L’Europa e la gestione trumpiana del caos

Piero Pagliani*

(Avvertenza: queste note sono state scritte all’inizio del marzo 2025. Ma nel caos sistemico, in fase di accelerazione come è oggi, molte cose in poco tempo cambieranno. Alcune cose saranno  confermate, altre smentite).

La pretesa dell’Europa di essere ancora un attore geopolitico e il diniego russo e statunitense

Possiamo iniziare dalla pretesa europea, UK+UE, di avere ancora qualche voce in capitolo nello scenario internazionale [1]. Ma se all’assemblea dell’Onu del 24 febbraio scorso la risoluzione presentata dalla UE – che richiedeva l’immediato ritiro delle forze russe, la condanna della Russia e l’integrità territoriale dell’Ucraina – la spuntava, nella ridiscussione in Consiglio di Sicurezza è passata la forma originale statunitense, senza i tre punti precedenti, con 10 voti a favore tra cui, ovviamente, quello degli Usa stessi, della Russia e della Cina e 5 astensioni: Francia, Slovenia, Danimarca, UK e Grecia.

Gli Usa facendo piazza pulita in Consiglio di Sicurezza degli emendamenti di UE e UK hanno nuovamente fatto capire agli europei che non devono intromettersi nella loro politica di normalizzazione dei rapporti con la Russia e gli europei non se la sono sentita di votare contro gli Usa.

Probabilmente per tenersi buoni questi vassalli imbizzarriti, Trump mostra di compiacere alla loro follia di mandare truppe come forze di interposizione dopo il cessate il fuoco. Ma non li sostiene nella loro fantasia di essere attori geopolitici, solo come manovalanza militare (Trump ha finora ribadito che non invierà truppe americane). In secondo luogo Trump è Trump: gli piace il proclama teatrale (“La Russia accetterà truppe europee, la convinco io”), ma tiene conto della realtà e di come si evolve.

E la realtà è che il Ministero degli Esteri russo ha affermando che la presenza di truppe europee in Ucraina rappresenterebbe un’escalation. Probabilmente non ci sarà nessun cessate il fuoco a meno di serie garanzie sui punti seguenti:

1. Ritiro completo delle truppe ucraine dai territori delle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson, che la Russia rivendica come proprie.

2. Rinuncia formale dell’Ucraina alla sua intenzione di aderire alla Nato.

3. Smilitarizzazione dell’Ucraina.

4. Riconoscimento della sovranità della Russia sui territori rivendicati e accettazione di queste “nuove realtà territoriali” a livello globale.

5. Piena tutela dei diritti, delle libertà e degli interessi dei cittadini di lingua russa in Ucraina.

6. Revoca di tutte le sanzioni occidentali contro la Russia.

Ovvero gli accordi di Istanbul più i risultati di tre anni di guerra dovuti alla diffida anglo-americana a Zelensky di ratificarli.

Una US-Russia proxy war

La guerra in Ucraina è una “US-Russia proxy war” come ha affermato apertis verbis il Segretario di Stato, Marco Rubio [2]. Le sue cause sono state analizzate da più parti, comprese personalità statunitensi, da George Kennan che nel suo famoso articolo “A fateful error” sul “New York Times” del 5 febbraio del 1997 scongiurava di evitare lo scontro rinunciando ad espandere a Est la Nato, a Jeffrey Sachs, docente della Columbia University e membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che denuncia in continuazione le responsabilità degli Usa. 

Per ragioni politiche e militari l’esercito ucraino spalleggiato dalla Nato era l’unico opponibile a quello russo, il più grande e miglior esercito proxy che la Nato e gli Usa abbiano mai avuto [3]. E il regime banderista di Kiev era l’unico governo dello schieramento occidentale che per via del suo autoritarismo e della sua ideologia era in grado di resistere internamente a spaventose perdite. 

Con questa “US-Russia proxy war” gli Stati Uniti, con al seguito la UE, volevano “infliggere alla Russia una sconfitta strategica” (indebolirla, possibilmente frantumarla in vari stati e sottometterla, cose dette apertamente)

Il risultato è che la Russia è emersa come la più grande potenza militare contemporanea e come una delle maggiori potenze industriali (grazie anche alle nostre sanzioni che l’hanno costretta ad accelerare molti processi di innovazione, industrializzazione e sostituzione delle importazioni). E di questo tutti devono tenere conto, dagli Usa alla Cina.

Cambio di strategia negli Usa

Preso atto dell’esito disastroso della politica fin qui seguita, della impossibilità finanziaria e materiale di proseguire la guerra e della progressiva dissoluzione della società statunitense, i ponti di comando hanno deciso di mandar via la squadra perdente (compresa la sua irritante ideologia woke complementare a quella imperialista) rimpiazzandola con una il cui teatrino politico molto macho e molto scorretto (buono come spaventapasseri per sviare l’attenzione di avversari che scambiano fantasiose ideologie per politica e per gratificare il narcisismo irrefrenabile del nuovo comandante in capo) nasconde un pragmatismo libero da ideologie. La nuova retorica utilizza poco i termini “democrazia” e “libertà”. Preferisce il termine “pace” e la locuzione “fermare la perdita di vite umane”. Riconoscendo nei fatti alle prime due parole solo un senso ingannevole, per me è un passo avanti tenuto conto che il termine predominante è “interesse”, l’unico che compare nei piani geopolitici di qualsiasi potenza. Quindi se non altro ora il gioco è esplicito e si può barare di meno.

Gli Usa stanno prendendo atto del “balance of power” e della “correlation of forces and means”. Non smetteranno di essere imperialisti – le illusioni sono proibite – ma saranno costretti a “riformare il loro imperialismo”, come afferma l’analista russo-statunitense Andrei Martyanov.

Il problematico triangolo Cina-Russia-Europa

Veniamo ora alla Cina e partiamo dalla sua astensione all’Assemblea Generale dell’Onu del 24 febbraio. In quanto alleata della Russia molti si aspettavano che avrebbe votato contro. 

Innanzitutto notiamo che ha votato come gli Usa. È una prima conferma che Usa e Cina stanno facendo i conti con la nuova posizione occupata dalla Russia. Conti “simmetrici” ma che in questo caso hanno dato lo stesso risultato. La Cina ha una gloriosa tradizione commerciale e una scarsa propensione alla guerra. Le sue armi d’elezione si chiamano manifattura e “vie della seta”, cioè oggi la Belt and Road Initiative (BRI). Passano per l’Asia e dovevano terminare in Europa perché l’Europa era, fino al 24 febbraio 2024, un grande mercato solvibile. Ma ora?

Ora è una depressa terra di conquista degli Usa, una conquista iniziata sotto Biden con l’imposizione del taglio dell’energia sicura e a buon mercato proveniente dalla Russia e con un numero straordinario di sanzioni (oltre 10.000) che ci si sono ritorte contro mentre gli Usa ci vendevano energia a prezzi molto più alti di quelli praticati da loro e iniziavano ad attrarre le aziende europee con l’Inflation Reduction Act. Ora con la guerra dei dazi l’attacco all’industria europea verrà perfezionato. 

Al seguito della normalizzazione dei rapporti tra Usa e Russia in modo più aperto o più nascosto, i Paesi europei cercheranno in qualche modo di normalizzare i propri rapporti economici. Ma sarà difficile. Da una parte perché l’Europa, come stiamo vedendo, è una tavola imbandita per gli Stati Uniti, dall’altra perché il nostro posto è stato occupato da attori russi o di nazioni amiche. Non siamo né indispensabili né insostituibili se non per poche realtà. Penso che Mosca accetterà solo accordi bilaterali o addirittura con singole aziende europee [4].

Il filtro sarà anche politico. Ragion per cui insistere a mostrarsi accaniti russofobi per far vedere che l’Europa conta non è una gran strategia, ma un’immorale e disgustosa idiozia. 

L’Ucraina neutrale avrebbe potuto essere un ponte tra la UE e la Russia. Abbiamo accettato che fosse un fossato e continuiamo a volerlo. E ci siamo cascati dentro [5].

La US-Russia proxy war ha dato un colpo violento a una situazione europea in bilico, mettendo a nudo le nostre debolezze e ha coadiuvato (grazie alle nostre scelte di campo) a deprimere le nostre economie. Sta quindi sparigliando i piani della Cina. E dato che i Cinesi sono razionali, pragmatici, non ideologici e seguono (giustamente) i propri interessi, non hanno votato contro la condanna alla Russia ma si sono astenuti. Anche perché per principio non potevano approvare un’invasione pur avendone riconosciuto i fondati motivi. Si ricordi che i Cinesi sono i più raffinati diplomatici del mondo.

Qualcuno specula che Pechino abbia voluto sottolineare la sua non subordinazione a Mosca. Ma i rapporti sino-russi sono paritari. È un vizio dei commentatori occidentali quello di concepire solo rapporti servo-padrone. Cosa insensata nei rapporti sino-russi.

Il “rinnovamento” dell’imperialismo statunitense

Per quanto riguarda l’astensione statunitense, non è stata una sorpresa (Usa e UE avevano già litigato al G7 sulla definizione della Russia come “aggressore”). Ed è stato un altro schiaffo all’Europa che a differenza degli Usa che stanno rinnovando la loro politica tornando indietro, noi abbiamo una classe dirigente incapace di disintossicarsi da decenni di neoliberismo guerrafondaio. E che il “rinnovamento” sia guidato da forze in parte composite (vedi Tulsi Gabbard o Robert Kennedy jr) ma con predominanza di destra, e che stia “tornando indietro” a una sorta di politica reaganiana (anch’essa di destra) è lo sconfortante risultato di decenni di inconsulta, riprovevole, antipopolare e negli ultimi anni abominevole politica della sinistra e della sua incapacità concettuale di essere materialista in senso filosofico (cosa che tra l’altro l’ha resa preda di ogni moda proveniente da oltre oceano, a partire dal linguaggio). 

E dopo aver ricordato in modo “polite” all’Europa chi comanda, gli statunitensi l’hanno ribadito a brutto muso a Zelensky. 

L’impotenza europea

Il comportamento europeo è ormai angosciante oltre che irritante e immorale. Siamo gli unici al mondo – assieme al regime di Kiev – che non vogliono ammettere che la guerra contro la Russia è persa (e da tempo). Donald Trump svetta così come un gigante di buon senso e di pragmatismo sopra ogni leader europeo. La Slovacchia e l’Ungheria sono stati gli unici membri della UE che si sono astenuti all’ONU. Evidentemente è il momento dei brutti sporchi e cattivi visto che i belli, puliti e buoni preferiscono un massacro mondiale al riconoscimento della realtà e del ruolo ormai irrilevante dell’Europa.

Non c’è nulla che l’Europa possa fare per cambiare il corso degli eventi. E non c’è nulla perché possa tornare protagonista sulla scena mondiale. Avremmo potuto esserlo se ci fossimo ritagliati gelosamente il ruolo di mediatori. Non lo abbiamo fatto ed eccoci qui, ecco il panico e le dichiarazioni disordinate: mandiamo le truppe, no non mandiamo le truppe, le mandiamo se le manda anche l’America, vogliamo il cessate il fuoco, no sosterremo l’Ucraina fino alla vittoria.

Il bellicismo della UE: disastro per gli Europei e aiuto a Trump

Uno spettacolo penoso su cui emerge svettante la von der Leyen col suo piano da 800 miliardi per il riarmo. Follia? No, soldi. La von der Leyen è stata ministro della Difesa tedesco, quindi conosce il business delle armi. Con questi quadri dirigenti nazionali ed europei siamo avviati lungo la via del suicidio collettivo.

E non pensiate che sbaglino: questo è il loro massimo orizzonte di pensiero e d’azione per difendere gli interessi antisociali che hanno sempre difeso.

Gli esiti li abbiamo sotto gli occhi. Il caos dei risultati elettorali in Germania, ad esempio, non fa altro che riflettere il caos economico e sociale del Paese (Friedrich Merz è una sorta di funzionario del capitale finanziario ed è un russofobo rabbioso: la guerra in Ucraina ha fatto riemergere lo storico conflitto tra Germania e Russia). 

Ma il bellicismo europeo se da una parte cerca di intralciare il pragmatismo “pacifista” trumpiano, dall’altra fa il suo gioco: assicurando coi soldi europei i profitti del complesso industriale-militare-securitario statunitense (il 63% delle spese militari europee avvengono negli Usa) coprirà le spalle a Trump su quel versante potente e pericoloso agevolandolo proprio nella sua politica di “coesistenza” e di “riforma” dell’imperialismo statunitense.

La UE è insensatamente e pericolosamente riottosa al nuovo corso e si è autointrappolata in quello vecchio che la sta portando alla rovina. 

La famosa invettiva al momento del golpe dell’Euromaidan della plenipotenziaria per l’Europa di Obama, Victoria Nuland, “Fuck the UE!”, si è rivelata una profezia auto-avverante.

Francia, UK, Germania e Bruxelles schiumano di rabbia messi di fronte alla loro impotenza e agli esiti disastrosi della loro mentalità politica servile. Ora stanno puntando tutto sulla forza di interposizione dopo il cessate il fuoco: possiamo far vedere che ancora esistiamo soltanto con le armi.

Ma, come abbiam visto, non ci sarà nessun cessate il fuoco se non in prossimità di ciò che Sergei Lavrov al G20 ha ribadito essere l’unica soluzione: eliminare le radici della guerra e quindi giungere a un accordo di sicurezza indivisibile, che tenga conto degli interessi di tutti.

La strada è ancora lunga. Vedremo cosa succederà. Non penso che Mosca rinunci alla sua partnership strategica con Pechino. Anche se Usa e Russia giungeranno a un buon accordo, non vuol dire che diventeranno amici. Gli Usa “riformeranno” il loro imperialismo ma imperialisti rimarranno. E’ un problema legato ai rapporti sociali e alla crisi sistemica che in essi ha le radici. 

Come sempre ha fatto il capitalismo, la sua capacità di rigenerarsi è legata alla riproposizione di quelle pratiche violente che hanno caratterizzato la cosiddetta “accumulazione originaria” e che fecero nascere in Europa il capitalismo classico «grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro» (Marx).


*Da sempre militante di sinistra, laureato in Filosofia si occupa di Logica Matematica. Autore di libri e articoli scientifici, collabora con istituti di ricerca nel campo del machine learning e del data mining.

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