Per un dibattito di verità fra comunisti/e per una nuova unità del Partito
Dino Greco* e Raul Mordenti**
Andiamo verso il Congresso più difficile della nostra storia, in cui è in gioco l’esistenza stessa del Prc.
Alle grandi difficoltà della situazione politica si è aggiunto in questi ultimi anni una problema interno, cioè il conflitto aperto contro il segretario Acerbo da una parte del gruppo dirigente, con continue richieste di rimozione, tutte respinte dal CPN, senza tuttavia che ciò abbia posto fine allo scontro fratricida, portato anzi a tutti i livelli del Partito, cristallizzatosi in modo personalistico e correntizio, generando divisioni, rancori, enormi difficoltà per la nostra attività politica.
La divaricazione si è riproposta anche nella Commissione politica congressuale, dove è venuta subito in chiaro la decisione di una parte del gruppo dirigente di non discutere, avvalorata da un seminario separato a Paestum, fino a dare al Congresso il carattere di una resa dei conti correntizia.
Un gesto preliminare: sgombrare il campo dalle falsità
Per tornare ad un vero confronto, è necessario il gesto preliminare di rinunciare a falsità che avvelenano la discussione e che rappresentano solo danni per il Partito.
Fra queste ne citiamo solo una, la più grave: l’accusa rivolta al Segretario, e al documento di cui è il primo firmatario, di voler condurre il Prc in braccio al PD, al centrosinistra e al cosiddetto “campo largo”. Eppure sarebbe sufficiente leggere quel documento per capire che questa accusa non ha fondamento alcuno.
In esso si afferma che “…il centrosinistra, per il ruolo egemone del PD e per le classi sociali di cui è riferimento, per la rottura profonda avvenuta con parti importanti delle classi popolari, per l’allineamento oltranzista con l’atlantismo e l’occidentalismo, non è in grado di rispondere alla esigenza di cambiamento che richiede innanzitutto un mutato rapporto di forza tra classi dominate e classi dominanti. Non si pone quindi il tema di un nostro ingresso nel centrosinistra o nel cosiddetto “campo largo” sia perché esso così com’è non è in grado di rappresentare un argine alla destra, sia perché stante la nostra debolezza saremmo sostanzialmente ininfluenti. L’emergere del tema della guerra come fatto centrale della fase politica rende ancora più lontana la possibilità di un avvicinamento. (…) la nostra proposta esclude il “campo largo”, anzi ne rappresenta l’opposto: il “campo largo” vuole essere un’alleanza senza princìpi e programma costruita solo sulla generica opposizione alla destra (che in realtà finisce per rafforzare); noi proponiamo al contrario punti dirimenti di programma, a partire dal no alla guerra e al neoliberismo, su cui verificare a tutti i livelli diverse possibilità, o impossibilità, di convergenze tattiche, ove queste possano servire alla lotta di classe, all’impegno contro le devastazioni ambientali e alla difesa delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari. Questa ipotesi richiede dunque come presupposto l’autonomia politica del PRC (…) “.
Strategia e tattica: la lezione di Marx, Engels e Lenin
L’inconsistente accusa: “volete andare con il PD!” nasconde un problema vero, e cioè se il rilancio del Prc debba consistere in un ripiegamento settario, nel rifiuto pregiudiziale di ogni possibile convergenza, in una predicazione millenaristica e, in definitiva, nell’isolamento identitario, oppure nella riscoperta del ruolo della politica, condizione indispensabile per superare, in ogni situazione, le condizioni dello stato presente e fare muovere le cose in avanti. Su questo antico problema, cioè a proposito del rapporto fra princìpi, tattica e strategia, i nostri “classici” ci hanno lasciato in eredità preziosi insegnamenti, in molte e illuminanti pagine, da cui possiamo ripartire. Ne citiamo di seguito solo un paio.
Nel IV capitolo del Manifesto del Partito comunista, intitolato “Posizione dei comunisti rispetto ai diversi partiti d’opposizione”, Marx ed Engels formulano una serie di indicazioni tattiche, articolate nelle diverse situazioni, che rappresentano una vera e propria lezione di metodo.
“In Francia – scrivono Marx ed Engels – i comunisti si uniscono al partito socialista democratico contro la borghesia conservatrice e radicale” (…), in Svizzera “sostengono i radicali, senza disconoscere che questo partito è composto di elementi contraddittori”; mentre “in Germania il partito comunista lotta insieme con la borghesia, ogni qualvolta questa prende una posizione rivoluzionaria contro la monarchia assoluta, contro la proprietà fondiaria feudale e contro la piccola borghesia reazionaria. Esso però non cessa nemmeno per un istante di sviluppare fra gli operai una coscienza quanto più è possibile chiara dell’antagonismo e dell’inimicizia esistenti fra borghesi e proletariato” (…).
Ecco dunque la dialettica rivoluzionaria applicata alla politica e graduata con duttilità tattica in ogni contesto nazionale: “In una parola, i comunisti appoggiano dappertutto ogni moto rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti (…). E sebbene i comunisti dichiarino apertamente che i loro obiettivi non possono essere raggiunti se non per mezzo della violenta sovversione di ogni ordinamento sociale sinora esistito, essi lavorano all’unione e all’intesa dei partiti democratici di tutti i paesi”.
È ben noto che Lenin si occupò in pagine memorabili dell’accoppiata estremismo/opportunismo. Qui vogliamo fare riferimento ad un testo del 1916, dedicato alla questione nazionale, utile per comprendere, una volta di più, il metodo dialettico e la straordinaria intelligenza tattica di Lenin, duramente polemico nei confronti della pedanteria dottrinaria di una parte dei suoi stessi compagni di partito che li rendeva incapaci di cogliere le opportunità trasformative che la storia offre.
Un esempio tipico di questa miopia lo si trova per Lenin nel giudizio sull’insurrezione irlandese, che una parte dei bolscevichi riteneva “né più né meno che un putsch (…) un movimento puramente urbano, piccolo borghese, il quale, nonostante il grande rumore che faceva, non valeva socialmente un gran che”. In realtà – spiega Lenin – il movimento nazionale irlandese (…) ha trovato un’espressione nelle lotte di strada di una parte della piccola borghesia e di una parte degli operai, dopo una lunga agitazione di massa (…). Chi chiama putsch una simile insurrezione o è uno dei peggiori reazionari oppure è un dottrinario, mostruoso per pedanteria, radicalmente incapace di immaginare la rivoluzione sociale come un fenomeno reale (…). Colui che attende una rivoluzione sociale ‘pura’, non la vedrà mai. Egli è un rivoluzionario a parole che non capisce la vera rivoluzione”.
Lenin prosegue con un’analisi della rivoluzione del 1905:
“La rivoluzione russa del 1905 è stata una rivoluzione democratica borghese (…). Ma obiettivamente, il movimento colpiva lo zarismo e apriva la strada alla democrazia (…). La rivoluzione socialista in Europa non può essere nient’altro che l’esplosione di massa di tutti gli oppressi e di tutti i malcontenti. Una parte della piccola borghesia e degli operai arretrati (…) porteranno nel movimento i loro pregiudizi, le loro fantasie reazionarie, le loro debolezze, i loro errori. Ma oggettivamente essi attaccheranno il capitale, e l’avanguardia cosciente della rivoluzione, il proletariato avanzato, esprimendo questa verità oggettiva della lotta di massa varia e disparata, variopinta ed esteriormente frazionata, potrà unificarla e dirigerla, conquistare il potere”.
In queste parole si legge l’avvertimento di non pensare alla rivoluzione come a un atto di sovvertimento che si realizza ovunque nello stesso modo, nella sua purezza, senza riguardo alle condizioni specifiche di ogni paese, senza attenzione alle alleanze, anche le più problematiche e insidiose, ma non meno necessarie per rendere concreto, dunque possibile, l’avanzamento di un reale processo trasformativo.
L’ipoteca di Pap sul destino del Prc
È singolare che nel secondo documento congressuale sia stato completamente rimosso il tema principale della divaricazione che si è aperta fra di noi, cioè il nodo di Unione popolare e del rapporto con Pap. Ebbene, magicamente, qui il tema scompare.
Allora varrà la pena di ricordare che il 23 novembre 2023, in una riunione della Direzione, la parte del gruppo dirigente che oggi ha sottoscritto il secondo documento fece approvare, a maggioranza e contro il segretario, una risoluzione che sosteneva l’immediato avvio della Costituente di UP attraverso la condivisione di uno statuto che nei fatti prevedeva il trasferimento della sovranità politica ad UP, cancellando l’autonomia del Prc.
Ove quella decisione della Direzione (peraltro illegittima e come tale censurata dalla Collegio di Garanzia) non fosse stata annullata dal Cpn, oggi noi ci troveremmo a svolgere un Congresso con all’ordine del giorno non il rilancio ma lo scioglimento di Rifondazione per transitare in un nuovo partito caratterizzato da una cultura iper-settaria (che, ad es., nega la partecipazione a manifestazioni in cui sia presente la CGIL!).
La scelta che è davanti a noi
Ecco dunque il tema cruciale che è di fronte a noi: ripiegare nella testimonianza di sé, accettando la nostra emarginazione, oppure lavorare per unire le masse intorno a processi reali di cambiamento, senza opportunistici cedimenti, ma analizzando ovunque la situazione concreta (come peraltro fanno in tutta Europa i Partiti comunisti e la sinistra alternativa).
Per far questo occorre uscire dal paradossale “istituzionalismo estremistico” che affligge il secondo documento, che vede nella tattica elettorale l’unico luogo della politica e – al tempo stesso – vive tale tattica in modo settario, cioè autolesionistico. Il problema della rappresentanza istituzionale va affrontato con freddezza e intelligenza, a partire da una vera battaglia per la legge proporzionale, una battaglia finora mancata, anche quando il nostro potere contrattuale era assai alto.
*Già sindacalista e giornalista, responsabile formazione politica del partito, membro del Cpn e della Direzione Nazionale.
**Professore ordinario di Critica letteraria, già responsabile dell’Ufficio formazione politica del Prc, membro del Cpn.