Unitari e alternativi

Gianluigi Pegolo*

Dalla lettura dei documenti emergono molte differenze che meriterebbero una riflessione. Io però mi soffermerò su un solo aspetto che considero dirimente. Mi riferisco cioè al modo con cui viene declinata la coppia unità/alternatività nel secondo documento. A tale proposito, in sintesi, mi propongo di argomentare in questo testo le seguenti tesi:

Che una delle condizioni di esistenza e di successo di Rifondazione Comunista sia stata la scelta di tenere uniti il tema dell’unità e quello della alternatività;

Che l’errore fondamentale dei compagni che hanno presentato il secondo documento stia soprattutto nella volontà di sopprimere l’unità a beneficio di una presunta alternatività;

Che tale errore sia particolarmente grave nella fase che si è aperta, perché i pericoli rappresentati da una destra temibile impongono – lo si voglia o no – l’accettazione del confronto unitario.

Se Rifondazione, nel corso degli anni ’90 si affermò come forza nazionale, raccolse un consenso non disprezzabile e fu al centro della vicenda politica, ciò si deve al fatto che godeva del lascito importante che gli veniva dal PCI, innervato da contributi della nuova sinistra, ma anche dalla capacità del suo gruppo dirigente dell’epoca di saper esaltare la sua diversità, mentre accettava il terreno del confronto unitario.

La partecipazione alle elezioni politiche con i progressisti nel ’94 non era scontata per un partito che veniva dalla scissione drammatica del PCI, ma questa scelta fu saggiamente compiuta e segnò positivamente il profilo politico del partito nascente. Negli anni seguenti, quest’orientamento restò fermo e si concretizzò in pratiche unitarie in diversi enti locali e al contempo tenendo posizioni anche molto dissonanti dal PDS-DS-PD. Né la durissima crisi subita dopo la rottura col Prodi 1 comportò la messa in soffitta di quell’ossimoro, pur nelle difficoltà politiche crescenti derivanti dallo spostamento del PD su posizioni sempre più liberiste. In tutte queste vicende il gruppo dirigente in carica non si sognò mai di produrre una rottura totale. Perché? Non solo per ragioni di tattica elettorale, ma anche perché era consapevole che il terreno unitario ad un qualche livello si sarebbe riproposto.

Qui sta il vizio di origine della posizione politica sostenuta dai compagni che sostengono il documento alternativo. Essi, infatti, teorizzano la necessità di una rottura radicale e generale col centro sinistra, in ogni livello istituzionale, sulla base del giudizio negativo delle esperienze di governo condotte a suo tempo a livello nazionale. E’ la riproposizione della linea che dopo Chianciano ci ha condotto a praticare lo slogan “mai con il centro sinistra”.

I risultati nelle istituzioni locali sono stati disastrosi. Dai circa 3000 rappresentanti nelle istituzioni locali all’inizio degli anni 2000 siamo giunti oggi al massimo a un centinaio o poco più. Quella linea inoltre non ha significato solo  l’autoisolamento sul piano politico, ma inevitabilmente si è accompagnata a pulsioni minoritarie e ha favorito atteggiamenti di diffidenza, quando non di rifiuto, verso organizzazioni come la CGIL, l’ANPI o altre.  La declamazione dell’alternatività, si è tradotta cosi nei fatti in un  “solipsismo autoreferenziale” e cioè la manifestazione di posizioni anche condivisibili, ma espresse nell’isolamento totale sul piano delle relazioni sociali e politiche. Infine, per tentare di superare questa condizione di isolamento, si è puntato sulla costruzione di coalizioni improvvisate per dar vita poi a nuovi soggetti politici, con buona pace della tanto declamata difesa dell’autonomia del partito.

Oggi i compagni del documento alternativo ci ripropongono la stessa ricetta. Mantengono la pregiudiziale assoluta sul piano delle alleanze elettorali a tutti i livelli (nazionale, regionale e locale), e infine si pongono l’obiettivo della costruzione di una coalizione che costituisce in pratica una riproposizione, sotto altro nome, della defunta Unione Popolare, forse con qualche frammento in aggiunta.  La cosa grave è che non solo non si fa un bilancio serio dei risultati di quella linea, ma che la si ripropone in una fase in cui si è di fronte al pericolo sostanziale rappresentato da una destra di governo che intende ridisegnare l’assetto istituzionale con l’intendimento di costruire un regime e nel momento in cui un movimento si sta sviluppando in difesa della Costituzione cui aderisce tutta l’opposizione, che ha nella CGIL e nell’Anpi i suoi referenti sociali più importanti. A tale proposito – significativamente – il documento alternativo, mentre elenca le nefandezze della destra, si guarda bene dal porre la lotta contro la destra come una “assoluta priorità”. E invece sta qui il punto. La minaccia della destra dovrebbe costituire un prius per i comunisti. A tale riguardo l’affermazione che oggi non siamo alla presenza di un pericolo di regime come negli anni ‘20 e che quindi possiamo cimentarci nella battaglia politica per ottenere consensi, rifuggendo dalle alleanze nelle istituzioni è indicativa  di un’impostazione fuori dalla realtà. Che cosa significa una simile posizione nel momento in cui cadono una dopo l’altra le amministrazioni locali, finendo in mano alle destre, e a destre molto più pericolose di quelle che abbiamo conosciuto al tempo di Berlusconi?

Nel documento alternativo si giustifica la scelta solipsistica con un’argomentazione, cui occorre dare una risposta: il centro sinistra è incompatibile con noi per ragioni fondamentali (le posizioni tenute sulla guerra e il sostegno a politiche neo liberiste). Quindi ogni rapporto non ha senso e oggi è il tempo di accumulare forze, smascherando il centro-sinistra, poi in futuro si vedrà. Obietto che questa posizione è stata praticata per quindici anni senza dare risultati e, in secondo luogo, che non vi è oggi in Italia la possibilità di una politica dei due tempi (oggi la battaglia per accumulare forze e domani possibili intese unitarie) perché la destra con la sua offensiva ha spazzato via ogni possibilità.

Torniamo però al punto di partenza. In particolare si sostiene che, essendo la guerra il tema sovraordinatore, ed essendo le posizioni del PD favorevoli alla guerra, né deriverebbe – secondo i sostenitori del documento alternativo –  una incompatibilità assoluta a qualunque livello. Il povero Melenchon, tanto lodato, dovrebbe a questo punto ritirarsi (date le posizioni assunte sulla guerra) così come dovrebbero fare le forze radicali in Europa che collaborano con i socialisti e i socialdemocratici a livello   nazionale e/o a quello locale.

Il ragionamento non tiene. Nelle fasi complesse il punto di forza dei comunisti è stato quello di saper praticare alleanze parziali pur in presenza di dissensi di livello generale. Quando i socialisti entrarono nel centro sinistra con la DC, il PCI non pensò minimamente a rompere le alleanze di sinistra a livello locale. Oggi ciò significa una disponibilità unitaria “dove è possibile” e al tempo stesso una posizione alternativa su alcune questioni. Ciò significa che, per esempio, l’unità nelle istituzioni locali si ferma di fronte a scelte programmatiche ispirate al neo liberismo e che stravolgono la nostra idea di governo locale. E a livello nazionale che la nostra lotta per la tregua sùbito in Ucraina, contro l’invio di armi, resta imprescindibile, come la battaglia contro il neo-liberismo, nelle politiche economiche e sociali. Siamo insomma al dualismo necessario: “unitari e alternativi”. Non solo, è qui che si gioca la possibilità di costruzione intorno a Rifondazione Comunista di una nuova sinistra di alternativa, più ampia dell’esperienza minuscola di UP e più credibile nella proposta. Ed è qui che si gioca la capacità di una iniziativa sociale concreta intorno alla costruzione di veri movimenti di scopo. Ed è per questo che l’entrata di Rifondazione nel campo largo non sarebbe credibile date le evidenti differenze su alcune questioni.

Un argomento sostenuto nel documento alternativo è che la lotta contro la destra non è credibile né efficace se non s’innerva in scelte sociali alternative a quelle perseguite dal governo. Per questo, essendo il centro sinistra corresponsabile delle scelte liberiste non può essere assunto come interlocutore.  E’ vero, la sconfitta delle destre richiede una proposta complessiva che investa anche il tema del sociale e della pace e che imponga quindi una svolta nelle politiche fin qui praticate. Il problema è capire se una evoluzione positiva della piattaforma di opposizione che vada in questa direzione sia conseguibile praticando oggi il solipsismo autoreferenziale. A me pare che più la battaglia sul fronte democratico/istituzionale s’inasprisce, più l’opposizione tenda a estendersi anche sul piano sociale. E’ per questo che la CGIL ha presentato alcuni referendum sociali. Per questo motivo la segretaria del PD ha cominciato ad assumere posizioni più coraggiose (anche se non decisive) su alcune questioni o, ancora, il Movimento Cinque Stelle è tentato di collocarsi su posizioni di sinistra.  E’ Insomma nel movimento politico e sociale in corso che si apre la possibilità della rimessa in discussione di posizioni che confliggono con le nostre. Ed è per questo che sostenendo la battaglia unitaria in difesa della Costituzione e di alcuni diritti sociali dobbiamo al contempo condurre la nostra battaglia su questioni dirimenti, aprendo una fase di “competizione politica” col centro sinistra. L’argomento secondo cui “siamo troppo pochi” vale fino ad un certo punto. In una fase di movimento sono i processi sociali e politici che determinano il successo delle diverse posizioni. E’ questa la sfida che il nostro partito deve accettare oggi. A meno che non ci si voglia chiudere in un recinto, magari alzando più forte la voce per manifestare la propria  alternatività, ma rimanendo sostanzialmente impotenti rispetto ai processi politici e sociali in corso.


*Già deputato per il Prc, allora responsabile del dipartimento “Democrazia e istituzioni” e membro della segreteria nazionale; oggi membro del Cpn e della Direzione

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