modo di produzione capitalistico. Sia che si tratti di sostituzione, sia che si tratti di affiancamento deilavoratori nel processo produttivo, la tecnologia appare come uno strumento ben orientato a favorire precisi interessi.
Dalla fabbrica alla società
Se volgiamo ora lo sguardo ad un’altra sfera dell’esistenza, quella della cosiddetta circolazione, ossia ai luoghi in cui le merci vengono scambiate e consumate, ciò che emerge è una situazione non molto differente da quella appena descritta.La tecnologia, anche se assume il volto meno minaccioso e famigliare dei dispositivi elettronici che accompagnano la nostra vita (smartphone, notebook, interfacce intelligenti, sistemi di comunicazione avanzata), non ha un atteggiamento neutrale. Poco convincente appare la tesi che questi dispositivi, in quanto strumenti, siano neutri e che dipenda da chi li usa farne un buon impiego. La tecnologia che ci circonda non è neutrale in quanto essa istituisce un preciso sistema di relazioni e di comunicazioni funzionale agli obiettivi degli intrecci economici che hanno favorito la progettazione, la vendita e la diffusione di tali dispositivi. Marx con una espressione ad effetto disse che “il mulino a braccia vi darà la società col signore feudale, e il mulino a vapore la società col capitalista industriale”10. Forse l’ultima parte dell’affermazione può essere letta anche, per così dire, da destra a sinistra: la società capitalistica industriale del XXI secolo vi darà un sistema tecnologico che opera al suo scopo. Al giorno d’oggi, l’ampliamento dell’uso di tecnologie digitali, più o meno direttamente collegate con la questione della pandemia, pone una serie di problemi legati a privacy e sorveglianza11. Sono coinvolti in questo processo una serie non irrilevante di informazioni12 che riguardano la nostra esistenza.
Un problema aperto da cui ripartire
Alla luce di queste brevi osservazioni sulla tecnologia, sia concessa un’ultima riflessione che, considerato lo spazio di questo articolo, dovrà rimanere nella forma del quesito aperto. Il discorso pubblico sulla tecnologia mostra perfetta convergenza tra lo sviluppo dei sistemi tecnologici all’interno del sistema produttivo e lo scopo di valorizzazione infinito del medesimo processo. Da questa prospettiva, sembrerebbe non porsi il problema di un’eventuale, involontaria,conflittualità tra modo di produzione e largo impiego di strumenti tecnologici nella società e, in particolare, nella fabbrica. E se, al contrario, ipotizzassimo un possibile attrito tra queste due dimensioni? Se la rapida accelerazione verso una società, in cui il ruolo dei lavoratori risultasse marginale o irrilevante, mettesse in discussione uno dei capisaldi della valorizzazione? Se quindi la competizione tra produttori avvenisse in condizioni tali da azzerare i margini di profitto, non sarebbe lo stesso modo di produzione ad avere un enorme problema difficilmente risolvibile? Perciò, scavando oltre l’aspetto scintillante della tecnologia e andando oltre una sua esaltazione ideologica, è possibile rendersi conto che il modo di produzione capitalistico mostra delle criticità difficilmente risolvibili. Dobbiamo a Marx, nonostante siano passati molti anni, una delle riflessioni indispensabili per provare a comprendere lo stato di cose presente. E dunque se quando si riflette di tecnologia si provasse a partire da qui?
1 Karl Marx, Il capitale: Critica dell’economia politica. Libro primo, (tradotto da) Delio Cantimori, Ed. Riuniti, Roma, 1989, p. 336.
2 Marx si riferiva in particolar modo a Andrew Ure (1778–1857)
3 McKinsey Global Institute, «A Future that Works. Automation, Employment, and Productivity», gennaio 2017, https://www.mckinsey.com/~/media/mckinsey/featured%20insights/Digital%20Disruption/Harnessing%20automation%20for%20a%20future%20that%20works/MGI-A-future-that-works-Executive-summary.ashx.
4 https://www.ilsole24ore.com/art/mckinsey-macchine-sostituiranno-l-uomo-49percento-lavori-ADyh8xYC
5 Una loro problematizzazione è offerta da Kim Moody, si veda Kim Moody, «High Tech, Low Growth: Robots and the Future of Work», Historical Materialism, vol. 26, fasc. 4, dicembre 2018, pp. 3–34.
6 Raniero Panzieri, Il lavoro e le macchine. Critica dell’uso capitalistico della tecnologia, Ombre Corte, Verona, 2020, p. 53.
7 Ibidem, pp. 51–52.
8 Raniero Panzieri, op.cit.
9 Karl Marx, Il capitale I, cit., p. 187.
10 Karl Marx, Miseria della filosofia: risposta alla Filosofia della miseria del signor Proudhon, (tradotto da) Franco Rodano, Roma, Editori riuniti, 1969, p. 94.
11 Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, (tradotto da Paolo Bassotti), Luiss University Press, Roma, 2019.
12 https://www.theguardian.com/news/series/cambridge-analytica-files
* Andrea Cengia è insegnante di Filosofia e Storia, cultore della materia in Filosofia politica presso l’Università di Padova. La sua ricerca ruota principalmente attorno al pensiero di Marx, alle riflessioni della Teoria critica, alla elaborazione teorica del primo operaismo italiano e al rapporto tra modo di produzione e tecnologia nel XXI secolo.