Serve l’alternativa. No al ritorno con il centrosinistra
Paolo Ferrero
Ho proposto alla redazione di Su la testa un numero speciale sul Congresso del Partito della Rifondazione Comunista perché, di fronte a divergenze politiche rilevanti, penso che la libera discussione costituisca il miglior antidoto alle risse, alle bugie e alle rotture.
È evidente che il partito può uscire dalle difficoltà solo se dal congresso uscirà un progetto politico chiaro, in grado di aggregare forze e quindi di rilanciare Rifondazione Comunista.
Molte compagne e compagni sono però preoccupati per il clima interno al partito. Mi permetto di fare una proposta: tutto il gruppo dirigente prenda l’impegno – qualunque sia l’esito congressuale – a restare nel partito. Sarebbe un bel segnale. In ogni caso questo è il mio impegno.
Il documento 2, che sostengo, si intitola:
Contro la guerra per un mondo nuovo
Per una coalizione popolare contro la guerra, il liberismo, la devastazione ambientale, il fascismo.
Per il rilancio del Partito della Rifondazione Comunista nel campo dell’alternativa.
Questo titolo riassume la proposta politica che avanziamo e che occupa due terzi del documento stesso: abbiamo cercato di fare un documento che avanzasse proposte concrete e precise su come uscire dalla situazione attuale piuttosto che fare tante analisi per poi esprimere in termini fumosi e scarsamente comprensibili cosa fare. La nostra crisi è grave e può essere risolta solo con una proposta politica concretamente praticabile, su cui ricostruire l’unità del partito e scongiurare fratture.
Terzo polo si o no?
Il punto principale di divisione congressuale, da cui originano la proposta di due linee politiche diverse, riguarda la scelta se il Partito della Rifondazione Comunista debba lavorare per costruire un polo politico alternativo a quelli esistenti oppure no.
Nel Documento 2 si motiva perché la costruzione di uno schieramento politico alternativo a centro destra e centro sinistra è decisivo per contrastare la guerra e le spese militari, per costruire una larga opposizione sociale, per ricostruire la fiducia nella politica tra le classi popolari, per sconfiggere i fascisti prosciugando il loro bacino di consenso. Al contrario, il Documento 1 – a partire da una proposta di svolta rispetto a quanto deciso a Chianciano nel 2008 – ritiene che non vi sia lo spazio politico per la costruzione di un terzo polo e che quindi si debba cambiare linea politica, tornando a dar luogo ad alleanze elettorali che – in assenza di un terzo polo – non possono che collocarsi nel quadro bipolare.
Il polo alternativo è indispensabile
La seconda repubblica bipolare non è un fatto solo istituzionale ma una complessiva riorganizzazione dello spazio politico e dell’immaginario pubblico al fine di espellerne i bisogni popolari e la possibilità del cambiamento. Il bipolarismo incorpora il dominio di classe in una struttura fintamente neutrale: non a caso è stato introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione, vanificandone il carattere aperto e socialmente progressivo.
Il bipolarismo istituzionale è inseparabile dall’organizzazione dei principali media, che riproducono il bipolarismo nell’immaginario sociale, cancellano i problemi di fondo del paese ed i punti di vista non omologabili. In altri termini, i due poli politici, i loro sistemi di finanziamento ed i media ad essi connessi, sono espressione delle classi dominanti, dei loro interessi. Nella seconda repubblica, dopo la distruzione del PCI e dei partiti di massa, ci troviamo dinnanzi a due poli diversi ma intercambiabili: per questo motivo concreto il sistema dell’alternanza non è la strada attraverso cui costruire l’alternativa ma la sua negazione. Perché riduce la politica ad una diversa governance di decisioni antipopolari, immodificabili: guerre, spese militari, austerità.
Detto altrimenti il bipolarismo della seconda repubblica è la forma attraverso cui le classi dominanti hanno preso possesso dell’intera sfera pubblica espellendo dalla politica sia le classi subalterne che la possibilità dell’alternativa.
I proletari non vanno a votare
Di questo fatto – che si è progressivamente affermato in Italia nell’ultimo trentennio – se ne sono perfettamente rese conto le classi popolari che infatti non vanno più a votare: l’astensione è oggi normalmente oltre il 50% e tra gli strati popolari raggiunge l’80%. Muoversi all’interno del bipolarismo significa muoversi all’interno di un sistema che somiglia sempre più a quello dell’Italia di fine ’800, in cui votavano solo i ceti abbienti e la divisione tra destra e sinistra era totalmente interna alle classi dominanti. Muoversi all’interno del bipolarismo, con questi rapporti di forza, non è una scelta tattica ma implica la consapevolezza di diventare la sinistra di sua maestà, una sinistra ornamentale che partecipa ad una partita truccata senza poterne cambiare le regole. Non è per questo motivo che i compagni e le compagne si sono opposte allo scioglimento del PCI e abbiamo dato vita a Rifondazione Comunista.
Il problema che abbiamo dinnanzi è infatti simile a quello che aveva il movimento operaio e socialista a fine ‘800, quando era escluso dalla politica istituzionale e la “questione sociale” non veniva considerata una questione politica ma di ordine pubblico o di carità. Il movimento socialista non si aggregò alla sinistra storica borghese ma costruì una propria rappresentanza politica e sindacale, presentò una propria visione del mondo e così nel ventesimo secolo divenne il protagonista indiscusso della scena sociale e politica. Anche oggi dobbiamo unificare le classi subalterne e imporre i loro interessi nel gioco democratico: non essendo possibile farlo nella gabbia bipolare occorre forzarne i confini, come ha fatto il movimento socialista a fine ‘800 in Italia e come hanno fatto i movimenti in America Latina e Melenchon in Francia.
Pensare di poter far vivere l’alternativa all’interno del bipolarismo è come pensare di poter coltivare l’insalata in punta all’Everest: impossibile. Per questo occorre costruire una terzo polo che modifichi il quadro.
Il fascismo si sconfigge a partire dalla società
La marginalizzazione delle classi subalterne dalla vita politica alimenta la disgregazione sociale, l’individualismo, il senso di impotenza. È in questo quadro di insicurezza generalizzata che nasce la guerra tra i poveri e la ricerca di uomini – e donne – della provvidenza. In altri termini le classi popolari sconfitte ed escluse, senza speranza e senza referenti politici, diventano la base sociale delle destre fascistoidi. Le elezioni statunitensi sono li a dimostrarlo: l’accusa a Trump di essere un fascista non ha impedito a milioni di proletari di votarlo alla ricerca disperata di una sicurezza che non avranno. Per sconfiggere i fascisti occorre costruire un credibile percorso collettivo di aggregazione e di lotta contro il disagio e l’insicurezza sociale e una visibile proposta politica coerente con questa. Per sconfiggere il populismo fascista che fa leva sull’insicurezza sociale è necessaria una alternativa popolare contro le elites, quelle finanziarie come quelle guerrafondaie. Questo è il nodo su cui lavorare e riflettere: la logica del meno peggio non scalda i cuori e non riempie la borsa della spesa, non aumenta i diritti e non toglie consensi ai fascisti.
Di fronte alla pesantezza di questa situazione non è sufficiente invocare, come fa il Documento 1, che il PD della Schlein è diverso da quello di Renzi. Questa ovvietà non toglie che il PD della Schlein si confermi fedele alla NATO, abbia votato a Bruxelles a favore della terza guerra mondiale, a Roma tutti gli aumenti delle spese militari e si muova come la sezione italiana del Partito Democratico statunitense: nulla di sostanzioso è cambiato. Rifondazione oggi sarebbe nelle condizioni di ottenere di più di quanto ottenemmo da Prodi nei decenni scorsi? Ma per favore… La Schlein che si consulta con Draghi è a sinistra come lo è stato Bersani – che sostenne il governo Monti e votò la legge Fornero – e come lo è la Kamala Harris, non a caso drammaticamente inefficace nel contendere i voti popolari ad un fascistoide come Trump.
La soluzione del problema non consiste nel ricominciare, in nome dell’antifascismo, a costruire fallimentari alleanze con i liberisti, in una sorta di infinito gioco dell’oca, ma nella costruzione di una coalizione popolare contro la guerra e le spese militari a favore dello sviluppo del welfare, della riduzione d’orario, della riconversione ambientale, della democrazia e della ricostruzione di legami sociali comunitari.
In altre parole per sconfiggere i fascisti occorre prosciugare la palude in cui sguazzano le destre attraverso una coalizione popolare, portatrice di una alternativa chiara che si saldi con la ripresa del conflitto di classe. Semplice? No, ma questo è il compito ineludibile con cui si debbono misurare i comunisti e le comuniste.
Come si esce da questa situazione
Sino a qui ho motivato perché che la scelta di costruire un polo politico alternativo a quelli esistenti costituisce la scelta strategica da operare al congresso, evitando di ricominciare il gioco dell’oca delle alleanze che già tanti guai hanno portato al partito (Crucianelli, Cossutta, Vendola…).
La scelta dell’alternativa non costituisce però la soluzione del problema ma solo la giusta direzione in cui lavorare. La soluzione la dobbiamo costruire insieme con proposte concrete e praticabili: per questo nel documento abbiamo rivisitato criticamente le cose fatte e per questo non basta, come è stato fatto in questi anni, evocare l’alternativa e poi lamentarsi che non “accade”: l’alternativa va costruita quotidianamente con un progetto chiaro e riconoscibile. Sfasciare Unione Popolare per fare Pace Terra e Dignità – di cui due mesi dopo non si sa più nulla – non è una buona strada per costruire l’alternativa.
Mentre il bipolarismo è la forma istituzionale del capitalismo in Italia, la costruzione dell’alternativa chiede un lavoro specifico nostro, chiede l’accumulo di forza, di un potere costituente. Quando il partito arriva a tre mesi dalle elezioni per decidere cosa fare, ha già perso: sia che vada col PD o che scelga – meritoriamente – di presentarsi in alternativa. La soluzione sta nella costruzione di un percorso politico negli anni, in modo che quando arrivi alle elezioni tu possa essere riconosciuto e quindi percepito come utile. Questo è il nodo su cui proponiamo di fare passi avanti concreti.
Le proposte del Documento 2
- Mobilitazione sociale e opposizione al governo. Occorre operare per la costruzione dell’opposizione al governo e per la massima mobilitazione sociale e democratica sulla base di obiettivi chiari e condivisi: dal no alla guerra e alle spese militari, per il rilancio del welfare, la difesa dell’ambiente, dei diritti e della democrazia e così via. La ripresa della mobilitazione sociale è decisiva per fermare il governo e ricostruire un senso di se ed un protagonismo delle classi popolari e noi operiamo per il massimo allargamento del conflitto sociale senza alcun settarismo, con la sola discriminante antifascista, a prescindere dalla condivisione del nostro progetto politico. Se il PD è disponibile a fare il referendum contro l’autonomia differenziata noi lavoriamo insieme unitariamente e operiamo per allargare queste possibilità.
Nella costruzione di mobilitazione e conflitto sociale Rifondazione comunista deve avere una sua specificità nell’intrecciare il no alle spese militari con la difesa e il rilancio del welfare e dei diritti sociali. Dobbiamo diventare il partito del taglio delle spese militari per finanziare la spesa sociale, a tutti i livelli e su tutti i settori. - Battaglia delle idee. A tutte e tutti coloro che operano nel campo della formazione dei saperi – in primo luogo Scuola, Università e Ricerca – avanziamo un appello alla mobilitazione che intrecci la difesa della propria condizione materiale alla contestazione dello stato di guerra che riduce risorse e porta alla criminalizzazione del pensiero critico, alla messa in discussione della libertà di insegnamento. Riteniamo necessario che i saperi sociali e la produzione di cultura critica non vengano “arruolati” ma contribuiscano all’alternativa e alla tenuta del tessuto democratico del paese.
- Sul piano politico proponiamo di costruire una coalizione popolare contro la guerra, il liberismo, la devastazione ambientale, il fascismo, che – da sinistra – si batta contro la guerra e le spese militari, costruisca l’opposizione al governo Meloni e un’alternativa al PD.
Una coalizione popolare fuori dal bipolarismo e contro la Seconda repubblica, che parta dall’attivismo sociale, dai comitati, dalle mille esperienze di autorganizzazione sociale che animano il tessuto democratico del paese. Che coinvolga le organizzazioni politiche che si sono pronunciate contro la guerra: da un lato la galassia delle forze di sinistra, anticapitaliste e comuniste che al di fuori del Parlamento si oppongono da sempre alle politiche di guerra e austerità, dall’altro il variegato mondo dei 5 stelle e Sinistra Italiana, a cui chiediamo di abbandonare l’alleanza con il PD.
Non un contenitore indistinto in cui il PRC scompaia, come è accaduto con Pace Terra e Dignità, ma una convergenza che duri nel tempo. Che, dall’opposizione al governo e alle politiche di guerra, ribalti i rapporti di forza con la sinistra moderata e apra quindi la strada all’alternativa, cioè alla possibilità per le masse popolari di tornare ad utilizzare il voto per difendere i propri interessi e le proprie ragioni, come fatto in Francia da Melenchon. Una convergenza che prepari – da oggi e non all’ultimo momento – le prossime elezioni politiche. - Costruire una connessione positiva tra la situazione mondiale e la mobilitazione in Italia. La lotta dei BRICS per affermare un mondo multipolare è un fatto molto positivo che apre una possibilità di azione politica per il nostro partito e per tutti i movimenti anticapitalisti.
Mentre il documento n. 1 afferma che il multipolarismo c’è già, è vero il contrario: basta guardare al genocidio del popolo palestinese che prosegue impunito. Gli USA vogliono impedire con la guerra e le sanzioni che si affermi quel mondo multipolare a cui anelano i paesi non occidentali. Noi dobbiamo entrare in sintonia con questo variegato movimento e costruire ponti tra la situazione italiana e quella globale saldando la lotta per la pace a quella per un mondo multipolare cooperativo. Si tratta di una occasione da non perdere.
In primo luogo dobbiamo costruire in Italia un movimento di rilancio del welfare legato al No alla guerra e al taglio delle grandi spese militari.
In secondo luogo dobbiamo costruire un movimento di opinione per l’indipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti. I privilegi degli USA, messi in discussione dai BRICS, sono oggi fatti pagare ai popoli europei. L’autonomo ingresso dei popoli europei nell’agone mondiale è decisivo per fermare le guerre e affermare il multipolarismo: anche per questo proponiamo l’uscita dell’Italia dalla NATO e l’ingresso nei BRICS, per forzare i vincoli in cui siamo imprigionati; lo sta facendo Cuba, facciamolo noi!
La necessità del comunismo
Per rilanciare il Partito, si tratta innanzitutto di rilanciare con forza la nostra proposta comunista. Il comunismo non è – come pensano taluni – un fardello da lasciare sullo sfondo, ma bensì una fondamentale risorsa nello scontro politico odierno. Con un capitalismo in crisi che si fa regime e cerca di arruolare i popoli nella guerra di civiltà, per reggere lo scontro serve una visione del mondo forte ed alternativa, radicata nel conflitto sociale. Il comunismo, movimento storico contro lo sfruttamento e la guerra, ci fornisce l’armatura per reggere il conflitto e rappresenta il punto centrale attorno a cui rilanciare il Partito.
Per le giovani generazioni oggi imprigionate in un eterno presente, occorre rilanciare il comunismo come immaginario che orienta, qui ed ora, la trasformazione sociale. Il comunismo come concreta prassi di liberazione:
Per superare gli arbitrari rapporti sociali capitalistici che impediscono di godere – già oggi – delle conquiste realizzate dall’umanità, della possibilità concreta di uscire dalla condizione di bisogno e di guerra.
Per azionare il “freno d’emergenza” e fermare il capitale, la sua accumulazione illimitata e le logiche imperialiste, che ci portano nell’abisso.
Per riconoscere il carattere anticipatorio e comunista delle pratiche di democratizzazione della vita quotidiana che si sviluppano sui territori: dal rilancio dei beni comuni alle pratiche sociali solidali e gratuite nelle comunità locali.
Per queste ragioni di fondo riteniamo necessario il rilancio e la riprogettazione del Partito della Rifondazione Comunista, che ha la sua ragione d’essere nel rilancio della proposta comunista a partire dal no alla guerra.
La riprogettazione del partito
Per rilanciare il partito occorre innanzitutto fare i conti con la situazione di debolezza in cui ci troviamo che oggi viene strumentalmente utilizzata per indicare come unica via di salvezza il dialogo con il centro-sinistra.
Una situazione di debolezza che nasce da errori fatti nel corso del tempo e che oggi si nutre dall’assenza di una prospettiva politica chiara, della definizione del ruolo da svolgere nell’Italia di oggi. Questa indeterminatezza, che allontana i giovani, porta il partito a dividersi in continuazione – come nelle elezioni amministrative e regionali – dando vita ad un indirizzo altalenante quando non subalterno ai progetti politici altrui. Nell’invitarvi a leggere nel documento 2 il complesso delle proposte che avanziamo, voglio sottolineare un punto solo:
Occorre superare il partito che riduce la sua attività a commento
Il partito deve esprimere una prospettiva, una visione, essere un intellettuale collettivo. Occorre curare il rapporto con il mondo intellettuale, intrecciare formazione e confronto politico, dando vita ad un inedito laboratorio comunista: dobbiamo fare il contrario degli ultimi anni, dove l’elaborazione e il confronto sono diventate merce rara trasformandoci in un partito leggero, a volte evanescente. Il partito esiste se comunica pensieri lunghi, se fa tendenza, offrendo analisi e proposte di cambiamento: Il contrario della pratica del commento politicista che oramai ci caratterizza da troppo tempo.
Ridare una prospettiva al partito e comunicarla: occorre decuplicare la comunicazione del partito a partire dal coinvolgimento di tutte le persone – e sono tante – disponibili: dobbiamo diventare un produttore di senso, di analisi, proposte, orientamento politico.
Per ricostruire un partito militante, fondato sul radicamento sociale, occorre ristrutturare del tutto il modo di lavorare e le priorità. Per radicare il partito è necessario formare quadri in grado stare nelle lotte, sviluppare gli sportelli sociali, la vertenzialità, generalizzare le pratiche di solidarismo conflittuale. Più analisi e cultura, più lotte e pratiche sociali, meno politicismo!
Infine, ma è la prima cosa da fare, occorre attuare al Congresso nazionale il ricambio generazionale a partire dalla prima fila del partito: è una decisione già assunta nello scorso congresso ma che la maggioranza dell’attuale gruppo dirigente si è rifiutato di attuare. Si tratta di una necessità non rinviabile per fare le cose sopra elencate, aprire nuovamente il Partito alle giovani generazioni e rilanciarlo.