Meglio ‘na tammuriata ca ‘na guerra (1)
Loredana Marino*
In ricordo di Marcello Colasurdo
Marcello se ne va accompagnato dal ritmo delle tammorre, quel ritmo binario, che scandisce la vita di un popolo. E scrivere una riflessione sul Sud a pochi giorni dalla sua morte, implica un suo ricordo. Marcello Colasurdo, figlio del cortile della tradizione popolare, è stato genio creativo e sociale; con la sua voce accompagnata dai suoni della tradizione, ha narrato i subalterni nella mescolanza di riti sacri e pagani, con la preghiera di devozione a mamma Schiavona, con il canto popolare tra nenie di contadini a lavoro nei campi e storie di lotta e resistenze di una classe operaia nata all’ombra dell’Alfasud. La potenza dei canti sociali di Marcello con E’Zezi, in quell’impasto tra i braccianti delle campagne e l’arrivo della grande fabbrica, che sembrava consegnare la speranza del lavoro sulla catena di montaggio, si fece voce di una nuova classe operaia, tra sofferenze e proteste, “Compagni pè luttà nun s’adda avè pietà me chesta è ‘a verità ‘o comunismo è ‘a libertà”2.
Marcello Colasurdo se ne va, mentre la memoria di un Sud di lotta sembra affievolirsi in un’identità smarrita3 sotto il peso della modernità.
Partire dalla marginalità meridionale per decostruire il centro
Ed è proprio questa modernità che ci pone di fronte all’esigenza di un salto di qualità epistemico, al ricorso di ulteriori paradigmi interpretativi a partire dalla quistione meridionale. Una questione irrisolta, quella del Mezzogiorno, sulla quale tanto si è teorizzato e scritto, sin dagli albori tant’è che oggi siamo eredi di una vasta antologia che ha attraversato l’intero scorso secolo, riflessioni collocate dentro il dominio del pensiero costituito, nell’asse centro/periferia. Oggi, pero, siamo chiamati a rovesciare il paradigma a partire dalla marginalità meridionale, per decostruire il centro, in tutta la sua limitatezza, nei discorsi depotenzianti, nei cliché e negli stereotipi, attraverso una ricerca nuova, un punto di vista autonomo del Sud. Rovesciare il paradigma, smontare l’ “inconscio coloniale delle strutture del sentire nazionale”4 , un processo lungo e necessario affinché si possa consegnare alle nuove generazioni spazi di liberazione, perché nell’odierna condizione dell’oggi, è sempre più evidente che nella società civile di questo Paese persiste ancora quel senso comune della passività del Mezzogiorno, nel totale abbandono della questione meridionale da parte della politica, ma la storia insegna che nulla accade per caso, un abbandono che trova la sua collocazione negli anni Novanta dello scorso secolo, con l’avanzata del leghismo e all’emergere di una questione settentrionale quale alter ego della questione meridionale.
Anni in cui sotto il peso ideologico della Lega lombarda, si sviluppa, come contraltare, una sorta di revisionismo della storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, tra movimenti culturali e politici5 dagli slogan “Sotto i Borbone si stava meglio”, “Napoli capitale di un regno”, “La prima linea ferroviaria e le prime industrie erano al Sud”, e via discorrendo, ignorando come tali primati corrispondessero agli interessi della casa reale e della borghesia proprietaria, che poi cambia casacca col cambio di monarchia garantendosi le proprie proprietà. Gli effetti di tali tesi e delle varie pubblicazioni sono stati devastanti, e se per fortuna da un lato si è cercato di fare argine alle infondatezze neoborboniche con nuove pubblicazioni di senso opposto, dall’altro a partire dal mondo accademico, si sono intensificati gli studi a sostegno di argomentazioni per lo più di matrice crociana e storicista, che hanno cercato di giustificare il processo unitario come necessario, mettendo così all’angolo il tema della colonialità, la critica dell’accumulazione capitalistica, la produzione gramsciana sulla questione meridionale e la condizione delle classi subalterne. In quegli stessi anni, in cui ci si andava verso un nuovo modello economico, verso un nuovo ordine globale, nella stretta della crisi economica italiana, e del dualismo economico6 tra Nord e Sud, parallelamente al pensiero di G. Miglio sull’Italia federale, sulla “macro regione del nord”, compare la L. 59/97, meglio conosciuta come legge Bassanini che fa da apripista a tutto il percorso dell’autonomia che tappa dopo tappa arriva all’oggi, dalla L. Cost.3/01 ai tentativi di individuare lo standard adeguato di livelli essenziali di prestazioni, dai referendum regionali di Veneto e Lombardia, alle pre-intese del governo Gentiloni, dalla legge quadro del ministro Boccia al decreto Calderoli. E come se non bastasse il disegno sull’Autonomia differenziata diventa merce di scambio tra appetiti trasversali nel trittico AD – presidenzialismo – terzo mandato per i presidenti di Regione. Un disegno, quello dell’autonomia differenziata, che diventa l’apice delle diseguaglianze e dello sfruttamento, aumentando il divario tra regioni; tra Sud e Nord. E proprio in questo Sud afflitto dallo sviluppo incerto, da economie informali, dalle borghesie mafiose, dalla classe politica corrotta e servile alle logiche del capitale, che diventa pensiero comune il “qui non c’è nulla che si possa fare”.
Un nuovo alfabeto politico per una nuova cartografia di lotta, insorgenze, resistenza
In questa terra privata di ricchezza sociale, per non subire passivamente, bisogna necessariamente continuare a fare e a saper pensare, piccoli necessari contributi che lasciano configurare un nuovo immaginario; da qui l’idea della Carta del Sud7, di rifiuto ai modelli liberisti a cui occorre, sempre più, un Sud di sfruttamento e di scarto nel rapporto capitale/vita.
Nella Carta come in altre tante e varie discussioni, si conviene sulla necessità di pensare un Sud soggetto di pensiero, che pensi da sé e per sé, per conquistare la propria autonomia; per operare un’inversione di marcia abbandonando la corsa allo sviluppo dalle due matrici, infrastruttura e industria, mera accumulazione capitalistica, che ha consegnato per anni devastazione di interi i territori e dell’ambiente, il ricatto salute/lavoro, lavoro incerto. Bisogna, quindi, aspirare a un diverso ideale di modernità e di sviluppo, attingendo al proprio patrimonio culturale e al proprio deposito di risorse e valori.
Bisogna, dunque, abbandonare le vecchie categorie concettuali; il dualismo sviluppo/sottosviluppo, l’arretratezza, l’inferiorizzazione dei meridionali, le retoriche dello stato d’eccezione e della perpetua “emergenza”; non c’è un deficit di modernità al Sud; esso è segnato, invece, dalla modernità nel suo versante della svalorizzazione sociale della ricchezza, la qual cosa è appunto l’altra faccia della valorizzazione produttiva.
Questa Terra è luogo della millenaria cultura ellenica, delle bellezze di una storia eterna e nella sua naturale collocazione geografica tra la terra e il mare, è crocevia di valori di cooperazione, di pace, inclusione contaminazione, tra le sponde del Mediterraneo. Una condizione, geografica che ci pone di fronte all’idea-forza di una strategia euro-mediterranea, attraverso l’idea dello sganciamento8 per uno sviluppo autocentrato, per una cooperazione rafforzata Sud/Sud, per un mesoregionalismo multipolare.
Decostruendo gli storici processi di colonizzazione e subordinazione e focalizzando l’analisi lungo la linea della disuguaglianza razziale e di genere sarà possibile smontare il Sud perché un altro Sud possa emergere.
La politica delle differenze, l’antropologia culturale hanno assunto un ruolo fondamentale, rompendo la visione di una forma granitica di proletariato attraverso lo studio olistico dell’umanità, cosi come in Gramsci, che rivela già nelle sue Lettere dal carcere (le lettere indirizzate a Tania Schucht) l’importanza dell’osservazione e della descrizione dell’altro, mettendo in luce continuità e fratture antropologiche tra gli uomini, indagine ripresa e approfondita da E. De Martino nelle sue spedizioni, un lavoro sul campo, lo studio dei subalterni nella loro condizione di miseria nella quale si innescava la crisi della presenza, ovvero la minaccia del mondo circostante sulla vita, il rapporto uomo/natura, dove il ritmo è lo strumento liberatorio.
Allo stesso tempo bisognerebbe anche recuperare la prospettiva rivoluzionaria di un meridionalismo classista di lotta di liberazione e di riscatto, recuperare con orgoglio la tradizione delle lotte popolari che hanno accompagnato la storia del Mezzogiorno d’Italia. Nonostante questa modernità simboleggiata dal capitalismo cibernetico, che si nutre a dismisura di controllo, sorveglianza, sfruttamento dei tempi di vita nella loro totalità, nonostante questa metamorfosi sociale, in cui la forza dei legami orizzontali-familiari, amicali, di appartenenza culturale e politica hanno perso consistenza, non vi è cosa più complicata di un risveglio di coscienze. Ciò dovrebbe portarci a pensare, capire da dove ricominciare per scrivere un nuovo alfabeto di lotta e partecipazione per il riscatto sociale dei subalterni, per una ritrovata coscienza della propria oppressione, fino all’autocoscienza collettiva, e da qui una nuova cartografia delle lotte, delle resistenze, delle insorgenze che, da Sud, tracciano un’alternativa “altermoderna”, oltre la crisi del modello lineare e omologante di sviluppo capitalistico, seguendo le coordinate del materialismo geografico9 che caratterizza i processi di accumulazione a seconda dei differenti contesti territoriali, luoghi di un ritrovato scontro del basso contro l’alto. Il margine, dunque, che si fa soggetto attivo luogo di nuove resistenze, di un risveglio di coscienze per concorrere alla creazione di pratiche culturali controegemoniche, “una politica di posizione” intesa come punto di osservazione e prospettiva radicale, ove il tempo come orizzonte crei un nuovo immaginario, di rottura, con la narrazione tossica del pensiero dominante, attraverso una tensione costituente.
In conclusione, penso che solo un nuovo internazionalismo possa incidere sul cambiamento, per un altro possibile e una nuova umanità. Penso che in questo passaggio epocale caratterizzato dalle nuove guerre del capitale non è più possibile riprodurre persistenti convinzioni che non suscitano più connessione sentimentale. Anche il modus operandi della trasmissione depositaria non genera più fiducia, perché nell’esser percepiti come depositari della sconfitta, non si alimenta il consenso, e dall’altro proprio il venir meno della fiducia produce un riflesso condizionato alle regole che dominano il mondo. Un ingranaggio di controllo consensuale che stabilisce le diseguaglianze sociali e territoriali, di fronte al quale non bastano più piccoli accomodamenti. Possiamo noi oggi partire dalla pratica della problematizzazione? Problematizzare dunque i bisogni per una rinnovata consapevolezza dei subalterni, nelle forme materiali e immateriali dello sfruttamento, creare coscienza, nuove comunità di lotta, un nuovo “Noi” capace di sradicare l’io edonista, ripristinare quindi nella militanza quel “camminare ascoltando, domandando” che sa di relazione, dell’apertura di nuovi spazi di resistenza e rivendicazione.In fine ringrazio la rivista “Su la Testa” per questo spazio dedicato al Sud, e “se nulla resterà di queste pagine, speriamo che resti almeno la nostra fiducia nel popolo. La nostra fede negli uomini e nella creazione di un mondo dove sia meno difficile amare”10.
1 Marcello Colasurdo, in apertura ai suoi concerto scandiva: Meglio ‘na tammurriata ca na guerra, come inno contro ogni guerra
2 E’Zezi-Gruppo Operaio, Flobert, 1975
3 Giovanni Russo Spena, I movimenti antiliberisti e l’identita meridionale, in Lezioni Meridionali, pag 109, ed. Left, Roma, 2021
4 Miguel Mellino, in La critica postcoloniale. Decolonizzazione.Capitalismo e cosmopolitismo nei postcolonial studies, ed Meltemi, Sesto San Giovanni, 2005
5 Giovanni Russo Spena, Loredana Marino, Federalismo secessionista, Sud e neoborbonismo, blog-lavoroesalute.org, 2022
6 Sergio Marotta, Il dualismo economico italiano, dalla questione meridionale al PNRR, in Lezioni Meridionali, pag 81 ed Left, 2021
7 Carta del Sud. Carta dei diritti del Sud, per il Sud e l’Italia, in Critica della identità pandemica, pag 197 ed. Melagrana, 2021
8 Sulla Teoria dello sganciamento, AMIR Samir
9 Su materialismo geografico SAID Edward
10 Paolo Freire, La pedagogia degli oppressi, 1968
* Loredana Marino, segretaria della federazione di Rifondazione Comunista di Salerno, del LabSud.