Le culture ebraiche alla prova del colonialismo di Israele Intervista a Moni Ovadia*

Alberto Deambrogio**

Alberto Deambrogio: Israele continua nel massacro dei palestinesi a Gaza: neanche l’accettazione della tregua da parte di Hamas ha fatto cambiare posizione al governo Israeliano. Che ne pensi?

Moni Ovadia: È mia opinione che il governo Netanyahu non aspettasse altro che gli eventi del 7 ottobre per avere un pretesto per compiere questo genocidio. Uso questa parola perché ho la testimonianza video di un sopravvissuto alla Shoah, che la usa molto disinvoltamente. È un sopravvissuto che dice: questo genocidio a Gaza non è nel mio nome, nel nostro nome; io parlo di un sopravvissuto alla Shoah. Netanyahu non aspettava davvero altro. Egli vuole fare sparire i palestinesi da quella terra. Non dico che li voglia ammazzare tutti uno per uno, ma il massacro è genocidario perché lui vuole che, in qualche modo, i palestinesi siano portati a delle condizioni talmente disperate da pensare unicamente alle questioni primarie, cioè la sopravvivenza. Lui oltre a massacrarli, come sta facendo, li sta affamando e assettando, in modo che loro possano pensare unicamente a vivere giorno per giorno, senza pensare ad altro. Per i palestinesi deve contare solo il sopravvivere alle condizioni che porrà Israele con l’infame complicità degli Stati Uniti d’America, questo è quello che penso

Netanyahu è quello che si definirebbe propriamente un fascista, un razzista, un segregazionista. Non ha nessuno scrupolo e viene da un’ideologia che è nefasta. La sua origine deriva dal sionismo revisionista fondato dallo scrittore di Odessa Vladimir Jabotinsky, che da sempre, a differenza di quello di origine laburista o social laburista, voleva che per agli ebrei fosse destinato tutto il territorio della Palestina mandataria e non solo: voleva anche la Transgiordania di allora che è l’attuale Giordania.

Quindi Netanyahu viene da quella linea lì: Jabotinsky e Trumpeldor erano i due originari, poi sono venuti i Begin e gli Shamir. In questo gruppo c’era anche il padre di Netanyahu, Benzion. Bibi vuole cancellare l’identità palestinese. Forse si sarebbe accontentato di un etnocidio: cancellarli in quanto popolo, ma ora quello che sta facendo rientra nella prospettiva di un genocidio.

A.D.: Che reazioni vedi nella diaspora ebraica di fronte a questa situazione?

M.O.: La diaspora ebraica italiana è una piccola diaspora che vive un cortocircuito psicopatologico, per cui la gran parte degli ebrei italiani si comporta come se vivesse a Berlino nel 1935. Vivono questo panico che deriva da ciò che ha rappresentato la Shoah per gli ebrei italiani. Bisogna considerare che essi, una parte di essi, partono dalla grande borghesia italiana e anche da certa piccola borghesia: erano stati fascisti. C’è stato un ulteriore shock, se posso definirlo così, che li ha portati a un comportarsi come se fossero degli israeliani.

Infatti io, lasciando la comunità ebraica della quale facevo parte per rispetto alla memoria dei miei genitori, ho dichiarato di non voler stare in un ufficio stampa e propaganda del governo israeliano: non mi interessa in particolare di questo governo.

Ci sono italiani che sono invece sulla mia posizione, siamo una minoranza, una piccola minoranza, però anche una parte degli ebrei italiani non accettano i crimini che Netanyahu sta perpetrando.

A.D.: Come ti spieghi il rapporto tra iper nazionalismo israeliano e larga parte della diaspora in Italia?

M.O.:  Dobbiamo tenere conto che gli italiani di origine nella comunità ebraica italiana non sono tanti, perché molti ebrei italiani se ne sono andati, molti sono migrati in Israele e altri in altri paesi. Essi sono stati sostituiti da ebrei che sono venuti dal Medio Oriente in seguito alla costituzione dello Stato di Israele, al conflitto arabo israeliano. In tanti sono emigrati da quei paesi o sono stati costretti a emigrare, come è successo agli ebrei libici o agli ebrei egiziani; quindi vengono da quelle culture. Una parte rilevante degli ebrei italiani che provengono dai paesi arabi hanno un rapporto, una relazione con Israele che non è di tipo prevalentemente politico. Per qualcuno si, ma in modo maggioritario loro non ragionano così. Semmai partono dall’assunto che comunque Israele deve avere ragione, punto.

Ciò succede perché loro non hanno una cultura politica, non si pongono il problema, ma semplicemente hanno una posizione acritica e di tipo totalmente viscerale, che li riporta sempre e comunque ad avere le stesse posizioni di Israele.

Devo dire che non lo facevano così appassionatamente quando governava Rabin. Non ho mai sentito rumori, indignazioni e disperazioni quando i seguaci di Netanyahu rappresentavano Rabin vestito con la divisa nazista, il bracciale con la svastica e la kefiah in testa. All’epoca davvero non sentivo tanto clamore, questo perché, ne sono convinto, tendevano e tendono, in assenza di una cultura politica, a posizioni ultra reazionarie.

A.D.: Tu sei un ebreo sefardita, la tua famiglia viene dalla Bulgaria. Che cosa ha da dire quella cultura oggi a tutti noi?

M.O.: L’ebraismo sefardita è l’ebraismo di origine ispanica. Sefarad in ebraico vuol dire Spagna. L’ebraismo sefardita ha popolato e vissuto nella Spagna in una sorta di splendore perché ha dato grandissimi contributi alla cultura propria dell’ebraismo: maestri, interpreti delle scritture, anche della mistica. Poi ha conosciuto un grande shock dopo la riconquista, cioè quando i sovrani Isabella la cattolica e Ferdinando d’Aragona hanno riconquistato completamente la Spagna e anche la Lusitania cioè il Portogallo, muovendosi sulla sollecitazione perversa del grande inquisitore Torquemada. Questi agì abbastanza in dissonanza dalla Chiesa cattolica, perché quest’ultima era interessata alle anime, invece Torquemada era ossessionato anche da aspetti di carattere somatico degli ebrei. Siamo nel 1492 l’anno della conquista dell’America. I numeri sono inquietanti perché sono gli stessi della conferenza di Wannsee, cioè della soluzione finale nel 1942. Sono gli stessi numeri 1942, 1492 solo diversamente combinati.  Allora nel 1942 gli ebrei furono prima perseguitati sottoposti agli auto da fe perché si convertissero, ma essendo Torquemada ossessionato da quello che lui chiamava la limpieza de la sangre, la purezza del sangue, fu il primo a postulare una persecuzione di impronta razziale. Lui aveva il chiodo fisso dai finti convertiti che rimanevano e che venivano chiamati marranos, cioè maiali.

Gli ebrei alla fine furono espulsi. Fu un’immane tragedia, ma allora non c’erano i mezzi di documentazione e informazione adeguati. Esistono delle testimonianze anche di non ebrei, che la descrivono veramente come qualcosa di terrificante: questi ebrei ai porti che aspettavano di essere cacciati con sofferenze indicibili. Gli ebrei per sefarditi però vennero accolti dalla grande porta, l’impero ottomano. Proprio il sultano rivolgendosi alla Spagna disse di volerli prendere a fronte del rifiuto iberico. Questo fu un grande affare per l’impero ottomano. Gli ebrei sefarditi si insediarono lungo tutto il territorio dell’impero ottomano, nel Magreb, cioè in Marocco, Algeria, Tunisia e poi Libia, Egitto e il levante Mediterraneo, Grecia e naturalmente la Turchia stessa. Ci furono anche lì persecuzioni, ma vissero prevalentemente in prosperità.

Non dobbiamo mai dimenticare che l’islam e l’ebraismo sono due monoteismi puri, questo rendeva la relazione anche più agevole. Si sono formate veramente prospere comunità nel Magreb, in Turchia, in Grecia: insomma gli ebrei sefarditi sono cresciuti. La Shoah è riuscita a colpire direi quasi solo gli ebrei greci, che subirono lo sterminio perché i nazisti, dopo che Mussolini se l’era fatta nei pantaloni, arrivarono in Grecia e una delle prime cose che fecero fu quella di rastrellare gli ebrei e di deportarli nei campi di sterminio.

L’ebreo sefardita viveva una relazione proprio per questa comune origine dell’ebraismo e dell’islam che erano rimasti nella zona del Medio Oriente, del vicino Oriente, mentre il cristianesimo si era mosso radicalmente verso Occidente, anche se era rimasto un importante cristianesimo d’oriente.

Diciamo che gli ebrei sefarditi hanno più patito quando è nato lo stato di Israele e sono cominciati i problemi tra gli ebrei e i paesi arabi sulla base di questo. In Turchia no, perché essa ha sempre mantenuto un rapporto di grande rispetto e accoglienza dei suoi ebrei.

L’ebraismo sefardita ha prodotto straordinari eventi culturali in campo musicale, soprattutto negli studi dell’ebraismo stesso, però non ha conosciuto lo sviluppo che ha coinvolto e influenzato l’intero mondo occidentale che avrebbero avuto gli ebrei aschenaziti, cioè quelli che parlavano lo yiddish.

Questi hanno influenzato enormemente l’occidente e hanno avuto anche un destino molto più tragico. Prima della grande Shoah gli ebrei delle zone che andavano dall’estremo est Europa fino al centro Europa hanno subito persecuzioni, pogrom, espulsioni e ogni sorta di segregazioni e vessazioni. Quegli ebrei essendo nella parte che, dopo la scoperta delle Americhe, ha conquistato l’egemonia hanno costruito la relazione col mondo “altro” in modo molto più difficile. Però questo ha stimolato le comunità ebraiche verso una direzione che ha creato quel grande fenomeno del mondo dello Yiddish, che è stato un fatto di carattere spirituale, culturale, intellettuale e filosofico in grado di prendere dall’occidente e di scambiare con esso. Il prodotto ha determinato una influenza sul mondo più in generale. 

A.D.: Tu, a partire dal tuo essere ebreo, esprimi una cultura che è l’esatto opposto di quella che ci propone il sionismo. Che ne pensi?

M.O.: Io sono un ebreo della diaspora. Sono un ebreo che crede che la vera patria ebraica sia l’esilio. Il nazionalismo mi è totalmente estraneo per alcune ragioni. Prima di tutto il nazionalismo ebraicamente si traduce con questo termine: idolatria della terra. È vero che nella Bibbia la terra è indicata come luogo per recarvisi, ma a mio parere non è per creare un’identità nazionalista, violenta, militare come quella di Israele, è per creare un modo di vivere ebraico.

Nella mia interpretazione personale è un luogo dove si vive da stranieri fra gli stranieri e dove si sa essere stranieri a sé stessi, perché c’è un versetto del levitico che lo dice in modo esplicito. E’ Dio che dice agli ebrei: davanti a me siete tutti stranieri soggiornanti, quindi è tutto fuorché la terra del nazionalismo, secondo me: opinione di Moni Ovadia.

Non solo, io odio il nazionalismo con tutte le mie forze perché è stato il nazionalismo che ha creato gli antisemitismi più feroci in particolare quello nazista, che era una forma estrema di nazionalismo.

Posso io accettare un nazionalismo ebraico dopo quello che gli ebrei hanno subito dal nazionalismo nazista? Per me è impossibile e quindi ho cercato tutto il grande splendore che ha creato, malgrado tutte le difficoltà e le sofferenze, l’immenso ebraismo dell’esilio.

Da lì sono venuti gli Einstein, i Freud, i Marx, da lì è venuto Trotsky, persino Lenin aveva un quarto ebraico, suo nonno materno era un ebreo svedese. Da lì è venuta tutta quella cultura che si è fondata sull’etica, sulla libertà, sull’uguaglianza fra tutti gli uomini.

Se io sono vivo, sono nato lo devo proprio a quella cultura, alla resistenza antifascista, alla resistenza e alla vittoria dell’armata rossa. Sono stato sempre legato all’ebraismo perché l’ebraismo ha postulato il primo monoteismo, è quello che ha posto l’uguaglianza di tutti gli uomini perché sono stati tutti creati; per me è una parabola, ma è una parabola che ha significato etico. Tutti sono stati creati ad impronta del divino. Non solo, quando il primo ebreo per conversione, Abramo, riceve la benedizione universalista perché si è astenuto dal sacrificare Isacco, la Torah dice: in te si benediranno tutte le famiglie della terra: dunque la benedizione di Abramo è per tutti sulla terra.

Io credo che senza l’universalismo che proviene dalla diaspora, pure il sabato ebraico lo festeggi dove ti trovi e non c’entra Israele con il sabato e la dimensione universalista, senza quell’universalismo, dicevo, l’ebraismo sarebbe stato un agghiacciante pensiero tribale, quello a cui lo sta riducendo il sionismo.

A.D.: Non ti sembra che Israele stia diventando un modello nella definizione di una nuova identità occidentale aggressiva nei confronti del resto del mondo? Quale cultura di sinistra, oggi mancante, occorre costruire in occidente per contrastare tutto ciò?

M.O.: Lo stato di Israele poco dopo essere stato formato per iniziativa di David Ben Gurion uno dei padri fondatori, primo e terzo presidente del consiglio Israele, ha scelto di entrare nel salotto dei vincitori. Gli ebrei erano stati paria, avevano combattuto con gli ultimi per riscattare il mondo insieme agli ultimi. I sionisti, anche i sionisti socialisti al di là di tutte le loro belle chiacchiere, hanno voluto entrare nel salotto dei vincitori, cioè, hanno girato le spalle all’Unione sovietica che era stata fondamentale nella nascita di Israele. Senza l’Unione sovietica di Stalin lo Stato d’Israele non sarebbe nato. I sovietici hanno dato le armi pesanti e leggere, supporto politico e diplomatico per la creazione dello Stato d’Israele. Il primo paese all’Onu che ha detto sì alla creazione dello stato di Israele è stata l’Unione sovietica di Stalin. Poi ci sono stati degli sviluppi, compresa una terrificante campagna antisemita che Stalin scatenò alla fine del 1948, inizio 1949, ma questo è un ragionamento successivo.

Israele ha scelto la via dell’imperialismo, del colonialismo, della discriminazione del popolo palestinese, da subito. Già con la guerra del 48 gli israeliani hanno espulso 750.000 arabi palestinesi dalle loro case, dai loro uliveti, dalle loro topografie esistenziali con un atto di incredibile crudezza, distruggendo quasi 500 villaggi e facendone di cotte e di crude, una vera pulizia etnica.

Il sionismo è questo e Benjamin Netanyahu è la sua vera faccia.  Io non so se qualcosa possa cambiare in futuro, non mi sento certo di fare il profeta ma se vanno avanti così insieme al sionismo verrà distrutto l’ebraismo, perché l’ebraismo non può reggere tanta brutalità, violenza, ferocia. Da ultimo ti voglio dire una cosa: i sionisti hanno fatto passare gli ebrei dalla condizione di vittime, forse le più grandi vittime della storia, alla condizione di vittimisti. E il vittimista è colui che anche quando è il carnefice gioca la parte della vittima; e allora si sente legittimato a fare qualsiasi cosa. Questo vuol dire che i sionisti sono caduti nella trappola di Hitler. Anche i nazisti erano vittimisti, dicevano che dovevano ammazzare gli ebrei, prima espellerli per la verità e poi ammazzarli perché sennò gli ebrei avrebbero distrutto la Germania.


*Moni Ovadia, ebreo sefardita, è un teatrante e un attivista per i diritti sociali e universali.

**Alberto Deambrogio è un operatore sociale. Ex consigliere regionale, è attualmente segretario regionale piemontese di Rifondazione Comunista.

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