Se avessero ascoltato Gorbaciov

Roberto Musacchio*

Quando la cronaca e la storia si sovrappongono, corrono più veloci della tua stessa capacità di raccontarle, e di capirle, e peraltro tu puoi poco o niente perché sei tagliato fuori, conviene prendere un po’ di fiato e provare a fare pensieri lunghi. Il che non significa che si possano eludere scelte e battaglie che diventano anzi più urgenti ed imperiose. Il piano di riarmo presentato da Von Der Leyen per 800 miliardi è folle e immorale. Gridare forza Europa significa in questo quadro sostenere l’Europa della forza. Quella che si palesava essere sin dall’inizio la UE di Maastricht. E che ora prova a fare un salto a fronte del mutare degli eventi. Le immagini dello scontro in diretta televisiva tra Trump e Zelensky sono scioccanti. Un’intera epoca va a pezzi. La diplomazia si perde nella rissa in diretta. L’altra faccia delle tribune, anche istituzionali, plaudenti e guerresche cui abbiamo assistito per tre anni. Non seguire i dominanti in questa follia di guerra dovrebbe essere la nostra bussola. 

Purtroppo gli “europeisti reali”  scivolano verso una sorta di euronazionalismo armato. 

Intendiamoci. Il voto tedesco ci dice che si può provare a incidere. Le piazze piene per antifascismo, la volontà di stoppare gli accordi tra Cdu e Afd, il bel risultato della Linke sono segni che qualcosa si può. Resta che il prevalente è una storia consegnata ai dominanti. Loro si fanno le guerre e poi le spartizioni. Stanno tutti sotto l’ombrello del capitalismo finanziario globalizzato che nessuno si pensa di toccare. Perché garantisce la lotta di classe rovesciata e che a pagare siano comunque i dominati. Certo, sulle catene del valore, gli spazi imperiali, le strutture del dominio spaziale, digitale, sugli elementi naturali, la lotta è senza quartiere. Ma, come diceva Brecht: “Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.”

Per questo, in attesa che si finisca di morire tra Ucraini e Russi, mi metto a ragionare su i “se”. 

Poi io sono convinto che si sta chiudendo un ciclo. Quando Transform iniziò il suo lavoro settimanale di informazione sull’Europa con un sito e molti articoli, parlammo di “guerra dei trent’anni “. Erano quelli passati dalla caduta del muro di Berlino, da noi giustamente festeggiata. Ebbene, un’inchiesta demografica pubblicata da “Le Monde Diplomatique” mostrava un’Europa cambiata in quel trentennio in modi analoghi a quelli provocabili da una guerra. Proprio l’Ucraina era un esempio di perdita di milioni di abitanti. Per emigrazione economica, denatalità per difficoltà di vita, riduzione di aspettative di vita stesse. Un trend inverso a quello che dal 1945, nonostante il muro, aveva visto tutta l’Europa avere dinamiche demografiche simili. Ho ripensato a questo fenomeno guardando il bel docufilm che Paola Guazzo e Maurizio Spagliardi hanno realizzato su Berlino città condannata a diventare e non essere mai, come lo hanno intitolato. Una Berlino che in trent’anni passa dal tutto pubblico ad Est e molto pubblico ad Ovest, dalla città per vivere artisticamente al tutto mercato. E dove pure si resiste, come mostra il docufilm ma anche il recente voto tedesco con la Linke prima. 

IL NO DELLE BORGHESIE EUROPEE ALLA CASA COMUNE EUROPEA, IL LORO SI A MAASTRICHT

Dicevo che chiamammo guerra dei trent’anni quella in cui le classi dominanti europee scelsero di incamminarsi. La prima scelta fu quella di dire no a Gorbaciov. Eppure Gorbaciov era andato al Consiglio d’Europa  a parlare di casa comune europea. Riprendendo l’idea di una Europa dall’Atlantico agli Urali che era stata dei grandi movimenti pacifisti degli anni ’80 contro gli euromissili. Ma anche il pensiero dell’ eurocomunismo di Berlinguer e del meglio della socialdemocrazia di Brandt e Palme. Ed esperienze importantissime come quelle della Conferenza di Helsinki, giusto 50 anni fa, sulla pace e la sicurezza cui parteciparono praticamente tutti i Paesi europei dalle due parti della Cortina, gli USA e l’Urss e che produsse intese fondamentali in direzione della pace e della cooperazione, del disarmo e dei diritti. Non aveva solo parlato, Gorbaciov. Aveva dato il via libera alla riunificazione tedesca e provato sul serio a riformare l’Urss. Ma alle borghesie europee non interessava questo. E scelsero di considerare quel muro caduto una vittoria e una opportunità loro e non di tutti. Comincia così la cesura con la storia della lotta al nazifascismo che aveva prodotto i cosiddetti trenta anni gloriosi. Quelli della ricostruzione dell’Europa dalle macerie. Fatta grazie al lavoro, al pubblico, al welfare. Quelli delle Costituzioni democratiche e antifasciste. Quelli del compromesso sociale più avanzato. Quelli che consegnano all’Europa una condizione di vita, a partire dalla sua durata, che non ha pari al mondo. Ancora oggi negli USA si vive meno e peggio. Naturalmente tutto ciò non fu indolore ma frutto della soggettività di uno straordinario movimento operaio che era stato costituente. E poggiava sull’unità popolare contro il nazifascismo. Il no a Gorbaciov è il sì a Eltsin e al suo capitalismo selvaggio che trasforma parti di nomenclature in oligarchie. Ma è il sì a Maastricht, un trattato ordoliberale iper ideologico che ha la funzione di rovesciare la lotta di classe. In Italia è lo scioglimento del PCI e poi i patti sindacali concertativi, la caduta della scala mobile. È vero che le borghesie europee seguono la nuova corrente dominante nel mondo, quella dei neoconservatori USA. Nati intorno ai repubblicani ma poi allargatisi a democratici e pezzi di stessa sinistra radical. Sono portatori del revisionismo sulla guerra persa in Vietnam che, dopo la caduta del comunismo, secondo loro va ripensata. Perché se fai la guerra al comunismo devi vincere. Perché tu sei la libertà. Sei superiore. Nasce il nuovo unilateralismo suprematista, si moltiplicano le guerre. Economiche e militari, preventive e permanenti. Lo capisce bene il movimento dei movimenti che prova a fare la seconda potenza mondiale, ma viene sconfitto. Ed ora è in confusione, ma ci tornerò dopo. Le borghesie europee surfano su quell’onda. Che alimenta la terza via blairiana. Ma giocano anche in proprio. Di fatto c’è un patto a riconoscere la supremazia del mercantilismo tedesco con tanto di surplus esportativi in cambio di un vincolo di classe contro il lavoro. Il metodo funzionalista, proposto dal francese Monnet e dalla Commissione Delors per superare i nazionalismi, nell’incontro con Maastricht diventa l’architrave di quella che io chiamo l’Europa reale. La UE è quanto di più lontano ci sia dall’europeismo democratico. Purtroppo troppi europeisti si fanno reali come accade nei regimi a scarsa democrazia. 

Ma il capitalismo non sta mai fermo. Si nutre di rivoluzioni passive e di cadaveri. Il trentennio corre via veloce e molto cambia. Con la guerra in Jugoslavia si è dissolto un Paese protagonista della lotta al nazifascismo. Con i doppi standard la UE ha riconosciuto tutte le autoproclamazioni mentre non riconosce né Palestina né Curdi. Invece che costruire la casa comune sul modello di Gorbaciov si va per allagamenti per aree di influenza economica e geopolitica, a cavallo di quelli della NATO. Invece che un rafforzamento dello spirito unitario e antifascista del 1945 si va a una rifondazione sul 1989 che via via se ne distacca. Fino al revisionismo storico più spinto, alle incredibili ricostruzioni sulla Seconda guerra mondiale ed alle equiparazioni tra nazismo e comunismo. La costruzione funzionalistica si va sempre più contaminando con i nuovi nazionalismi, i revanscismi, il risorgere delle destre eredi dell’inizio ‘900. Le condizioni economiche e sociali né si armonizzano né migliorano. L’austerity eleva a potenza il mix Maastricht più funzionalismo e strappa alla sovranità popolare e parlamentare il controllo dei bilanci. La Grecia è un terribile esperimento. A differenza di quanto avveniva prima con il muro quando non si poteva cambiare più di tanto i governi ma si poteva far crescere salari e pensioni ora accade il contrario. E in Francia non si può fare un governo di sinistra perché il taglio delle pensioni è un architrave sociale e finanziario. 

SOTTRARSI ALL’ABBRACCIO DEI POTENTI

Dicevo, il capitalismo è Proteo, mutevole. Sancito il comando finanziario ora si sta ridefinendo per macro aree sub imperiali. Una sorta di feudalesimo tecnologico, come è stato scritto. Le nuove destre vogliono esercitare una diversa forma di egemonia ideologica riconoscendo le aree di influenza per potenze. Occupano spazio e digitale. Rimettono confini. I migranti sono solo il grande nemico. Il discorso di Vance a Monaco è stato lucidissimo nel definire la sostanza di anarchismo di destra e di forza della nuova ideologia. Ho scritto altrove che mi veniva da pensare che Trump sbarca a Berlino. Per rovesciare la storia dello sbarco di Anzio. E rendere possibile ciò che non fu possibile nel primo ‘900 e cioè l’incontro tra destre radicali delle due parti dell’Atlantico. Non ho certo dimenticato la guerra Ucraina. Ho detto spesso che non era solo una guerra USA-Russia. Le borghesie europee hanno pensato di consolidare un posto al sole pensando al modello jugoslavo. Non sembra andare così. Ma non è che le borghesie rinunceranno al potere. Cavalcheranno il riarmo per consolidare la rottura col modello sociale europeo, il rovesciamento della lotta di classe. Magari proveranno ad adeguarsi al multipolarismo della forza. Finito il tempo della forza della politica c’è il tempo della politica della forza. Cosa farà Trump? Difficile dirlo perché chi si affida alla forza “improvvisa”. Sopravviverà la UE? A rischio c’è sempre di più il modello sociale europeo. Vance e Meloni si parlano. L’Europa reale è una funzione e non un progetto. Molti leader appartengono al mondo delle sliding doors del capitalismo di oggi, come Merz futuro Cancelliere tedesco, passato per Blackrock, cuore del capitalismo finanziario. 

Più che prevedere e commentare o tifare per questo o quel dominante penso che noi dovremmo provare a riprenderci almeno in parte la storia. Noi chi? Difficile a dirsi visto come e quanto siamo divisi anche su cose grandi come la guerra che invece un tempo ci univa nell’essere contro. Ci sono cose che dovrebbero orientarci. L’odio organizzato verso i migranti cosa è se non la volontà di ricostruire la servitù della gleba in un nuovo medioevo tecnologico? È l’anticomunismo allo stato puro perché non vuole che il lavoro si riconosca come tale nel mondo globalizzato che riconosce solo la finanza. È contro l’idea comunista di nuova Umanità. E quando vedi che in Germania tra i giovani sotto i 30 anni tra i maschi la Afd sfiora il 30% mentre è l’esatto contrario con la Linke tra le donne, devi per forza riconoscere che il maschilismo sta nel capitalismo e spesso degenera in fascismo. Questo dato mi ha inquietato assai più di quello tra est e ovest che tanti strumentalizzano per dire che il successo della Afd è la continuità col comunismo. 35 anni dopo sarebbe invece ora di guardare a come sono stati usati. E ringraziare che sia un partito nato a est, la Linke, a chiamare alla riscossa antifascista. 

Ho la sensazione che siamo ad un nuovo momento in cui la storia fa un salto. Dall’unipolarismo suprematismo neocon al multipolarismo della politica della forza. Ciò che rischia di restare in una parentesi in un secolo che mi permetto di definire lunghissimo è quel periodo in cui c’è stata una riappropriazione,  o almeno un tentativo, della storia stessa. Quello in cui il socialismo si è presentato come alternativa di modello sociale e non solo di potere. E il movimento operaio ha permeato anche le democrazie. Errori ed orrori hanno portato ad un crollo ed a una sconfitta. L’Europa è stato uno dei luoghi dove si era andati più avanti, prima della rivoluzione passiva di Maastricht. Proprio per questo la lotta per liberare l’Europa dall’essere un regime tra i tanti è importante. Come spiegava Balibar l’Europa può essere solo una costruzione basata su una cittadinanza sociale. Nonostante la lunga storia della sua formazione resta mutevole nei suoi confini e nei suoi affluenti. Bauman ne parlava come di una avventura, ricordando il mito della principessa rapita da Giove e la ricerca di lei, destinata a non concludersi mai. Le Costituzioni, ricordava Togliatti nel dibattito alla Costituente, nascono da sconfitte e vittorie. Allora, nel 1946 si veniva da una sconfitta dello stato liberale e da una vittoria contro il nazifascismo. Ora potremmo essere di fronte ad una sconfitta a cui le borghesie vorranno però sopravvivere. Per fare delle armi il cuore della UE. Palesemente l’opposto del modello sociale europeo. Il no a questa scelta è dunque fondamentale. Come la ri-costruzione di un movimento operaio europeo contro Maastricht e per politiche sociali europee a partire da salari e redditi europei armonizzati verso l’alto. Serve che i migranti siano tolti alla ipocrisia securitaria. L’Europa è vecchia demograficamente e ha bisogno di afflussi. Li vuole in condizioni di subordinazione pressoché schiavistica. Il diritto di muoversi per cercare lavoro dovrebbe essere legge europea. E serve, a 50 anni da Helsinki, riproporre un ruolo dell’Europa per la pace e la sicurezza. Transform sta lavorando, con tanti altri, per costruire un evento che non solo ricordi ma produca una nuova spinta per la pace e il disarmo. Qualsiasi cosa si muova in questa direzione va vista con l’atteggiamento di chi pensa che a questo serva la politica, a cambiare le cose e, se possibile, la storia. 

Per chiudere come ho cominciato uno dei ricordi più intensi della mia vita politica è un pranzo (mi pare fossimo in 4) con Gorbaciov che era al Parlamento europeo per incontri sull’acqua. Vedevo dignità e sguardo in avanti. Ora che tutto è in movimento, penso alle parole di Ocalan e al riaprirsi forse di una speranza, vorrei che si provasse a farne parte, a sottrarsi all’abbraccio dei potenti, a tornare a dire la storia siamo noi.


*Fa parte del board di Transform Europa, il network legato al partito della sinistra europea. Scrive settimanalmente sul sito di Transform Italia. È stato parlamentare europeo capo delegazione del Prc dal 2004 al 2009.

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