Per l’ Unione Popolare
di Paolo Ferrero
Guerra, pensioni, lavoro precario, inceneritori, rigassificatori, TAV, competitività internazionale, no alla tassazione sulle grandi ricchezze… Potrei proseguire a lungo, ma l’elenco dei temi politici di prima grandezza, caratterizzanti il modello economico e sociale, su cui centrodestra e centrosinistra hanno posizioni simili o coincidenti, è molto consistente. Parimenti le ideologie della competitività, del libero mercato, della centralità del privato, della fedeltà alla NATO, sono anch’esse condivise in modo bipartisan.
Tra i due schieramenti vi sono però anche significative differenze: basti pensare al tratto fascista e smaccatamente razzista che caratterizza larga parte della destra. La crescita della destra estrema è un pericoloso fenomeno in espansione in larga parte dell’Occidente capitalista devastato dalle politiche liberiste. Abbiamo così un centrosinistra e una destra fascistoide che si contendono il potere al fine di applicare e gestire le stesse politiche liberiste.
In questo modo il bipolarismo italiano – inteso come sistema politico, mediatico e istituzionale – esprime compiutamente gli interessi delle classi dominanti, contro gli interessi delle classi subalterne. Siamo giunti all’esito estremo delle sciagurate scelte attuate da Occhetto – prima con lo scioglimento del PCI e poi con l’instaurazione di un sistema elettorale bipolare – che ha trasformato la politica italiana in amministrazione delle scelte neoliberiste assunte a Maastricht. Per questo Rifondazione Comunista in questi 30 anni si è sempre battuta contro il bipolarismo.
In questo contesto “ostile” della Seconda Repubblica, che ha risuscitato e sdoganato i fascisti, la sinistra antiliberista, a seconda delle situazioni contingenti, ha scelto a volte l’alleanza con il centrosinistra, a volte la desistenza, a volte la contrapposizione. Il risultato è che la sinistra di alternativa in questi ultimi 30 anni non è riuscita a costruire un polo politico riconosciuto ed efficace nel paese.
Le politiche liberiste alimentano la destra
Penso che occorra uscire da questo percorso altalenante, a partire da una considerazione di fondo: il consenso alle ipotesi fascistoidi cresce nella devastazione prodotta dal liberismo. Un’efficace politica antifascista non può quindi che essere una lotta radicalmente antiliberista. Pensare che esista un prima e un dopo, che prima si lotti contro i fascisti e poi contro il liberismo, significa condannarsi alla sconfitta su entrambi i fronti (come abbiamo motivato nel numero scorso della rivista, il 13).
Sono infatti le politiche neoliberiste e di guerra – che caratterizzano sia la destra liberista che il centrosinistra liberista – che aggravano la situazione sociale, disgregano il tessuto sociale ed alimentano la guerra tra i poveri. Le politiche liberiste non lasciano inalterata la situazione sociale e il rapporto tra questa e la politica ma – in assenza di una proposta alternativa praticabile – tendono a favorire la distruzione della democrazia, il degrado sociale ed in definitiva le tendenze fascistoidi. Proprio l’assenza di un contrasto politico dispiegato ed efficace alle politiche neoliberiste, l’assenza di una efficace sinistra di alternativa – a livello locale come a livello nazionale, a livello politico come sociale e culturale – favoriscono il crescere del consenso alla destra.
La storia degli ultimi 30 anni è infatti storia di governi di centrosinistra o tecnici che preparano le condizioni per una vittoria delle destre e un rafforzamento di quelle estreme. Occorre quindi prendere atto che l’alleanza elettorale con i liberisti finalizzata a sconfiggere le destre non produce gli effetti sperati ma tende ad aggravare la situazione: non fermando le politiche liberiste, si favorisce la disgregazione sociale di cui si nutre la destra e rafforza il bipolarismo da cui è strutturalmente esclusa l’alternativa. L’unica politica antifascista efficace è una politica antiliberista, una politica che ricostruisca legami sociali.
Queste considerazioni valgono sia a livello nazionale che regionale o locale. E’ Infatti evidente che in questi decenni i tagli di risorse destinate alle Regioni e soprattutto ai Comuni sono stati tali da rendere pressoché obbligatoria l’applicazione di politiche antipopolari. Non ha quindi senso parlare di accordi tattici con il centrosinistra negli enti locali perché dati i rapporti di forza, si diventerebbe noi stessi amministratori delle politiche liberiste. Proprio a livello locale, ha invece senso costruire liste e coalizioni che si pongano l’obiettivo di governare in netta e conclamata opposizione alle politiche nazionali, come è stato fatto a Napoli.
Questo cerchio deve essere spezzato.
Come accadde all’inizio del ‘900, con la nascita del movimento operaio organizzato, anche oggi occorre costruire i percorsi culturali, sociali e politici attraverso cui le masse popolari possano appropriarsi della politica, cioè della trasformazione sociale fondata sull’azione collettiva.
Da questa semplice considerazione nasce l’esigenza di aggregare la sinistra antiliberista come stiamo facendo con Unione Popolare. In una situazione in cui i poli politici presenti nel Paese sono, nelle loro diversità, portatori di una regressione sociale di natura antipopolare, è necessario dar vita ad una unione popolare che si ponga l’obiettivo di costruire l’alternativa e riattivare il protagonismo politico degli strati popolari.
Per quanto riguarda le novità politiche dell’ultima fase, relativamente a PD e 5 stelle, due mi paiono gli elementi rilevanti. In primo luogo la segreteria Schlein. Questa si caratterizza per un discreto dinamismo comunicativo nell’opposizione al governo, con una ricaduta significativa sul terreno dei diritti civili. Nulla è però mutato per quanto riguarda l’estremismo atlantistico e guerrafondaio del PD e poco in merito alle politiche economiche e sociali. La vittoria della Schlein alle primarie, che ha sollevato notevoli aspettative, si caratterizza per un tono maggiormente di sinistra – più prodiano che renziano – ma l’’impianto complessivo del PD resta interno al paradigma neoliberista che, come sappiamo, fa parte del problema e non della soluzione.
Per quanto riguarda i 5 stelle, vanno registrate positivamente le posizioni sulla guerra e alcune questioni sociali. Il problema è che questi elementi – mischiati a molti altri del tutto discutibili – non hanno per ora dato luogo a una chiara scelta di collocazione politica. Per le ragioni sopra esposte si tratta di un punto dirimente: mentre è ovvia e necessaria la collaborazione sui vari temi su cui vi sono convergenze – a partire dal no alla guerra – una interlocuzione politica proficua può nascere solo da una modifica della collocazione politica dei 5 stelle che veda la rottura con il PD e la scelta del terreno dell’alternativa.
L’obiettivo centrale resta quindi la costruzione consapevole di una proposta politica autonoma dal centrosinistra liberista. Alcune esperienze internazionali ci confermano che la fondazione indipendente di un progetto alternativo a forte connotazione sociale è una condizione decisiva per lo sviluppo dello stesso. Vale nel complesso delle esperienze latinoamericane, dove la larga maggioranza delle esperienze di sinistra che hanno prodotto governi di cambio sono nate in completa autonomia e contrapposizione rispetto alle forze del centrosinistra che animavano precedentemente il paesaggio politico di quei paesi.
La situazione europea è più variegata e non credo sia possibile trarre un’indicazione univoca. Interessante mi pare il caso francese indicato da alcuni come l’esempio dell’unità a sinistra. E’ opportuno sottolineare come Mélenchon abbia costruito il prestigio della sua proposta politica e fondato il suo consenso agendo per lunghi anni in completa autonomia dai socialisti. Mélenchon ha dato vita alla NUPES solo dopo che la forza politica ed elettorale della sinistra di alternativa aveva superato abbondantemente quella del Partito Socialista e lo aveva nei fatti disarticolato. La convergenza con le forze della sinistra moderata è stata quindi praticata dalla sinistra di alternativa dopo aver rovesciato i rapporti di forza e sconfitto il disegno egemonico di queste forze moderate. Senza voler trarre leggi generali da un caso specifico, l’esempio francese mi pare fornire una indicazione interessante: costruire un polo della sinistra di alternativa in autonomia e alternativa alle forze della sinistra moderata, ricercando una possibile convergenza sui contenuti solo quando i rapporti di forza siano tali da far si che il profilo politico sia il nostro e non il loro. Questo modo di procedere è interessante anche perché ha un significativo corrispettivo a livello sociale: le lotte francesi sulle pensioni sono unitarie e plurali, con pratiche di lotta e contenuti molto avanzati.
Costruire in Italia un polo politico di alternativa non è per nulla facile proprio perché il bipolarismo è stato pensato e attuato per favorire il ricambio dei ceti politici dominanti sempre all’interno dello stesso paradigma, ridisegnando l’immaginario politico, culturale e sociale del paese. Come in un’azienda si può cambiare l’amministratore delegato ma la mission dell’impresa resta la stessa, la politica è stata ridotta ad amministrazione della volontà dei poteri forti, a governance. In questo quadro non solo le elezioni debbono ridursi ad una rappresentazione teatrale al di là della quale, chiunque vinca, non siano messe in discussione le scelte di fondo, ma le stesse istanze di trasformazione presenti nella società vengono piegate all’interno di questo schema privo di soluzioni reali. Rompere il meccanismo di bipolarismo capitalista, andare oltre questa danza immobile, è complicato ma decisivo e ineludibile per chi voglia cambiare le cose.
Costruire Unione Popolare
Per questo è innanzitutto necessario produrre uno scarto, una discontinuità non solo sul terreno politico ma nel rapporto tra la società e la politica, tra la cultura e la politica.
Mi verrebbe da dire che il nodo fondamentale è quello di realizzare pienamente il nome che ci siamo dati: Unione Popolare. La definizione che abbiamo scelto infatti dice l’essenziale: in una fase in cui il capitalismo opera per mettere gli strati popolari l’uno contro l’altro in una guerra tra i poveri a tutti i livelli (dalla “guerra guerreggiata” alla competizione concorrenziale esasperata per arrivare al regionalismo differenziato, mostrando la significativa contiguità tra queste dinamiche), il nostro compito fondamentale è la costruzione dell’unione del popolo e tra i popoli, cioè l’unione popolare.
Non è facile. Larga parte della popolazione ha difficoltà ad individuare chiaramente le cause del proprio disagio. L’apparato mediatico mainstream costruisce una narrazione falsa che riconduce alla guerra con gli altri popoli – economica o militare a seconda delle fasi e delle tendenze – il punto fondamentale. Ogni giorno ci viene ripetuto a reti unificate che siamo in una situazione di scarsità, non ce n’è per tutti e quindi bisogna sgomitare, più o meno pesantemente, per conquistare un posto al sole. Inoltre l’esperienza concreta che le persone fanno, proprio in virtù delle politiche liberiste, è quella della guerra di tutti contro tutti. Eppure di fronte al Covid, alla guerra o alla necessità di salvare le banche, i soldi saltano magicamente fuori e addirittura appaiono “i crediti che non debbono essere restituiti”…. La narrazione sulla moneta e sull’economia è oggi il principale aspetto dell’ideologia dominante che necessita di demistificazione.
Di fronte alla pervasività della narrazione – e alla pesantezza degli effetti – delle politiche neoliberiste, non possiamo dare nulla per scontato: la lettura di classe che ha caratterizzato il nostro paese nella seconda metà del ‘900 viene oggi vista come un residuo del passato, inutilizzabile per capire cosa succede nel presente. Occorre quindi innanzitutto proporre analisi e prospettive che evidenzino qui e ora, con un linguaggio comprensibile per le giovani generazioni, i nessi tra cause reali ed effetti percepiti.
La scelta di essere alternativi ai poli politici oggi presenti non si esaurisce quindi in una scelta di posizionamento politico ma costituisce la precondizione per dar vita a un diverso approccio alla politica in cui la narrazione dominante venga consapevolmente contrastata e rovesciata da una nuova e plurale narrazione popolare. A tal fine, il percorso di costruzione di Unione Popolare dovrebbe dar vita a un percorso costituente di una nuova soggettività popolare, che vada al di là della ghettizzazione in cui è stata rinchiusa la sinistra radicale, articolando nuovi orizzonti per la maggioranza del popolo italiano.
Contro la narrazione dominante, alcune idee per una nuova politica.
Il punto principale è che non esiste alcuna scarsità economica: il mondo come l’Italia non è mai stato così ricco. La scarsità deriva dall’accaparramento da parte del 10% più ricco della popolazione – nel mondo come nel nostro paese – della stragrande maggioranza delle risorse; deriva dalle enormi spese militari. L’unica cosa scarsa è la terra, il nostro habitat che quindi deve essere preservato con una radicale opera di riconversione ambientale delle produzioni e dei consumi. La guerra, come la concorrenza e il regionalismo differenziato, non fa che accentuare i fenomeni di polarizzazione sociale e di distruzione dell’ambiente. Anche il complesso delle subculture razziste, maschiliste, omofobe, nazionaliste e così via – che hanno radici proprie che vanno combattute a fondo – dilagano e acquistano un peso crescente in questa situazione di presunta scarsità in cui l’unica soluzione pare essere fondata sulla guerra al diverso e nella costruzione di comunità organiche escludenti.
In secondo luogo la guerra non è un destino necessitato ma una scelta criminale delle élites che vogliono mantenere e allargare i propri privilegi. La guerra è strettamente connessa ai meccanismi di sfruttamento delle persone e della natura da parte di un’oligarchia capitalistica. La guerra è intrinsecamente e completamente antipopolare: è la barbarie e lo sterminio. Non esiste alcuna guerra giusta o alcuna guerra necessaria o utile. La guerra invocata dalle élites occidentali è a tutti gli effetti una guerra mondiale: una guerra che nessuno può vincere perché porta alla distruzione. La guerra non può essere vinta ma può solo essere fermata.
Sulla base dell’abbondanza economica e del rifiuto della guerra, è possibile costruire un mondo ed un Paese fondato sulla pace, sul disarmo, sulla cooperazione, sulla solidarietà, sulla redistribuzione delle risorse e del lavoro produttivo e riproduttivo, sul rispetto dell’ambiente, sul libero sviluppo degli individui, sulla libera scelta delle proprie comunità di appartenenza. Al contrario del presidenzialismo e del regionalismo differenziato, occorre sottomettere il potere economico alle scelte democratiche, soddisfare i bisogni sociali in forma pubblica, nel rispetto della libera scelta degli individui nei campi che riguardano i propri orientamenti personali. Questa prospettiva è l’unica che può garantire il futuro della specie umana in quanto tale sul pianeta.
Infine, non è vero che il mondo e l’Italia non si possono cambiare. Il mondo è sempre cambiato e sta continuando a cambiare. Il potere di cambiare lo hanno le donne e gli uomini, lo ha il popolo, se solo se ne rende conto e prende in mano il proprio destino. Questa presa di coscienza non è un fatto individuale ma chiede il superamento dell’atomizzazione sociale e la costruzione di luoghi comunitari aperti che permettano il dialogo, la sperimentazione di pratiche solidali, la costruzione di lotte collettive. La produzione di un nuovo senso comune e l’esercizio del potere da parte del popolo chiede la pratica di forme di azione collettiva a tutti i livelli: dalle questioni sociali, a quelle ambientali a quelle legate allo sviluppo della personalità. L’uomo e la donna sono animali sociali e solo uniti si vince.
E un’organizzazione nuova
Ovviamente uno spazio politico che si ponga gli obiettivi sopra descritti deve avere a mio parere caratteristiche innovative.
In primo luogo essere a bassa soglia d’ingresso. L’adesione a UP segnala la partecipazione a un processo di cambiamento variegato e plurale, con pochi obiettivi chiari e qualificanti, non implica la condivisione di una visione del mondo come nel caso dell’adesione a Rifondazione Comunista. Dobbiamo aggregare tutte le donne e gli uomini che rifiutando la guerra e il liberismo vogliono costruire un nuovo spazio politico. L’adesione a Unione Popolare deve essere larga e di massa, coinvolgere le persone e le associazioni che lottano per la giustizia sociale, per l’ambiente, per i diritti, che costruiscono spazi e legami sociali. La valorizzazione della pluralità delle provenienze e delle appartenenze – comunismo, ambientalismo, femminismo, fede religiosa, attivismo sociale, sui diritti, etc. – costituisce un vero banco di prova per l’utilità di UP. Noi di Rifondazione Comunista abbiamo deciso collettivamente di dar vita a Unione Popolare proprio perché vogliamo che questa diventi la casa di tutte e tutti coloro che lottano per l’alternativa.
In secondo luogo UP, oltre ai partiti che hanno contribuito a fondarla, dovrebbe a mio parere puntare ad aggregare il complesso dei partiti e delle organizzazioni politiche che si muovono sul terreno dell’alternativa. Per due ragioni. Unione Popolare non nasce per costruire l’unità delle forze della sinistra di alternativa ma è del tutto evidente che questo fatto costituirebbe un fattore di credibilità. Basti pensare alle reazioni che vi sono alle elezioni quando si vedono due o tre liste a sinistra del centrosinistra in lite tra di loro. Per diventare un punto di riferimento popolare, occorre anche agire responsabilmente il terreno dell’unità e quindi costruire una coalizione sociale, culturale e politica. Vi è però anche un’altra ragione: le organizzazioni che in questi anni hanno lottato per l’alternativa – a partire da Rifondazione Comunista – non hanno vinto ma quel patrimonio di lotte, esperienze, memorie, elaborazioni non deve andare disperso, fa parte della lotta per l’alternativa. La trasformazione sociale non ha nulla a che vedere la modernizzazione moderata di cui fu protagonista Occhetto. Dobbiamo costruire una innovazione antiliberista che non butti il bambino con l’acqua sporca ma al contrario valorizzi ogni percorso conflittuale abbia attraversato questi difficili anni dell’egemonia liberista.
Per realizzare questi obiettivi è evidente che UP non può essere ne una federazione tra organizzazioni né un nuovo – l’ennesimo – partito. Occorre dar vita a una forma politica nuova, a cui possano aderire sia singoli che organizzazioni e che nel contempo sia fondato sul principio di una testa un voto. Da questo punto di vista, gli indirizzi indicati dal coordinamento nazionale provvisorio di UP mi paiono un passo deciso nella direzione giusta: il riconoscimento del ruolo dei partiti che hanno dato vita a Unione Popolare e il pieno coinvolgimento di tutte e tutti i loro aderenti, si coniuga positivamente con l’apertura alle adesioni individuali e con il fatto che i processi decisionali siano fondati sul voto di ogni singola persona. Proprio la consapevolezza che occorre costruire una nuova forma politica, popolare ed ampia, innovativa e possibilmente duratura, sottolinea la necessità che le pratiche decisionali siano fondate sulla ricerca di un consenso largo, per garantire il carattere unitario e plurale dello spazio politico che vogliamo costruire. Dobbiamo costruire un movimento anticapitalista popolare che, rifuggendo ogni forma di estremismo parolaio, sappia connettere positivamente la lotta per la pace, per la soddisfazione dei bisogni sociali e quella contro la mercificazione degli esseri umani e dell’ambiente.
Unità nella diversità
Abbiamo detto che Unione Popolare deve costruirsi come spazio politico unitario e plurale, come Movimento Politico di Massa, alternativo alle classi dominanti e all’ideologia neoliberista, portatore di un radicale progetto di trasformazione della realtà che coinvolga tendenzialmente la maggioranza della popolazione. UP deve quindi diventare una organizzazione di massa, a “bassa soglia d’ingresso”, fondata sull’adesione al programma ed alle proposte concrete, non limitata a un tessuto militante iperpoliticizzato. UP dovrebbe quindi praticare e conquistare il consenso su una proposta di alternativa, che nel suo essere di sinistra utilizzi un linguaggio inclusivo e popolare fondato sulla contrapposizione tra basso e alto. UP, sulla base delle proposte concrete deve aggregare strati popolari ampi al di là di come la crisi della politica ne abbia oggi plasmato la loro autocoscienza politica. Dobbiamo diventare un fattore di politicizzazione di massa – non solo di raccolta di chi è già di sinistra – fondato sull’antiliberismo e sull’antifascismo.
Non si tratta di un compito facile perché significa non solo lottare contro il bipolarismo ma produrre una narrazione e una identificazione che vada al di là del bipolarismo e del modo in cui in questi 30 anni sono state plasmate le identità politiche. Questo richiede il superamento di qualsiasi logica da “estrema sinistra”. Noi non siamo l’estrema sinistra del PD, noi siamo un’altra ipotesi politica che vuole costruire a livello popolare una alternativa al liberismo e alla deriva autoritaria in corso.
La riuscita di questa impresa dipenderà dalla qualità politica della nostra discussione e della nostra azione. Vi sono però due elementi che dovrebbero essere alla base di questa ricerca.
In primo luogo la consapevolezza che la costruzione di un polo politico alternativo a quelli esistenti chiede una vera apertura verso storie, analisi e pratiche diverse dalle nostre. Occorre rendere protagonisti della costruzione di Unione Popolare il complesso delle persone, delle pratiche e delle idee che oggi si contrappongono alla guerra e alla devastazione sociale del capitalismo. Anche a causa della nostra debolezza, gli uomini e le donne che oggi si oppongono, si indignano e non di rado lottano contro le brutture del sistema e per una prospettiva altra, molto sovente non si definiscono ne di sinistra ne comunisti. Queste persone, nella misura in cui condividono gli obiettivi di fondo di Unione Popolare, debbono diventare protagonisti della sua costruzione, non ospiti. A mio parere Unione Popolare deve diventare uno spazio politico dove comunisti, ambientalisti, cattolici, femministe, possono operare insieme per il cambiamento. Quindi il profilo di Unione Popolare dovrebbe a mio parere essere definito dal suo progetto valorizzando fino in fondo il suo carattere plurale.
In secondo luogo la consapevolezza della necessità di costruire i percorsi di una nuova politicizzazione di massa. Noi siamo un paese in cui, in un contesto di peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, metà della gente non va a votare ed in cui dilaga la rabbia e il senso di impotenza. Una situazione simile non dura a lungo. Il centrosinistra non ha letteralmente alcuna proposta politica per rispondere a questa vera e propria crisi di civiltà indotta dal neoliberismo. La destra ha una proposta eversiva e reazionaria che si sostanzia nel presidenzialismo, nella semplificazione autoritaria, nella frantumazione territoriale del paese del regionalismo differenziato. Io penso che noi dobbiamo prefigurare un percorso alternativo, fondato sul protagonismo popolare – dalla fiducia in se a quella nell’azione collettiva – che si intrecci con una rifondazione dello stato, della democrazia e del welfare. Dobbiamo cioè avere non solo un programma, ma una proposta per il paese che permetta una socializzazione della politica a livello di massa.
In conclusione
Ho qui tratteggiato alcuni elementi che possono essere utilizzati nella costruzione di Unione Popolare. Nel corpo della rivista troverete molti altri contributi ed idee su questo tema, così come potrete leggere di varie esperienze di sinistra di alternativa che vengono sviluppate in altri paesi. Il mio auspicio è che questo materiale possa essere utile al fine di aprire una vera discussione sui contenuti e le forme che deve prendere Unione Popolare, per dar vita ad un vero e proprio processo costituente democratico e partecipato di questo spazio politico di cui abbiamo bisogno come il pane.